Alceste De Ambris: differenze tra le versioni

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== De Ambris e il riformismo parlamentare ==
== De Ambris e il riformismo parlamentare ==
Nell 'opuscolo ''L'azione diretta'', De Ambris, affronta anche l'argomento dell'[[parlamentarismo|azione parlamentare]] e delle riforme. Dopo aver negato che la demolizione dell'ordine borghese e la formazione del futuro ordinamento socialista possa avvenire nell'ambito parlamentare egli non disconosce, però, che in certi casi, la causa proletaria possa ricavare un giovamento indiretto mediante l'uso della scheda e per questo dichiara «noi non poniamo nessuna pregiudiziale astensionista». Il sindacato comunque non deve certo riconoscere l'azione elettorale come sua funzione normale. In merito alle riforme non attribuisce loro alcun valore dal punto di vista della trasformazione sociale anche se non nega che possano essere utili al [[proletariato]], in quanto, migliorando le sue condizioni di vita, le rendono più adatte allo sviluppo delle sue energie. Ma, perché una riforma porti veramente dei vantaggi, deve essere sentita ed imposta dal proletariato, perché quando viene invece elargita dalla borghesia od ottenuta mediante compromessi parlamentari, senza la pressione degli interessati, riesce sempre illusoria. Queste posizioni lo portano ad accettare nel 1913 la candidatura a deputato nelle file del PSI e la sua elezione gli permetterà di usufruire dell'immunità parlamentare e di poter così rientrare in patria dall'estero dove si era ancora una volta rifugiato.
Nell 'opuscolo ''L'azione diretta'', De Ambris, affronta anche l'argomento dell'[[parlamentarismo|azione parlamentare]] e delle riforme. Dopo aver negato che la demolizione dell'ordine borghese e la formazione del futuro ordinamento socialista possa avvenire nell'ambito parlamentare egli non disconosce, però, che in certi casi, la causa proletaria possa ricavare un giovamento indiretto mediante l'uso della scheda e per questo dichiara «noi non poniamo nessuna pregiudiziale astensionista». Il sindacato comunque non deve certo riconoscere l'azione elettorale come sua funzione normale. In merito alle riforme non attribuisce loro alcun valore dal punto di vista della trasformazione sociale anche se non nega che possano essere utili al [[proletariato]], in quanto, migliorando le sue condizioni di vita, le rendono più adatte allo sviluppo delle sue energie. Ma, perché una riforma porti veramente dei vantaggi, deve essere sentita ed imposta dal proletariato, perché quando viene invece elargita dalla borghesia od ottenuta mediante compromessi parlamentari, senza la pressione degli interessati, riesce sempre illusoria. Queste posizioni lo portano ad accettare nel 1913 la candidatura a deputato nelle file del PSI e la sua elezione gli permetterà di usufruire dell'immunità parlamentare e di poter così rientrare in patria dall'estero dove si era ancora una volta rifugiato.


== Il Movimento interventista ==
== Il Movimento interventista ==
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D'Annunzio si era determinato a compiere questa impresa poiché la vittoria gli appariva «mutilata». Egli intendeva rivendicare per l'Italia la propria naturale potestà sull'Adriatico fino a Valona al di là del Patto che era stato firmato a Londra nel [[1915]], al momento dell'entrata in guerra accanto a [[Gran Bretagna]], [[Francia]] e [[Russia]] contro la [[Germania]] e l'Austia-Ungheria. In un ''Cantico'' apparso sul «Corriere della Sera» reclamava l'intera Dalmazia. Inoltre il patto escludeva Fiume dai compensi territoriali non potendo essere prevedibile, a quel momento, la dissoluzione dell'Impero austroungarico a cui la città apparteneva.
D'Annunzio si era determinato a compiere questa impresa poiché la vittoria gli appariva «mutilata». Egli intendeva rivendicare per l'Italia la propria naturale potestà sull'Adriatico fino a Valona al di là del Patto che era stato firmato a Londra nel [[1915]], al momento dell'entrata in guerra accanto a [[Gran Bretagna]], [[Francia]] e [[Russia]] contro la [[Germania]] e l'Austia-Ungheria. In un ''Cantico'' apparso sul «Corriere della Sera» reclamava l'intera Dalmazia. Inoltre il patto escludeva Fiume dai compensi territoriali non potendo essere prevedibile, a quel momento, la dissoluzione dell'Impero austroungarico a cui la città apparteneva.
