Franz Kafka: differenze tra le versioni

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Ne '''''Il Castello''''' viene descritta «una [[società]] in cui gli abitanti del villaggio, controllati dal governo e dai suoi impiegati anche nei dettagli più intimi della loro vita ed asserviti anche nei loro pensieri a quelli che hanno il [[potere]], si sono resi conto già da tempo che l'aver torto o ragione è un "destino" in cui non è dato di mutare nulla». Il protagonista del romanzo, K. l'agrimensore, è invece «un uomo di buona [[Volontarismo|volontà]]: non chiede mai nulla di più del giusto, ma non è neanche disposto ad accontentarsi di meno. [...] E con crescente terrore K. si accorge che quella normalità, quella umanità, quei diritti umani che lui ha sempre creduto naturali per gli altri in realtà non esistono affatto. [...] Non c'è posto per uomini di buona [[Volontarismo|volontà]] che vogliano decidere della propria vita». La paura degli abitanti del villaggio è però infondata: non si avvera nessuna delle infauste previsioni che essi fanno sul conto del protagonista: «A K. non succede proprio niente; solo la sua richiesta di un regolare permesso di soggiorno continua ad essere respinta con mille pretesti dal Castello. [...] Tuttavia, sebbene non sia riuscito a realizzare i suoi propositi, la sua vita non è stata affatto un completo fallimento. La lotta da lui sostenuta per strappare alla società i diritti che gli spettavano ha, se non altro, aperto gli occhi a parecchi abitanti del villaggio. La storia ed il comportamento di K. hanno insegnato loro che vale la pena di lottare per i propri diritti umani e che la legge del Castello, non essendo di natura divina, può essere contestata». <ref>[[Hannah Arendt|Arendt]] indica a tal proposito un passaggio chiave del romanzo: «Hai una straordinaria visione delle cose [...] A volte mi aiuti con una parola, certamente perché vieni da fuori. Invece noi, con le nostre terribili esperienze e continue ansie, ci spaventiamo senza difenderci ad ogni scricchiolio, e se uno ha paura subito ce l'ha anche l'altro pur senza sapere esattamente perché. In questo modo non si riesce più a dare una giusta valutazione delle cose. [...] Che fornuna per noi che sei venuto!».</ref> Secondo [[Hannah Arendt|Arendt]] ''Il Castello'' mette in luce un'importante verità: «Chi si sente lontano dalle regole semplici e fondamentali dell'umanità o chi sceglie di vivere in uno stato d'emarginazione, anche se costrettovi perché vittima di una persecuzione, non può vivere una vita veramente umana. [...] nella società contemporanea le forze di un singolo [[individuo]] possono bastare a costruirsi una carriera, ma non a soddisfare il bisogno elementare di vivere una esistenza umana. Solo nell'ambito di un popolo l'[[individuo]] può vivere come un uomo fra gli uomini senza rischiare di morire per mancanza di forze. E solo un popolo in comunità con altri popoli può contribuire a costruire sulla terra un mondo umano creato e gestito dalla collaborazione fra tutti gli uomini».
Ne '''''Il Castello''''' viene descritta «una [[società]] in cui gli abitanti del villaggio, controllati dal governo e dai suoi impiegati anche nei dettagli più intimi della loro vita ed asserviti anche nei loro pensieri a quelli che hanno il [[potere]], si sono resi conto già da tempo che l'aver torto o ragione è un "destino" in cui non è dato di mutare nulla». Il protagonista del romanzo, K. l'agrimensore, è invece «un uomo di buona [[Volontarismo|volontà]]: non chiede mai nulla di più del giusto, ma non è neanche disposto ad accontentarsi di meno. [...] E con crescente terrore K. si accorge che quella normalità, quella umanità, quei diritti umani che lui ha sempre creduto naturali per gli altri in realtà non esistono affatto. [...] Non c'è posto per uomini di buona [[Volontarismo|volontà]] che vogliano decidere della propria vita». La paura degli abitanti del villaggio è però infondata: non si avvera nessuna delle infauste previsioni che essi fanno sul conto del protagonista: «A K. non succede proprio niente; solo la sua richiesta di un regolare permesso di soggiorno continua ad essere respinta con mille pretesti dal Castello. [...] Tuttavia, sebbene non sia riuscito a realizzare i suoi propositi, la sua vita non è stata affatto un completo fallimento. La lotta da lui sostenuta per strappare alla società i diritti che gli spettavano ha, se non altro, aperto gli occhi a parecchi abitanti del villaggio. La storia ed il comportamento di K. hanno insegnato loro che vale la pena di lottare per i propri diritti umani e che la legge del Castello, non essendo di natura divina, può essere contestata». <ref>[[Hannah Arendt|Arendt]] indica a tal proposito un passaggio chiave del romanzo: «Hai una straordinaria visione delle cose [...] A volte mi aiuti con una parola, certamente perché vieni da fuori. Invece noi, con le nostre terribili esperienze e continue ansie, ci spaventiamo senza difenderci ad ogni scricchiolio, e se uno ha paura subito ce l'ha anche l'altro pur senza sapere esattamente perché. In questo modo non si riesce più a dare una giusta valutazione delle cose. [...] Che fornuna per noi che sei venuto!».</ref> Secondo [[Hannah Arendt|Arendt]] ''Il Castello'' mette in luce un'importante verità: «Chi si sente lontano dalle regole semplici e fondamentali dell'umanità o chi sceglie di vivere in uno stato d'emarginazione, anche se costrettovi perché vittima di una persecuzione, non può vivere una vita veramente umana. [...] nella società contemporanea le forze di un singolo [[individuo]] possono bastare a costruirsi una carriera, ma non a soddisfare il bisogno elementare di vivere una esistenza umana. Solo nell'ambito di un popolo l'[[individuo]] può vivere come un uomo fra gli uomini senza rischiare di morire per mancanza di forze. E solo un popolo in comunità con altri popoli può contribuire a costruire sulla terra un mondo umano creato e gestito dalla collaborazione fra tutti gli uomini».


