Franz Kafka: differenze tra le versioni
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Ne '''''Il Processo''''' la sottomissione di Josef K., protagonista di un'assurda e terribile odissea giudiziaria che lo vede arrestato, processato e condannato senza mai avere contezza del proprio capo d'accusa, non avviene «con mezzi violenti, ma semplicemente con il crescente senso di colpa che l'accusa vuota ed immotivata riesce a destare nell'imputato [...] Al funzionamento della diabolica macchina burocratica in cui l'innocente si trova preso si accompagna, quindi, una evoluzione interiore provocata dal senso di colpa. Dal suo progredire il protagonista viene "educato", modificato e formato tanto da venir adattato al ruolo che si è escogitato per lui e che lo rende semplice compartecipe del gioco universale della necessità, dell'ingiustizia e della menzogna. Questo è il modo in cui il protagonista si adatta alla sua situazione, e questi due processi concomitanti, l'evoluzione interiore e il funzionamento della macchina, s'incontrano infine nella scena conclusiva, quando K. si lascia portar via e poi giustiziare, senza la minima protesta o resistenza. Viene ucciso perché è "necessario", e si sottomette per questa necessità e per il turbamento dovuto al suo senso di colpa. E la sola speranza che balena alla fine del romanzo resta: "Era come se la vergogna dovesse sopravvivergli". La vergogna, cioè, che tale sia l'ordine del mondo e che lui, Josef K., ne sia, anche se vittima, un docile membro». | Ne '''''Il Processo''''' la sottomissione di Josef K., protagonista di un'assurda e terribile odissea giudiziaria che lo vede arrestato, processato e condannato senza mai avere contezza del proprio capo d'accusa, non avviene «con mezzi violenti, ma semplicemente con il crescente senso di colpa che l'accusa vuota ed immotivata riesce a destare nell'imputato [...] Al funzionamento della diabolica macchina burocratica in cui l'innocente si trova preso si accompagna, quindi, una evoluzione interiore provocata dal senso di colpa. Dal suo progredire il protagonista viene "educato", modificato e formato tanto da venir adattato al ruolo che si è escogitato per lui e che lo rende semplice compartecipe del gioco universale della necessità, dell'ingiustizia e della menzogna. Questo è il modo in cui il protagonista si adatta alla sua situazione, e questi due processi concomitanti, l'evoluzione interiore e il funzionamento della macchina, s'incontrano infine nella scena conclusiva, quando K. si lascia portar via e poi giustiziare, senza la minima protesta o resistenza. Viene ucciso perché è "necessario", e si sottomette per questa necessità e per il turbamento dovuto al suo senso di colpa. E la sola speranza che balena alla fine del romanzo resta: "Era come se la vergogna dovesse sopravvivergli". La vergogna, cioè, che tale sia l'ordine del mondo e che lui, Josef K., ne sia, anche se vittima, un docile membro». | ||
Ne '''''Il Castello''''' viene descritta «una [[società]] in cui gli abitanti del villaggio, controllati dal governo e dai suoi impiegati anche nei dettagli più intimi della loro vita ed asserviti anche nei loro pensieri a quelli che hanno il [[potere]], si sono resi conto già da tempo che l'aver torto o ragione è un "destino" in cui non è dato di mutare nulla». Il protagonista del romanzo, K. l'agrimensore, è invece «un uomo di buona [[Volontarismo|volontà]]: non chiede mai nulla di più del giusto, ma non è neanche disposto ad accontentarsi di meno. [...] E con crescente terrore K. si accorge che quella normalità, quella umanità, quei diritti umani che lui ha sempre creduto naturali per gli altri in realtà non esistono affatto. [...] Non c'è posto per uomini di buona [[Volontarismo|volontà]] che vogliano decidere della propria vita». La paura degli abitanti del villaggio è però infondata: non si avvera nessuna delle infauste previsioni che essi fanno sul conto del protagonista: «A K. non succede proprio niente; solo la sua richiesta di un regolare permesso di soggiorno continua ad essere respinta con mille pretesti dal Castello. [...] Tuttavia, sebbene non sia riuscito a realizzare i suoi propositi, la sua vita non è stata affatto un completo fallimento. La lotta da lui sostenuta per strappare alla società i diritti che gli spettavano ha, se non altro, aperto gli occhi a parecchi abitanti del villaggio. La storia ed il comportamento di K. hanno insegnato loro che vale la pena di lottare per i propri diritti umani e che la legge del Castello, non essendo di natura divina, può essere contestata». <ref>[[Hannah Arendt|Arendt]] indica a tal proposito un passaggio chiave del romanzo: «Hai una straordinaria visione delle cose [...] A volte mi aiuti con una parola, certamente perché vieni da fuori. Invece noi, con le nostre terribili esperienze e continue ansie, ci spaventiamo senza difenderci ad ogni scricchiolio, e se uno ha paura subito ce l'ha anche l'altro pur senza sapere esattamente perché. In questo modo non si riesce più a dare una giusta valutazione delle cose. [...] Che fornuna per noi che sei venuto!».</ref> Secondo [[Hannah Arendt|Arendt]] ''Il Castello'' mette in luce un'importante verità: «Chi si sente lontano dalle regole semplici e fondamentali dell'umanità o chi sceglie di vivere in uno stato d'emarginazione, anche se costrettovi perché vittima di una persecuzione, non può vivere una vita veramente umana. [...] nella società contemporanea le forze di un singolo [[individuo]] possono bastare a costruirsi una carriera, ma non a soddisfare il bisogno elementare di vivere una esistenza umana. Solo nell'ambito di un popolo l'[[individuo]] può vivere come un uomo fra gli uomini senza rischiare di morire per mancanza di forze. E solo un popolo in comunità con altri popoli può contribuire a costruire sulla terra un mondo umano creato e gestito dalla collaborazione fra tutti gli uomini». | Ne '''''Il Castello''''' viene descritta «una [[società]] in cui gli abitanti del villaggio, controllati dal governo e dai suoi impiegati anche nei dettagli più intimi della loro vita ed asserviti anche nei loro pensieri a quelli che hanno il [[potere]], si sono resi conto già da tempo che l'aver torto o ragione è un "destino" in cui non è dato di mutare nulla». Il protagonista del romanzo, K. l'agrimensore, è invece «un uomo di buona [[Volontarismo|volontà]] <ref>Dagli ''Aforismi di Zürau'': «Se fosse così, che tu procedi su un piano, con la buona volontà di andare avanti e però fai dei passi indietro, allora sarebbe una situazione disperata; ma poiché ti stai arrampicando su un pendio ripido, così ripido come tu stesso appari visto dal basso, i passi indietro possono anche essere causati soltanto dalla natura del terreno e non devi disperare».