[[File:Reggenza Italiana del Carnaro.jpg|195px|left|thumb|Bandiera della Reggenza Italiana del Carnaro.]]
[[File:Reggenza Italiana del Carnaro.jpg|195px|left|thumb|Bandiera della Reggenza Italiana del Carnaro.]]
Dalla dissoluzione dell'Impero austroungarico stava nascendo il nuovo regno serbo, croato, sloveno. Gli jugoslavi negavano l'italianità di Fiume e affermavano che avevano assolutamente bisogno del suo porto che era l'unico scalo marittimo utlilizzabile per il nuovo [[Stato]]. Sui confini da assegnare all'[[Italia]] e quindi su Fiume si discuteva nella Conferenza della pace in corso a Parigi. L'[[Italia]] chiedeva l'applicazione del Patto di Londra <ref>[http://it.wikipedia.org/wiki/Patto_di_Londra Patto di Londra]</ref>con la correzione dell'inclusione della città di Fiume nelle frontiere italiane, ma le altre potenze furono sorde a queste richieste. I rappresentanti italiani abbandonarono allora la Conferenza e furono accolti in Patria con acclamazioni di entusiasmo. D'Annunzio aveva esltato il loro gesto e dichiarato in un fervente discorso: «Non è più tempo di parole... abbiamo fatto troppo sperpero di eloquenza... oggi ogni combattente riprende il suo posto... e pronti... la bandiera di Fiume non parla ma comanda. Oggi una sola domanda è da rivolgere a questa Italia... per difendere il tuo diritto sei pronta a ricombattere?» <ref>Antonio Spinosa. Op.cit.</ref> Fino al novembre del 1919, De Ambris non aveva avuto l'occasione di conoscere personalmemnte Gabriele D'Annunzio e non ne apprezzava neanche particolarmente l'arte. «Ma vennero le elezioni generali del novembre 1919. Io avevo rifiutato ogni candidatura -scriverà in un opuscolo- più che per le mie convinzioni antiparlamentariste, per la nausea che mi suscitava la lotta svolta da un lato con la più sconcia demagogia ''neutralista'', e dall'altro con l'intenzione non dissimulata di trar profitto dall'interventismo praticato, o almeno predicato, durante la guerra. La nausea mi vinse a tal punto che sentii il bisogno di cercare un pò d'aria respirabile e mi parve che avrei potuto trovarla a Fiume.»<ref> Note per un opuscolo. ''Fiume (un tentativo incompreso e vilipeso)'', mai pubblicato. Da Serventi Longhi. Op.cit.</ref> D'altra parte, nonostante il controllo che aveva sulla Uil come segretario e il desiderio che lo animava di preservare il sindacato da derive bolsceviche si rese conto che la debolezza dell'organizzazione, emarginata dal governo e dalle organizzazioni internazionali, non gli avrebbe più consentito di avere un ruolo da protagonista nella scena politica nazionale. Il fatto nuovo che poteva affascinare il movimento operaio e rivoluzionario italiano e significare qualcosa di importante per quel processo di cambiamento istituzionale e sociale tante volte ricercato, era proprio l'occupazione dannunziana  di Fiume. De Ambris poteva essere la figura adatta ad evitare il pericolo di accentramento nazionalista e autoritario del potere e a collocare intorno a D'Annunzio uomini lontani dalle derive ultranazionalistiche e reazionarie che potevano favorire ipotesi golpiste. Il socialista Turati aveva detto, in modo sprezzante, quando alla camera qualcuno aveva paragonato D'Annunzio a Garibaldi: «C'è una certa differenza fra Giuseppe Garibaldi e Gabriele Rapagnetta [vero cognome di D'Annunzio]... quella era la rivoluzione e questa è la reazione militare» e la sua compagna Anna Kuliscioff gli scriveva da Milano: «Il fattaccio di Fiume non è tanto temibile per le ragioni dette[alla Camera]... quanto per le ragioni non dette... ed è la minaccia di un pronunziamento militare anche a Roma». <ref>Antonio Spinosa. Op.cit.</ref>