Secondo [[Hannah Arendt|Arendt]] nei romanzi kafkiani «La funzione del protagonista è sempre la stessa: scopre che il mondo e la [[società]] normali sono in realtà anormali, che i giudizi unanimemente accettati delle persone più rispettabili sono sostanzialmente follie e che le azioni condotte secondo le regole del gioco finiscono per rovinare tutti. Gli eroi di Kafka non sono spinti da convinzioni [[rivoluzionarie]], ma esclusivamente dalla buona [[Volontarismo|volontà]] che, quasi inconsapevolmente ed involontariamente, mette a nudo le strutture segrete di questo mondo. [...] I suoi romanzi rappresentano [...] una distruzione anticipata del mondo: dalla sue rovine fa sorgere l'immagine sublime d'un [[individuo]] ideale che con la sua buona [[Volontarismo|volontà]] può davvero spostare montagne, costruire nuovi mondi e pure passare indenne attraverso la distruzione e le macerie di tutte le precedenti costruzioni difettose e vacillanti perché a lui, infatti, solo che egli sia di buona [[Volontarismo|volontà]], gli dei hanno dato un cuore indistruttibile. <ref>Dagli ''Aforismi di Zürau'': «In teoria esiste una perfetta possibilità di felicità: credere nell'indistruttibile in sé e non aspirare ad esso». «L'uomo non può vivere senza una costante fiducia in qualcosa di indistruttibile dentro di sé, anche se quell'indistruttibile come pure quella fiducia possono rimanergli costantemente nascosti. Una delle possibilità di esprimersi, per tale rimanere nascosto, è la fede in un Dio personale». «L'indistruttibile è uno; ogni singolo uomo lo è e al tempo stesso è comune a tutti, da qui il legame fra gli uomini, indissolubile come nessun altro». </ref> E poiché gli eroi di Kafka non sono persone con cui venga naturale identificarsi, bensì soltanto dei modelli che sono abbandonati nell'anonimato a dispetto dei loro nomi, ci sembra quasi che ognuno di noi sia chiamato ed esortato con quei nomi. Infatti, quest'uomo di buona [[Volontarismo|volontà]] può essere chiunque ed ognuno, forse persino io e te».
Secondo [[Hannah Arendt|Arendt]] nei romanzi kafkiani «La funzione del protagonista è sempre la stessa: scopre che il mondo e la [[società]] normali sono in realtà anormali, che i giudizi unanimemente accettati delle persone più rispettabili sono sostanzialmente follie e che le azioni condotte secondo le regole del gioco finiscono per rovinare tutti. Gli eroi di Kafka non sono spinti da convinzioni [[rivoluzionarie]], ma esclusivamente dalla buona [[Volontarismo|volontà]] che, quasi inconsapevolmente ed involontariamente, mette a nudo le strutture segrete di questo mondo. [...] I suoi romanzi rappresentano [...] una distruzione anticipata del mondo: dalla sue rovine fa sorgere l'immagine sublime d'un [[individuo]] ideale che con la sua buona [[Volontarismo|volontà]] può davvero spostare montagne, costruire nuovi mondi e pure passare indenne attraverso la distruzione e le macerie di tutte le precedenti costruzioni difettose e vacillanti perché a lui, infatti, solo che egli sia di buona [[Volontarismo|volontà]], gli dei hanno dato un cuore indistruttibile. <ref>Dagli ''Aforismi di Zürau'': «L'uomo non può vivere senza una costante fiducia in qualcosa di indistruttibile dentro di sé, anche se quell'indistruttibile come pure quella fiducia possono rimanergli costantemente nascosti. Una delle possibilità di esprimersi, per tale rimanere nascosto, è la fede in un Dio personale». «In teoria esiste una perfetta possibilità di felicità: credere nell'indistruttibile in sé e non aspirare ad esso». «L'indistruttibile è uno; ogni singolo uomo lo è e al tempo stesso è comune a tutti, da qui il legame fra gli uomini, indissolubile come nessun altro». </ref> E poiché gli eroi di Kafka non sono persone con cui venga naturale identificarsi, bensì soltanto dei modelli che sono abbandonati nell'anonimato a dispetto dei loro nomi, ci sembra quasi che ognuno di noi sia chiamato ed esortato con quei nomi. Infatti, quest'uomo di buona [[Volontarismo|volontà]] può essere chiunque ed ognuno, forse persino io e te».


=== ''Davanti alla Legge'' ===
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