</ref>: non chiede mai nulla di più del giusto, ma non è neanche disposto ad accontentarsi di meno. [...] E con crescente terrore K. si accorge che quella normalità, quella umanità, quei diritti umani che lui ha sempre creduto naturali per gli altri in realtà non esistono affatto. [...] Non c'è posto per uomini di buona [[Volontarismo|volontà]] che vogliano decidere della propria vita». La paura degli abitanti del villaggio è però infondata: non si avvera nessuna delle infauste previsioni che essi fanno sul conto del protagonista: «A K. non succede proprio niente; solo la sua richiesta di un regolare permesso di soggiorno continua ad essere respinta con mille pretesti dal Castello. [...] Tuttavia, sebbene non sia riuscito a realizzare i suoi propositi, la sua vita non è stata affatto un completo fallimento. La lotta da lui sostenuta per strappare alla società i diritti che gli spettavano ha, se non altro, aperto gli occhi a parecchi abitanti del villaggio. La storia ed il comportamento di K. hanno insegnato loro che vale la pena di lottare per i propri diritti umani e che la legge del Castello, non essendo di natura divina, può essere contestata». <ref>[[Hannah Arendt|Arendt]] indica a tal proposito un passaggio chiave del romanzo: «Hai una straordinaria visione delle cose [...] A volte mi aiuti con una parola, certamente perché vieni da fuori. Invece noi, con le nostre terribili esperienze e continue ansie, ci spaventiamo senza difenderci ad ogni scricchiolio, e se uno ha paura subito ce l'ha anche l'altro pur senza sapere esattamente perché. In questo modo non si riesce più a dare una giusta valutazione delle cose. [...] Che fornuna per noi che sei venuto!».</ref> Secondo [[Hannah Arendt|Arendt]] ''Il Castello'' mette in luce un'importante verità: «Chi si sente lontano dalle regole semplici e fondamentali dell'umanità o chi sceglie di vivere in uno stato d'emarginazione, anche se costrettovi perché vittima di una persecuzione, non può vivere una vita veramente umana. [...] nella società contemporanea le forze di un singolo [[individuo]] possono bastare a costruirsi una carriera, ma non a soddisfare il bisogno elementare di vivere una esistenza umana. Solo nell'ambito di un popolo l'[[individuo]] può vivere come un uomo fra gli uomini senza rischiare di morire per mancanza di forze. E solo un popolo in comunità con altri popoli può contribuire a costruire sulla terra un mondo umano creato e gestito dalla collaborazione fra tutti gli uomini». | ||
Secondo [[Hannah Arendt|Arendt]] nei romanzi kafkiani «La funzione del protagonista è sempre la stessa: scopre che il mondo e la [[società]] normali sono in realtà anormali, che i giudizi unanimemente accettati delle persone più rispettabili sono sostanzialmente follie e che le azioni condotte secondo le regole del gioco finiscono per rovinare tutti. Gli eroi di Kafka non sono spinti da convinzioni [[rivoluzionarie]], ma esclusivamente dalla buona [[Volontarismo|volontà]] che, quasi inconsapevolmente ed involontariamente, mette a nudo le strutture segrete di questo mondo. [...] I suoi romanzi rappresentano [...] una distruzione anticipata del mondo: dalla sue rovine fa sorgere l'immagine sublime d'un [[individuo]] ideale che con la sua buona [[Volontarismo|volontà]] può davvero spostare montagne, costruire nuovi mondi e pure passare indenne attraverso la distruzione e le macerie di tutte le precedenti costruzioni difettose e vacillanti perché a lui, infatti, solo che egli sia di buona [[Volontarismo|volontà]], gli dei hanno dato un cuore indistruttibile. <ref>Dagli ''Aforismi di Zürau'': «L'uomo non può vivere senza una costante fiducia in qualcosa di indistruttibile dentro di sé, anche se quell'indistruttibile come pure quella fiducia possono rimanergli costantemente nascosti. Una delle possibilità di esprimersi, per tale rimanere nascosto, è la fede in un Dio personale». «In teoria esiste una perfetta possibilità di felicità: credere nell'indistruttibile in sé e non aspirare ad esso». «L'indistruttibile è uno; ogni singolo uomo lo è e al tempo stesso è comune a tutti, da qui il legame fra gli uomini, indissolubile come nessun altro». </ref> E poiché gli eroi di Kafka non sono persone con cui venga naturale identificarsi, bensì soltanto dei modelli che sono abbandonati nell'anonimato a dispetto dei loro nomi, ci sembra quasi che ognuno di noi sia chiamato ed esortato con quei nomi. Infatti, quest'uomo di buona [[Volontarismo|volontà]] può essere chiunque ed ognuno, forse persino io e te». | Secondo [[Hannah Arendt|Arendt]] nei romanzi kafkiani «La funzione del protagonista è sempre la stessa: scopre che il mondo e la [[società]] normali sono in realtà anormali, che i giudizi unanimemente accettati delle persone più rispettabili sono sostanzialmente follie e che le azioni condotte secondo le regole del gioco finiscono per rovinare tutti. Gli eroi di Kafka non sono spinti da convinzioni [[rivoluzionarie]], ma esclusivamente dalla buona [[Volontarismo|volontà]] che, quasi inconsapevolmente ed involontariamente, mette a nudo le strutture segrete di questo mondo. [...] I suoi romanzi rappresentano [...] una distruzione anticipata del mondo: dalla sue rovine fa sorgere l'immagine sublime d'un [[individuo]] ideale che con la sua buona [[Volontarismo|volontà]] può