Dalla dissoluzione dell'Impero austroungarico stava nascendo il nuovo regno serbo, croato, sloveno. Gli jugoslavi negavano l'italianità di Fiume e affermavano che avevano assolutamente bisogno del suo porto che era l'unico scalo marittimo utlilizzabile per il nuovo [[Stato]]. Sui confini da assegnare all'[[Italia]] e quindi su Fiume si discuteva nella Conferenza della pace in corso a Parigi. L'[[Italia]] chiedeva l'applicazione del Patto di Londra <ref>[http://it.wikipedia.org/wiki/Patto_di_Londra Patto di Londra]</ref>con la correzione dell'inclusione della città di Fiume nelle frontiere italiane, ma le altre potenze furono sorde a queste richieste. I rappresentanti italiani abbandonarono allora la Conferenza e furono accolti in Patria con acclamazioni di entusiasmo. D'Annunzio aveva esltato il loro gesto e dichiarato in un fervente discorso: «Non è più tempo di parole... abbiamo fatto troppo sperpero di eloquenza... oggi ogni combattente riprende il suo posto... e pronti... la bandiera di Fiume non parla ma comanda. Oggi una sola domanda è da rivolgere a questa Italia... per difendere il tuo diritto sei pronta a ricombattere?» <ref>Antonio Spinosa. Op.cit.</ref> Fino al novembre del 1919, De Ambris non aveva avuto l'occasione di conoscere personalmemnte Gabriele D'Annunzio e non ne apprezzava neanche particolarmente l'arte. «Ma vennero le elezioni generali del novembre 1919. Io avevo rifiutato ogni candidatura -scriverà in un opuscolo- più che per le mie convinzioni antiparlamentariste, per la nausea che mi suscitava la lotta svolta da un lato con la più sconcia demagogia ''neutralista'', e dall'altro con l'intenzione non dissimulata di trar profitto dall'interventismo praticato, o almeno predicato, durante la guerra. La nausea mi vinse a tal punto che sentii il bisogno di cercare un pò d'aria respirabile e mi parve che avrei potuto trovarla a Fiume.»<ref> Note per un opuscolo. ''Fiume (un tentativo incompreso e vilipeso)'', mai pubblicato. Da Serventi Longhi. Op.cit.</ref> D'altra parte, nonostante il controllo che aveva sulla Uil come segretario e il desiderio che lo animava di preservare il sindacato da derive bolsceviche si rese conto che la debolezza dell'organizzazione, emarginata dal governo e dalle organizzazioni internazionali, non gli avrebbe più consentito di avere un ruolo da protagonista nella scena politica nazionale. Il fatto nuovo che poteva affascinare il movimento operaio e rivoluzionario italiano e significare qualcosa di importante per quel processo di cambiamento istituzionale e sociale tante volte ricercato, era proprio l'occupazione dannunziana  di Fiume. De Ambris poteva essere la figura adatta ad evitare il pericolo di accentramento nazionalista e autoritario del potere e a collocare intorno a D'Annunzio uomini lontani dalle derive ultranazionalistiche e reazionarie che potevano favorire ipotesi golpiste. Il socialista Turati aveva detto, in modo sprezzante, quando alla camera qualcuno aveva paragonato D'Annunzio a Garibaldi: «C'è una certa differenza fra Giuseppe Garibaldi e Gabriele Rapagnetta [vero cognome di D'Annunzio]... quella era la rivoluzione e questa è la reazione militare» e la sua compagna Anna Kuliscioff gli scriveva da Milano: «Il fattaccio di Fiume non è tanto temibile per le ragioni dette[alla Camera]... quanto per le ragioni non dette... ed è la minaccia di un pronunziamento militare anche a Roma». <ref>Antonio Spinosa. Op.cit.</ref>


== La Carta del Carnaro ==
== La Carta del Carnaro ==
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De Ambris espresse la natura del suo antifascismo in un noto articolo: ''l'evolution du Fascisme'' pubblicato su ''Le Mercure de France'' nel numero del 15 febbraio-15 marzo 1923. <ref>Serventi Longhi Op.cit.</ref> In questo articolo il sindacalista denuncia la degenerazione violenta e classista del [[Fascismo]] e il suo carattere reazionario. Riconosce al movimento il merito di avere in un primo tempo combattuto vittoriosamente il bolscevismo italiano ma dichiara che già all'epoca  si intravvedevano le contraddizioni che avrebbero minato il futuro del nuovo partito di governo che egli individuava nell''''«ambiguità che gli ha permesso di dichiararsi a parole ultraindividualista e di appoggiarsi di fatto alle masse organizzate, di disprezzare verbalmente il parlamentarismo e di cercare di conquistare seggi elettorali, di esaltare lo Stato forte e di farsene beffa violando continuamente e impunemente le sue leggi, di predicare la disciplina assoluta e quasi mistica e di tollerare nei suoi ranghi la più pericolsa indisciplina, di non voler rinunciare alla "tendenza repubblicana" e di partecipare attivamente alle manifestazioni monarchiche». '''