davvero spostare montagne, costruire nuovi mondi e pure passare indenne attraverso la distruzione e le macerie di tutte le precedenti costruzioni difettose e vacillanti perché a lui, infatti, solo che egli sia di buona [[Volontarismo|volontà]], gli dei hanno dato un cuore indistruttibile. <ref>Dagli ''Aforismi di Zürau'': «L'uomo non può vivere senza una costante fiducia in qualcosa di indistruttibile dentro di sé, anche se quell'indistruttibile come pure quella fiducia possono rimanergli costantemente nascosti. Una delle possibilità di esprimersi, per tale rimanere nascosto, è la fede in un Dio personale». «In teoria esiste una perfetta possibilità di felicità: credere nell'indistruttibile in sé e non aspirare ad esso». «L'indistruttibile è uno; ogni singolo uomo lo è e al tempo stesso è comune a tutti, da qui il legame fra gli uomini, indissolubile come nessun altro». </ref> E poiché gli eroi di Kafka non sono persone con cui venga naturale identificarsi, bensì soltanto dei modelli che sono abbandonati nell'anonimato a dispetto dei loro nomi, ci sembra quasi che ognuno di noi sia chiamato ed esortato con quei nomi. Infatti, quest'uomo di buona [[Volontarismo|volontà]] può essere chiunque ed ognuno, forse persino io e te». |
Versione delle 20:54, 22 ago 2022
Franz Kafka (Praga 3 luglio 1883 - Kierling presso Vienna 3 giugno 1924) è stato uno scrittore boemo di lingua tedesca, considerato uno dei maggiori del XX secolo, nonché un simpatizzante dell'anarchismo in età giovanile e un autore profondamente influenzato dalle istanze più autenticamente libertarie in campo etico e filosofico.
Biografia
Franz Kafka nacque il 3 luglio 1883 in una famiglia ebrea della media borghesia di Praga. Il padre, ebreo di lingua ceca e d'origine contadina arricchitosi grazie alla sua attività di commerciante, volle inserire il figlio negli ambienti tedeschi poiché gli ebrei tedeschi, cui apparteneva la madre, costituivano il ceto privilegiato per cultura e benessere economico; egli era un tipico "assimilato" (cioè occidentalizzato), poco interessato sia alla cultura che alla tradizione ebraica e privo di quella sensibilità, non solo artistica, che caratterizzò il figlio. Come era comune per la borghesia di Praga di quel periodo storico, la famiglia era di madrelingua tedesca.
Oltre ai fratelli Georg e Heinrich, i quali morirono da piccoli, Franz aveva tre sorelle minori, a cui era molto affezionato: Elli, Valli e Ottla, morte nei campi di concentramento nazisti. Franz Kafka, come del resto i suoi genitori, faceva parte di quel dieci per cento degli abitanti di Praga di lingua madre tedesca, tuttavia parlava bene anche il ceco.
Dal 1889 al 1893, Kafka frequentò la Deutsche Knabenschule in Fleischmarkt, a Praga, quindi andò al liceo, dove cominciò ad interessarsi alla scrittura. Terminò gli studi e si diplomò nel 1901.
Da giovane si interessò ai problemi culturali della sua epoca e si avvicinò al socialismo. Iniziò gli studi letterari nel 1902 a Monaco di Baviera, ma li interruppe, assecondando il volere della famiglia, per frequentare la facoltà di giurisprudenza, dove si laureò nel 1906. Fece pratica legale, lavorò fino al 1908 alle Assicurazioni Generali poi all'Istituto di Assicurazioni contro gli Infortuni sul Lavoro del Regno di Boemia. Iniziò a scrivere solo nel tempo libero, poiché il padre gli rimproverava la sua passione (la relazione di Kafka con il padre autoritario è un tema importante nelle sue opere). Nel 1917 si ammalò di tubercolosi, che gli causò frequenti convalescenze.
Le donne della sua vita furono poche: Felice Bauer, con cui ebbe un breve fidanzamento, Grete Bloch, con la quale ebbe una piccola storia nel 1913, Milena Jesenská, con cui ebbe una relazione intorno al 1920 e, negli ultimi anni della sua vita, Dora Diamant, che lo assistete anche sul letto di morte.
Nel 1923 si trasferì temporaneamente a Berlino, nella speranza di allontanarsi dall'influenza della famiglia e potersi dedicare allo scrivere. La sua tubercolosi peggiorò, ritornò a Praga e poi andò a curarsi nel sanatorio di Kierling presso Vienna, dove morì il 3 giugno 1924.
Il suo corpo fu riportato a Praga dove fu cremato l'11 giugno 1924 nel nuovo cimitero ebraico di Praga (Žižkov), insieme al padre Hermann e alla madre Julie.
Opere
« Il tono della sua opera è quello dell'estrema sinistra; riducendolo all'eterno umano lo si tradisce subito nel modo più conformista. »
- ~ Theodor Adorno (Prismi)
« Nessun'altra opera è tanto risolutamente schierata contro l'accettazione di un principio supremo esterno a chi pensa. »
- ~ André Breton (Antologia dello humour nero)
Tutta l'opera di Kafka con le sue caratteristiche più proprie - solitudine e disperazione dell'uomo, estraneità delle cose, ansia e nevrosi - può essere vista come una testimonianza della volontà dell'essere umano di non essere sopraffatto. La sete infinita di libertà [1] si esprime nelle diverse situazioni che sono al centro dei suoi principali testi letterari, ma prima di tutto nel modo radicalmente critico con cui è ritratto il volto ossessivo e angosciante della non-libertà: l'autorità. L'ideale libertario non compare mai in quanto tale nei suoi romanzi e nei suoi racconti: esiste solo in negativo, come critica di un mondo completamente privo di libertà, soggetto alla logica assurda e arbitraria di un apparato onnipotente. Come ha osservato Franz Baumer, «la volontà di libertà che motiva i personaggi di Kafka è il tratto rivoluzionario del suo pensiero e della sua opera; si tratta sempre di una libertà assoluta». Non si tratta di una dottrina politica, ma di uno stato d'animo, di una sensibilità critica, le cui armi principali sono l'ironia, lo humour, quello humour nero che secondo André Breton è «una rivolta superiore dello spirito». [2] Pertanto, i romanzi di Kafka on sono portatori di un messaggio politico o dottrinario, ma esprimono un certo spirito antiautoritario, una distanza critica e ironica nei confronti delle gerarchie e dei poteri burocratici e giudiziari.
Perfezionista insoddisfatto dei suoi scritti, Kafka pubblicò solo qualche raccolta di prose e nel 1906 La Metamorfosi. Prima di morire, diede istruzioni al suo amico ed esecutore testamentario Max Brod di distruggere tutti i suoi manoscritti e di assicurarsi che non avrebbero mai visto la luce del sole. Ciononostante, Brod non seguì le istruzioni di Kafka e sovrintendette alla pubblicazione della maggior parte dei suoi lavori, che presto attrassero l'attenzione della critica.
Le sue opere più note sono tre romanzi incompiuti (America, Il processo, Il castello), rivisti e dati alle stampe postumi dall'amico Max Brod, e una notevole mole di scritti autobiografici.
I suoi scritti mostrano una particolare capacità di immaginare situazioni inusuali nel vissuto quotidiano, assumendo a volte aspetti onirici (spesso incubi, più che sogni). Il protagonista è in qualche modo identificabile con l'autore, anche dal nome (il Josef K. è il protagonista de Il processo, K. è il protagonista de Il castello). Lo stile di Kafka è notevole per i suoi toni cupi e per come riesce ad esprimere i temi dell'alienazione e della persecuzione.
Altri racconti importanti pubblicati in vita sono: Richard e Samuel (1911), Il fuochista (1913), La condanna (1912), La metamorfosi (1912), Nella colonia penale [3] (1914), Un sogno (1914-15), Un medico di campagna (1916-17), Un vecchio foglio (1917), Due storie di animali (1917).
Il Processo (Der Proceß) e Il Castello (Das Schloß): la lettura di Hannah Arendt
Nei saggi Franz Kafka: l'uomo di buona volontà e Franz Kafka: il costruttore di modelli Hannah Arendt analizza alcune opere di Kafka, tra cui Il Processo e Il Castello, sottraendole totalmente ad interpretazioni teologiche e psicologiche.
Ne Il Processo la sottomissione di Josef K., protagonista di un'assurda e terribile odissea giudiziaria che lo vede arrestato, processato e condannato senza mai avere contezza del proprio capo d'accusa, non avviene «con mezzi violenti, ma semplicemente con il crescente senso di colpa che l'accusa vuota ed immotivata riesce a destare nell'imputato [...] Al funzionamento della diabolica macchina burocratica in cui l'innocente si trova preso si accompagna, quindi, una evoluzione interiore provocata dal senso di colpa. Dal suo progredire il protagonista viene "educato", modificato e formato tanto da venir adattato al ruolo che si è escogitato per lui e che lo rende semplice compartecipe del gioco universale della necessità, dell'ingiustizia e della menzogna. Questo è il modo in cui il protagonista si adatta alla sua situazione, e questi due processi concomitanti, l'evoluzione interiore e il funzionamento della macchina, s'incontrano infine nella scena conclusiva, quando K. si lascia portar via e poi giustiziare, senza la minima protesta o resistenza. Viene ucciso perché è "necessario", e si sottomette per questa necessità e per il turbamento dovuto al suo senso di colpa. E la sola speranza che balena alla fine del romanzo resta: "Era come se la vergogna dovesse sopravvivergli". La vergogna, cioè, che tale sia l'ordine del mondo e che lui, Josef K., ne sia, anche se vittima, un docile membro».
Ne Il Castello viene descritta «una società in cui gli abitanti del villaggio, controllati dal governo e dai suoi impiegati anche nei dettagli più intimi della loro vita ed asserviti anche nei loro pensieri a quelli che hanno il potere, si sono resi conto già da tempo che l'aver torto o ragione è un "destino" in cui non è dato di mutare nulla». Il protagonista del romanzo, K. l'agrimensore, è invece «un uomo di buona volontà [4]: non chiede mai nulla di più del giusto, ma non è neanche disposto ad accontentarsi di meno. [...] E con crescente terrore K. si accorge che quella normalità, quella umanità, quei diritti umani che lui ha sempre creduto naturali per gli altri in realtà non esistono affatto. [...] Non c'è posto per uomini di buona volontà che vogliano decidere della propria vita». La paura degli abitanti del villaggio è però infondata: non si avvera nessuna delle infauste previsioni che essi fanno sul conto del protagonista: «A K. non succede proprio niente; solo la sua richiesta di un regolare permesso di soggiorno continua ad essere respinta con mille pretesti dal Castello. [...] Tuttavia, sebbene non sia riuscito a realizzare i suoi propositi, la sua vita non è stata affatto un completo fallimento. La lotta da lui sostenuta per strappare alla società i diritti che gli spettavano ha, se non altro, aperto gli occhi a parecchi abitanti del villaggio. La storia ed il comportamento di K. hanno insegnato loro che vale la pena di lottare per i propri diritti umani e che la legge del Castello, non essendo di natura divina, può essere contestata». [5] Secondo Arendt Il Castello mette in luce un'importante verità: «Chi si sente lontano dalle regole semplici e fondamentali dell'umanità o chi sceglie di vivere in uno stato d'emarginazione, anche se costrettovi perché vittima di una persecuzione, non può vivere una vita veramente umana. [...] nella società contemporanea le forze di un singolo individuo possono bastare a costruirsi una carriera, ma non a soddisfare il bisogno elementare di vivere una esistenza umana. Solo nell'ambito di un popolo l'individuo può vivere come un uomo fra gli uomini senza rischiare di morire per mancanza di forze. E solo un popolo in comunità con altri popoli può contribuire a costruire sulla terra un mondo umano creato e gestito dalla collaborazione fra tutti gli uomini».