De Ambris espresse la natura del suo antifascismo in un noto articolo: ''l'evolution du Fascisme'' pubblicato su ''Le Mercure de France'' nel numero del 15 febbraio-15 marzo 1923. <ref>Serventi Longhi Op.cit.</ref> In questo articolo il sindacalista denuncia la degenerazione violenta e classista del [[Fascismo]] e il suo carattere reazionario. Riconosce al movimento il merito di avere in un primo tempo combattuto vittoriosamente il bolscevismo italiano ma dichiara che già all'epoca  si intravvedevano le contraddizioni che avrebbero minato il futuro del nuovo partito di governo che egli individuava nell''''«ambiguità che gli ha permesso di dichiararsi a parole ultraindividualista e di appoggiarsi di fatto alle masse organizzate, di disprezzare verbalmente il parlamentarismo e di cercare di conquistare seggi elettorali, di esaltare lo Stato forte e di farsene beffa violando continuamente e impunemente le sue leggi, di predicare la disciplina assoluta e quasi mistica e di tollerare nei suoi ranghi la più pericolsa indisciplina, di non voler rinunciare alla "tendenza repubblicana" e di partecipare attivamente alle manifestazioni monarchiche». '''


Questa ambiguità, secondo De Ambris, non avrebbe potuto continuare perché nascondeva, dietro una proditoria demagogia, un sostanziale conservatorismo. Essa era anche testimoniata dal perdurare di conflitti e di episodi di violenza anche personale con gli imprenditori che non rispettavano i patti sottoscritti con il [[corporativismo|sindacato fascista]] e che dimostravano la difficoltà di contenere le rivendicazioni operaie nel quadro del supremo interesse nazionale. Tuttavia il Partito non aveva ancora attuato la fascistizzazione dello Stato che avverrà solo nel [[1925]] e non era ancora esclusa la possibilità che le pressioni delle masse, che si erano mobilitate attorno al movimento e i lavoratori potessero spingere il Regime ad un ritorno agli ideali delle origini. Fu per questo che personalità fasciste che, in passato erano state vicine a De Ambris, cercarono di coinvolgerlo - pensando addirittura ad incarichi istituzionali - nella costruzione del Regime soprattutto in riferimento alla realizzazione del Corporativismo. «La speranza di coinvolgere De Ambris convinse lo stesso Mussolini dell'opportunità di inviare un emissario prestigioso per intavolare trattative dirette, il celebre scrittore e giornalista Kurt Erich Suckert, anche noto come Curzio Malaparte. Il capo del governo [...] sapeva che molti quadri sindacali delle confederazioni fasciste e parte del mondo legionario ancora avevano in De Ambris un innegabile riferimento morale, che consigliava di concedergli una funzione direttiva». <ref>Serventi Longhi. Op.cit.</ref>  
Questa ambiguità, secondo De Ambris, non avrebbe potuto continuare perché nascondeva, dietro una proditoria demagogia, un sostanziale conservatorismo. Essa era anche testimoniata dal perdurare di conflitti e di episodi di violenza anche personale con gli imprenditori che non rispettavano i patti sottoscritti con il [[corporativismo|sindacato fascista]] e che dimostravano la difficoltà di contenere le rivendicazioni operaie nel quadro del supremo interesse nazionale. Tuttavia il Partito non aveva ancora attuato la fascistizzazione dello Stato che avverrà solo nel [[1925]] e non era ancora esclusa la possibilità che le pressioni delle masse, che si erano mobilitate attorno al movimento e i lavoratori potessero