Secondo Arendt nei romanzi kafkiani «La funzione del protagonista è sempre la stessa: scopre che il mondo e la società normali sono in realtà anormali, che i giudizi unanimemente accettati delle persone più rispettabili sono sostanzialmente follie e che le azioni condotte secondo le regole del gioco finiscono per rovinare tutti. Gli eroi di Kafka non sono spinti da convinzioni rivoluzionarie, ma esclusivamente dalla buona volontà che, quasi inconsapevolmente ed involontariamente, mette a nudo le strutture segrete di questo mondo. [...] I suoi romanzi rappresentano [...] una distruzione anticipata del mondo: dalla sue rovine fa sorgere l'immagine sublime d'un individuo ideale che con la sua buona volontà può davvero spostare montagne, costruire nuovi mondi e pure passare indenne attraverso la distruzione e le macerie di tutte le precedenti costruzioni difettose e vacillanti perché a lui, infatti, solo che egli sia di buona volontà, gli dei hanno dato un cuore indistruttibile. [6] E poiché gli eroi di Kafka non sono persone con cui venga naturale identificarsi, bensì soltanto dei modelli che sono abbandonati nell'anonimato a dispetto dei loro nomi, ci sembra quasi che ognuno di noi sia chiamato ed esortato con quei nomi. Infatti, quest'uomo di buona volontà può essere chiunque ed ognuno, forse persino io e te».
Davanti alla Legge
Davanti alla legge (Vor dem Gesetz) è una storia contenuta nel romanzo Il Processo: vi si racconta di un uomo che attende per tutta la vita davanti alla porta aperta della Legge, il cui ingresso gli è vietato dal guardiano con le parole «non ora», che lasciano intravedere un consenso futuro. Quando l'uomo giunge alal fine della sua resistenza e della sua vita, il guardiano gli rivela che quella porta era aperta solo per lui, e la richiude. Secondo alcuni interpreti, l'uomo si è fatto intimidire: non è la forza che gli impedisce di entrare, ma la paura, la mancanza di fiducia in se stesso, la falsa obbedienza all'autorità, la sottomissione passiva. «È perduto perché non osa mettere la propria legge personale al di sopra dei tabù collettivi, la cui tirannia è rappresentata dal guardiano». [7] La ragione profonda per la quale l'uomo non varca la barriera verso la Legge e verso la vita è la paura, l'esitazione, la mancanza di ardimento. Il timore di colui che implora il diritto di entrare è ciò che dà al guardiano la forza di sbarragli la strada. [8] La naturale conseguenza di questa sottomissione passiva è la schiavitù volontaria [9] [10], motore della gerarchia, tema che Kafka aveva certamente trovato nell'opera di uno scrittore che adorava: Fëdor Dostoevskij. [11]
Contatti con l'anarchismo [12]
Kafka, da sempre sensibile alle ingiustizie e alle ineguaglianze sociali (Hugo Bergmann ricordava che a scuola Franz era l'unico, tra i suoi compagni, a portare un nastrino rosso all'occhiello della giacca), fu continuativamente interessato alle varie correnti della sinistra rivoluzionaria, mostrando interesse tanto per gli eventi della rivoluzione russa quanto per il pensiero libertario. Le testimonianze che seguono descrivono i legami di Kafka con gli ambienti socialisti libertari praghesi.
La testimonianza di Michal Kacha
Max Brod ha raccolto da uno dei fondatori del movimento anarchico ceco, Michal Kacha, alcune indicazioni riguardanti la presenza di Kafka alle riunioni del Klub Mladych (Club dei Giovani), organizzazione libertaria, antimilitarista e anticlericale.
La testimonianza di Michal Mareš
Secondo Michal Mareš [13], scrittore anarchico, Kafka avrebbe partecipato nell'ottobre del 1909 ad una manifestazione contro l'esecuzione di Francisco Ferrer y Guardia e durante gli anni 1910-1912 avrebbe preso parte ad alcune conferenze anarchiche sull'amore libero, sulla Comune di Parigi, per la pace e contro l'esecuzione del militante parigino Liabeuf, organizzate dal Club dei Giovani, dal circolo Vilem Körber (antimilitarista e anticlericale) e dal movimento anarchico (in occasione di queste riunioni avrebbe incontrato un ex compagno di studi, Rudolf Illowy, oltre a vari scrittori e poeti, come Stanislav Kostka Neumann, Fraňa Šrámek, Karel Toman o Jaroslav Hašek). Secondo Mareš «Kafka non faceva parte di nessuna di quelle organizzazioni anarchiche, ma aveva per esse una forte simpatia, da uomo sensibile e aperto ai problemi sociali». Lo stesso interesse si sarebbe manifestato anche nelle sue letture: Parole di un ribelle di Kropotkin (il libro regalatogli dallo stesso Mareš), gli scritti dei fratelli Reclus, di Bakunin e di Jean Grave. Secondo Mareš Kafka avrebbe manifestato interesse anche per Emma Goldman (si veda il paragrafo Kafka e le donne socialiste).
La testimonianza di Gustav Janouch
Nelle Conversazioni con Kafka [14] di Gustav Janouch, poeta, compositore e studioso di musica, Kafka definisce gli anarchici cechi «persone molto gentili e molto divertenti» e le idee politiche e sociali che esprime sono fortemente segnate dalla corrente libertaria e la sua visione del capitalismo come sistema gerarchizzato di dominio è vicina a quella anarchica per l'insistenza sul carattere autoritario del sistema. Questa visione è esplicitata durante una discussione con Janouch riguardo a una caricatura di George Grosz che rappresenta il capitale come un grassone seduto sui soldi dei poveri: secondo Kafka «l'immagine è insieme giusta e sbagliata. Giusta solo in un senso. [...] Il grassone con il cappello a cilindro vive alle spalle dei poveri che opprime, è giusto. Ma è completamente sbagliato che quel ciccione sia il capitalismo. Egli domina i poveri nel contesto di un dato sistema, ma non è lui il sistema. Non ne è nemmeno il padrone. Anzi, anche lui ne porta le catene, che non sono rappresentate nel disegno. [...] Il capitalismo è un sistema di dipendenze che procedono [...] dall'alto al basso e dal basso all'alto. Tutto è dipendente, tutto è concatenato. Il capitalismo è una condizione del mondo e dell'anima». [15] L'atteggiamento scettico di Kafka rispetto al movimento operaio organizzato sembra ispirato alla diffidenza libertaria nei confronti dei partiti e delle istituzioni politiche: dietro agli operai che sfilano in una manifestazione di strada «ci sono già i segretari, i burocrati, i politici di professione, tutti i sultani moderni ai quali essi stanno preparando la strada... La rivoluzione evapora e resta soltanto il vaso di una nuova burocrazia. Le catene dell'umanità torturata sono di carta da ufficio».
La testimonianza di Leopold Kreitner
Secondo Leopold Kreitner, ex studente del liceo dove aveva studiato Kafka ed autore di un articolo uscito con il titolo Ritratto di Kafka da giovane, lo scrittore praghese «negli ultimi anni dell'università e in quelli decisivi che seguirono si era rivolto, sul piano filosofico e politico, verso una sorta di cosmopolitismo socialista e aveva respinto qualsiasi forma di nazionalismo». Kreitner ricorda di avere appreso da Jaroslav Hašek e da Karel Toman, poeta anarchico, che Kafka «partecipava spesso» agli incontri del Club dei Giovani, un gruppo di poeti e scrittori cechi che si trovavano nel piccolo albergo U Brejsku, «dove si svolgevano discussioni animate di letteratura, arte, filosofia e si esprimevano opinioni in gran parte anarchizzanti». [16]
Interesse per le idee anarchiche [12]
Per approfondire, vedi Anarchismo esistenzialista: Kafka e Buber. |
« Il momento decisivo per l'evoluzione umana è permanente. Per questo i movimenti intellettuali rivoluzionari che dichiarano irrilevante tutto ciò che è accaduto in precedenza sono nel giusto, perché ancora nulla è accaduto. »
- ~ Franz Kafka (Aforismi di Zürau)
« Kafka si è messo fin dall'inizio dalla parte degli umili [...], prova avversione per tutto ciò che s'innalza sul piedistallo della potenza. »
- ~ Elias Canetti (L'altro processo. Le lettere di Kafka a Felice) [17]
« Tra tutti i poeti, Kafka è il maggiore esperto del potere. L'ha vissuto e configurato in tutti i suoi aspetti. »
- ~ Elias Canetti (L'altro processo. Le lettere di Kafka a Felice) [18]
L'interesse di Kafka per le idee anarchiche è confermato da numerosi riferimenti nelle pagine intime da lui scritte, riferimenti nei quali il filo conduttore è rappresentato dal rapporto con la figura paterna (descritto nella celebre Lettera al padre del 1919) e dalla connessione intima tra la ribellione contro il "giogo domestico" patriarcale e la rivolta contro lo Stato. Scrive Claude David: «Se nel pensiero di Kafka c'è un'idea essenziale, è quella del potere; il mondo si organizza secondo rapporti di potere; si erige tutta una gerarchia che va fino al lontano imperatore della Cina, fino al truce proprietario del Castello. Il potere più vicino, però, il più noto [...] è quello del padre, il primo livello di quella società di potenti». [19] Theodor Adorno sottolinea come l'opera letteraria di Kafka sia «in gran parte la reazione a un potere senza limiti» e aggiunge: «Quel potere di patriarchi invasati, Benjamin lo chiama parassitario: esso si nutre della vita che schiaccia sotto i suoi piedi». [20]
Kafka e Otto Gross
In una lettera a Max Brod del novembre 1917 Kafka manifesta il proprio entusiasmo per un progetto di rivista - Fogli di lotta alla volontà di potenza - proposta dall'anarchico freudiano Otto Gross. [21] L'arresto a Berlino di Otto Gross nel 1913 e il successivo internamento in un istituto psichiatrico, l'ennesimo, aveva fatto scalpore, suscitando una violenta campagna stampa in cui avevano fatto sentire la propria voce molti intellettuali, che vedevano in Hans Gross, il padre, il mandante di quell'azione di polizia. Kafka era al corrente della vicenda, e una eco degli eventi di Berlino si ritrova sicuramente nell'inizio de Il processo, lì dove i gendarmi prelevano Josef K., che non trova i propri documenti, proprio come era accaduto a Berlino a Gross. Il conflitto tra i Gross era assurto a paradigma della lotta contro il padre, tipico della generazione di Kafka.
Kafka e Pētr Kropotkin
Nei Diari di Kafka si trova questo imperativo categorico: «Non dimenticare Kropotkin!». Uno dei temi forti del libro di Kropotkin Memorie di un rivoluzionario (1887) è quello della lotta dei figli contro il «dispotismo dei padri», gran sostenitori del servaggio. Il giovane principe aveva dovuto subire di persona l'autoritarismo paterno: la sua simpatia andava ai domestici e ai servitori soggetti alla brutalità e ai capricci del capofamiglia. Per questo aveva preso le «parti dei servi» (per usare una formula che Kafka adotta nella Lettera al padre), giurando solennemente: «Io non sarò mai come lui!». [22] Secondo Kropotkin è la rivolta dei giovani delle classi agiate «contro la schiavitù domestica», fatta di dispotismo paterno e di una «sottomissione ipocrita da parte delle mogli, dei figli e delle figlie», che li spinge a criticare lo stato di cose esistente e a diventare «nichilisti» ovvero nemici giurati dell'autocrazia zarista e del servaggio. In quasi tutte le familgie ricche - scrive Kropotkin - era in corso una lotta accanita «tra i padri e i figli e le figlie, che difendevano il proprio diritto di disporre della propria esistenza secondo il proprio ideale». [23]
Kafka e Aleksandr Herzen
Secondo Brod uno dei libri preferiti di Kafka è Passato e presente di Aleksandr Herzen, più volte citato nei Diari. Anche in questo caso colpisce l'importanza dello scontro con la tirannia paterna nella vocazione del ribelle: «Derisione, sarcasmo e un profondo disprezzo, freddo e caustico: ecco le armi che mio padre utilizzava come un artista, utilizzandole contro di noi [i suoi figli] e contro i servitori [...]. Io ero un estraneo per mio padre e mi sono unito alle cameriere e ai servitori, conducendo una piccola guerra conro di lui».