spingere il Regime ad un ritorno agli ideali delle origini. Fu per questo che personalità fasciste che, in passato erano state vicine a De Ambris, cercarono di coinvolgerlo - pensando addirittura ad incarichi istituzionali - nella costruzione del Regime soprattutto in riferimento alla realizzazione del Corporativismo. «La speranza di coinvolgere De Ambris convinse lo stesso Mussolini dell'opportunità di inviare un emissario prestigioso per intavolare trattative dirette, il celebre scrittore e giornalista Kurt Erich Suckert, anche noto come Curzio Malaparte. Il capo del governo [...] sapeva che molti quadri sindacali delle confederazioni fasciste e parte del mondo legionario ancora avevano in De Ambris un innegabile riferimento morale, che consigliava di concedergli una funzione direttiva». <ref>Serventi Longhi. Op.cit.</ref>  
Ma queste trattative non ebbero alcun esito e in seguito ad una serie di avvenimenti, tra cui il delitto Matteotti, le posizioni antifasciste di De Ambris andarono sempre più consolidandosi. Egli divenne un attivista delle organizzazioni antifasciste degli esuli italiani in [[Francia]] svolgendo all'interno di esse diversi ruoli. Fu quindi oggetto dell'accanimento e della vendetta da parte del Regime ed in particolare di quei fascisti intransigenti che gli rimproveravano di aver contrastato il fascismo sul suo stesso terreno. Questi chiesero espressamente a Mussolini la radiazione dallo Stato civile di De Ambris. Ciò provocò un forte disagio personale al protagonista di molta parte della storia del suo paese il quale scrisse nella sue Memorie: ''«Dalla fine del 1922 sono in Francia, nel mio terzo esilio. Il costante rifiuto da me opposto a diversi tentativi fatti da Mussolini, a mezzo dei suoi emissari, per farmi aderire al fascismo e il vigore della mia opera antifascista mi hanno valso l'onore di vedermi tolta la nazionalità italiana, con decreto regio del 1925: sono ormai un [...]senza patria. Così il mio stato di servizio è completo: 55 anni, dei quali 17 passati in esilio, un numero considerevole di imprigionamenti di cui non ho parlato per brevità, 43 condanne politiche, e finalmente la privazion e della cittadinanza della mia patria, per la quale ho combattuto durante tre anni di guerra come volontario».'' <ref>Memorie autobiografiche di Alceste De Ambris in Serventi Longhi. Op.cit.</ref>
Ma queste trattative non ebbero alcun esito e in seguito ad una serie di avvenimenti, tra cui il delitto Matteotti, le posizioni antifasciste di De Ambris andarono sempre più consolidandosi. Egli divenne un attivista delle organizzazioni antifasciste degli esuli italiani in [[Francia]] svolgendo all'interno di esse diversi ruoli. Fu quindi oggetto dell'accanimento e della vendetta da parte del Regime ed in particolare di quei fascisti intransigenti che gli rimproveravano di aver contrastato il fascismo sul suo stesso terreno. Questi chiesero espressamente a Mussolini la radiazione dallo Stato civile di De Ambris. Ciò provocò un forte disagio personale al protagonista di molta parte della storia del suo paese il quale scrisse nella sue Memorie: ''«Dalla fine del 1922 sono in Francia, nel mio terzo esilio. Il costante rifiuto da me opposto a diversi tentativi fatti da Mussolini, a mezzo dei suoi emissari, per farmi aderire al fascismo e il vigore della mia opera antifascista mi hanno valso l'onore di vedermi tolta la nazionalità italiana, con decreto regio del 1925: sono ormai un [...]senza patria. Così il mio stato di servizio è completo: 55 anni, dei quali 17 passati in esilio, un numero considerevole di imprigionamenti di cui non ho parlato per brevità, 43 condanne politiche, e finalmente la privazion e della cittadinanza della mia patria, per la quale ho combattuto durante tre anni di guerra come volontario».'' <ref>Memorie autobiografiche di Alceste De Ambris in Serventi Longhi. Op.cit.</ref>


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