Kafka e Arthur Holitscher
L'opera Amerika heute und morgen (1912) di Arthur Holitscher fu una delle fonti principali del romanzo America. Holitscher non nascondeva la propria simpatia per gli anarco-sindacalisti dell'Industrial Workers of the World, per William Haywood ed Emma Goldman, mettendo a confronto la loro combattività e il loro radicalismo con l'incoerenza del "socialismo accademico" dei dirigenti socialdemocratici, persi nei meandri della «macchina dei compromessi» parlamentare. [24] Nell'autobiografia di Holitscher, pubblicata nel 1924 con il titolo Storia della vita di un ribelle, che Kafka, come attesta la sua corrispondenza, lesse nel marzo di quell'anno, l'autore racconta della propria ribellione contro i genitori borghesi, la sua attrazione per il socialismo e poi per l'anarchismo (Ravachol, Reclus, Grave, Kropotkin). [25]
Kafka e le donne socialiste
Ne Il castello, il cui tema Elias Canetti indica nell'«umiliazione imposta dal potere» [26], Amalia è uno di quei rari personaggi dei romanzi kafkiani che incarna il rifiuto dell'obbedienza, la rivolta, la dignità umana: sfida l'autorità respingendo le avances del funzionario Sortini e viene messa al bando insieme alla sua famiglia. Kafka nutriva simpatia e attrazione per le donne coraggiose e indomite, che non avevano paura di affrontare qualsiasi ostacolo, figure femminili il cui archetipo era la sorella Ottla, che Franz ammirava per come sapeva opporsi all'autorità paterna. Lo scrittore praghese era interessato alle memorie di donne socialiste che avevano votato la propria esistenza alla lotta per l'emancipazione femminile.
Michal Mareš cita tra le letture di Kafka il libro Memorie di un'Idealista di Mawilda von Meysenbug, democratica rivoluzionaria vicina al socialismo, amica di Garibaldi e Mazzini, governante dei figli di Herzen, combattente del 1848, esule a Londra, aveva fatto fin da giovane la scelta di «liberarsi dall'autorità della famiglia» per seguire la proprie «convinzioni personali» e battersi per i diritti delle donne.
In una lettera a Minze Eisner del novembre del 1920, Kafka raccomanda all'amica la lettura delle Memorie di una socialista di Lily Braun, «una donna ammirevole che ha sofferto molto per la morale della sua classe [la borghesia] (una morale che è in ogni senso ipocrita, pur se al di là comincia l'oscurità della coscienza), ma ha seguito la sua strada lottando come un angelo guerriero». [27]
Kafka e i kibbutzim
Secondo Dora Diamant, ultima fidanzata di Kafka, citata dall'amico di Kafka Felix Weltsch, lo scrittore praghese, «ogni volta che ne aveva occasione», interrogava le persone che incontrava riguardo alla Palestina. Era particolarmente interessato al movimento dei pionieri, l'Halutz. Dall'inizio del XX secolo fino alla metà degli anni '20 una gran parte del movimento dei kibbutzim era ispirata dalle idee libertarie di Kropotkin, Gustav Landauer e Martin Buber.
Note
- ↑ In una lettera alla fidanzata Felice Bauer del 19 ottobre 1916, Kafka scrive: «Io che quasi sempre non riesco a essere indipendente, ho una sete infinita di autonomia, d'indipendenza, di libertà in tutti i sensi [...]. Qualsiasi vincolo che non è creato da me stesso, foss'anche contro parti del mio io, è senza valore, m'impedisce di avanzare, lo odio o sono molto vicino a detestarlo».
- ↑ Da Paratonnerre, introduzione all'Anthologie de l'humour noir, Éditions su Sagittaire, Parigi, 1950.
- ↑ Lo storico Enzo Traverso ha osservato: «Nella colonia penale sembrava annunciare i massacri anonimi del XX secolo, nei quali l'uccisione di massa diventa un'operazione tecnica sempre più sottratta all'intervento diretto degli uomini. [...] L'erpice immaginato da Kafka, che incideva sulla pelle della vittima la sentenza capitale, ricorda in modo impressionante il tatuaggio Häftlinge ad Auschwitz, quel numero indelebile che, come dice Primo Levi, faceva sentire "la propria condanna scritta sulla carne"» (da L'Historie déchirée. Essai sur Auschwitz et les intellectuels, Cerf, Parigi, 1997, pp. 52-53).
- ↑ Dagli Aforismi di Zürau: «Se fosse così, che tu procedi su un piano, con la buona volontà di andare avanti e però fai dei passi indietro, allora sarebbe una situazione disperata; ma poiché ti stai arrampicando su un pendio ripido, così ripido come tu stesso appari visto dal basso, i passi indietro possono anche essere causati soltanto dalla natura del terreno e non devi disperare».
- ↑ Arendt indica a tal proposito un passaggio chiave del romanzo: «Hai una straordinaria visione delle cose [...] A volte mi aiuti con una parola, certamente perché vieni da fuori. Invece noi, con le nostre terribili esperienze e continue ansie, ci spaventiamo senza difenderci ad ogni scricchiolio, e se uno ha paura subito ce l'ha anche l'altro pur senza sapere esattamente perché. In questo modo non si riesce più a dare una giusta valutazione delle cose. [...] Che fornuna per noi che sei venuto!».
- ↑ Dagli Aforismi di Zürau: «L'uomo non può vivere senza una costante fiducia in qualcosa di indistruttibile dentro di sé, anche se quell'indistruttibile come pure quella fiducia possono rimanergli costantemente nascosti. Una delle possibilità di esprimersi, per tale rimanere nascosto, è la fede in un Dio personale». «In teoria esiste una perfetta possibilità di felicità: credere nell'indistruttibile in sé e non aspirare ad esso». «L'indistruttibile è uno; ogni singolo uomo lo è e al tempo stesso è comune a tutti, da qui il legame fra gli uomini, indissolubile come nessun altro».
- ↑ Marthe Robert, Seul comme Franz Kafka, Calmann Lévy, Parigi, 1979, p. 162.
- ↑ Dagli Aforismi di Zürau: «Le gioie di questa vita non sono le sue, ma la nostra paura di ascendere a una vita superiore; i tormenti di questa vita non sono i suoi, ma il tormento che ci procuriamo noi stessi per via di quella paura».
- ↑ Dagli Aforismi di Zürau: «Una volta accolto in noi, il male non chiede più che gli si creda».
- ↑ Si veda anche il Discorso sulla servitù volontaria di Étienne de La Boétie.
- ↑ Da Il sogno di un uomo ridicolo: «Comparve la schiavitù, comparve perfino la schiavitù volontaria: i deboli si assoggettavano volentieri ai più forti, a patto solo che questi li proteggessero e li aiutassero a schiacciare quelli che erano ancor più deboli di loro».
- ↑ 12,0 12,1 Capitolo redatto sulla base di Kafka sognatore e ribelle, di Michael Löwy, Elèuthera, 2007.
- ↑ Come ho conosciuto Franz Kafka, di Michal Mareš, in appendice a Franz Kafka 1883-1912: biografia della giovinezza, di Klaus Wagenbach, Einaudi, Torino, 1972.
- ↑ Gustav Janouch, Conversazioni con Kafka, Guanda, Parma, 2005.
- ↑ La stessa visione si trova in uno degli Aforismi di Zürau: «Egli è un cittadino libero e sicuro della terra, poiché è legato a una catena che è lunga quanto basta per dargli libero accesso a tutti gli spazi della terra, e tuttavia lunga solo quel tanto per cui nulla può trascinarlo oltre i confini della terra. Ma al tempo stesso egli è anche un cittadino libero e sicuro del cielo, poiché è legato anche a una catena celeste, regolata in modo simile. Così, se vuole scendere sulla terra lo strozza il collare del cielo, se vuole salire in cielo quello della terra. E ciò nonostante egli ha tutte le possibilità e lo sente, anzi si rifiuta di ricondurre addirittura il tutto a un errore commesso nel primo incatenamento».
- ↑ Leopold Kreitner, Kafka as a Young Man, Connecticut Review n. 2, 1970, pp. 28-32.
- ↑ Da Der andere Prozeß. Kafkas Briefe an Felice, L'altro processo. Le lettere di Kafka a Felice, Carl Hanser Verlag, Monaco, 1969, pp. 89-90.
- ↑ «Poiché teme il potere (Macht) in tutte le sue forme, poiché la tendenza autentica della sua vita consiste nel sottrarsene, lo sente, lo riconosce, lo nomina, lo configura (gestaltet) dove altri lo accettano come un fatto scontato» (da Der andere Prozeß. Kafkas Briefe an Felice, L'altro processo. Le lettere di Kafka a Felice, Carl Hanser Verlag, Monaco, 1969, pp. 93-94).
- ↑ Dalla prefazione a Kafka, Œuvres complètes, Bibliothèque de la Pléiade, Parigi, 1976.
- ↑ Theodor Adorno, Prismen, Prismi, Suhrkamp, Francoforte sul Meno, 1955, p. 236. Adorno si riferisce probabilmente a un passo dell'articolo di Walter Benjamin su Kafka: «Nelle strane famiglie di Kafka, il padre si nutre del figlio, standogli addosso come un enorme parassita».
- ↑ «Se c'è una rivista che mi è parsa interessante da tanto tempo [...] è quella del dottor Gross» (Franz Kafka, Correspondance 1902-1924, Gallimard, Parigi, 1965, p. 236).
- ↑ Mémoires d'un révolutionnaire, Scala, Parigi, 1989, p. 52.
- ↑ Mémoires d'un révolutionnaire, Scala, Parigi, 1989, pp. 305-309.
- ↑ Arthur Holitscher, Amerika heute und morgen, Fischer Verlag, Francoforte sul Meno, 1912, pp.376-381.
- ↑ Arthur Holitscher, Lebensgeschichte Rebellen. Meine Erinnerungen, Fischer Verlag, Francoforte sul Meno, 1924.
- ↑ «Non è mai stato scritto un attacco più chiaro contro la sottomissione a chi sta in alto» (Elias Canetti, da Der andere Prozeß. Kafkas Briefe an Felice, L'altro processo. Le lettere di Kafka a Felice, Carl Hanser Verlag, Monaco, 1969, p. 89).
- ↑ Franz Kafka, Briefe 1902-1924, Fischer Verlag, Francoforte sul Meno, 1975, p. 334.
Bibliografia
Romanzi
- Il processo (Der Prozess, 1925)
- Il castello (Das Schloß, 1926)
- America, oppure Il disperso (Amerika, oppure Der Verschollene, 1927)
Opere su Kafka
- Michael Löwy, Kafka sognatore e ribelle, Elèuthera, 2007
Voci correlate
Collegamenti esterni
- Testimonianza di Michal Mareš: Come ho conosciuto Franz Kafka
- Articoli sul rapporto tra Kafka e il pensiero anarchico e libertario:
- Franz Kafka e il socialismo libertario, di Michael Löwy
- Non dimenticare Kropotkin, di Michael Löwy
- Suprema rivolta dello spirito, di Michael Löwy
- Kafka e Mishima, di Monica Giorgi