La crisi dell'anarchismo e l'ethos liberale (di Pietro Adamo): differenze tra le versioni

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Già  nel secondo dopoguerra la Fabbri era giunta alla conclusione che la distinzione tradizionale tra destra e sinistra - che per esempio Norberto Bobbio ritiene ancor oggi valida - era superata. Non serviva a null'altro che "a coprire di fumo la strada verso l'avvenire". Con l'avvento dei totalitarismi, la militarizzazione dell'economia e il nuovo impeto dato alla "statalizzazione" dagli "adoratori" di Stalin, "l'equazione sinistra = trasformazione nel senso del progresso perde ogni significato discriminatorio". La divisione del mondo in due blocchi rischia di semplificare ingannevolmente la situazione. A parere della Fabbri la terminologia potrebbe essere ancora recuperata con l'attribuzione di nuovi significati: a destra fascisti e comunisti, uniti da un comune programma di "massima oppressione politica, massimo sfruttamento economico, monopolizzati tanto la prima quanto il secondo dallo stato e dalla sua casta burocratica"; al centro le "cosiddette democrazie occidentali", in costante pericolo di pendenza "verso destra"; a sinistra gli alfieri del socialismo antistatale, gli antifascisti, i pacifisti, in poche parole i libertari. Per arrivare a questa "esattezza di vocabolario" occorrerebbe però "porre in termini chiari il problema del socialismo e quello dello stato". "E ciò generalmente non si fa", conclude (AAP, pp. 4-7).
Già  nel secondo dopoguerra la Fabbri era giunta alla conclusione che la distinzione tradizionale tra destra e sinistra - che per esempio Norberto Bobbio ritiene ancor oggi valida - era superata. Non serviva a null'altro che "a coprire di fumo la strada verso l'avvenire". Con l'avvento dei totalitarismi, la militarizzazione dell'economia e il nuovo impeto dato alla "statalizzazione" dagli "adoratori" di Stalin, "l'equazione sinistra = trasformazione nel senso del progresso perde ogni significato discriminatorio". La divisione del mondo in due blocchi rischia di semplificare ingannevolmente la situazione. A parere della Fabbri la terminologia potrebbe essere ancora recuperata con l'attribuzione di nuovi significati: a destra fascisti e comunisti, uniti da un comune programma di "massima oppressione politica, massimo sfruttamento economico, monopolizzati tanto la prima quanto il secondo dallo stato e dalla sua casta burocratica"; al centro le "cosiddette democrazie occidentali", in costante pericolo di pendenza "verso destra"; a sinistra gli alfieri del socialismo antistatale, gli antifascisti, i pacifisti, in poche parole i libertari. Per arrivare a questa "esattezza di vocabolario" occorrerebbe però "porre in termini chiari il problema del socialismo e quello dello stato". "E ciò generalmente non si fa", conclude (AAP, pp. 4-7).
Agli inizi degli anni cinquanta l'obiettivo della Fabbri stava quindi nel ridisegnamento del vocabolario della politica. Nell'ambito di questa operazione offerse una serie di suggerimenti sulla natura dell'anarchismo stesso. Anche la riflessione su di esso subiva i nefasti effetti dell' "innegabile influenza marxista su tutti i movimenti italiani (e, possiamo dire, europei)" (Sotto la minaccia totalitaria, 1955, p. 13, d'ora in avanti MT). Questa aveva prodotto, per quanto riguardava l'anarchismo (e gli anarchici), la sottovalutazione programmatica dell'eredità  liberale. Il termine "liberalismo" aveva assunto una accezione "spregiativa" grazie all'azione congiunta dei marxisti e dei partiti conservatori che, "per il fatto di averlo sulla loro bandiera, se ne considerano proprietari" (MT, pp. 45-46). Al contrario, il modo migliore per intendere l'anarchismo era di considerarlo "alla confluenza di due linee evolutive, quella del liberalismo e quella del socialismo"(MT, p. 18). Accettando l'istanza egualitaria del secondo e l'insistenza sui principi della libertà  e dell'autonomia del primo, le tendenze statolatriche presenti in entrambe le tradizioni si sarebbero neutralizzate a vicenda: "Tanto il liberalismo quanto il socialismo sono stati falsati, deviati dalla fame del potere: il liberale non ha vacillato a rendere schiavi gli uomini impadronendosi del loro pane; il socialista oggi tende alla tirannia politica attraverso la statizzazione della proprietà . La lotta tra il falso liberalismo (blocco occidentale) e il falso socialismo (blocco orientale) è una lotta nel vuoto" (S, p. 10).
Agli inizi degli anni cinquanta l'obiettivo della Fabbri stava quindi nel ridisegnamento del vocabolario della politica. Nell'ambito di questa operazione offerse una serie di suggerimenti sulla natura dell'anarchismo stesso. Anche la riflessione su di esso subiva i nefasti effetti dell'"innegabile influenza marxista su tutti i movimenti italiani (e, possiamo dire, europei)" (Sotto la minaccia totalitaria, 1955, p. 13, d'ora in avanti MT). Questa aveva prodotto, per quanto riguardava l'anarchismo (e gli anarchici), la sottovalutazione programmatica dell'eredità  liberale. Il termine "liberalismo" aveva assunto una accezione "spregiativa" grazie all'azione congiunta dei marxisti e dei partiti conservatori che, "per il fatto di averlo sulla loro bandiera, se ne considerano proprietari" (MT, pp. 45-46). Al contrario, il modo migliore per intendere l'anarchismo era di considerarlo "alla confluenza di due linee evolutive, quella del liberalismo e quella del socialismo"(MT, p. 18). Accettando l'istanza egualitaria del secondo e l'insistenza sui principi della libertà  e dell'autonomia del primo, le tendenze statolatriche presenti in entrambe le tradizioni si sarebbero neutralizzate a vicenda: "Tanto il liberalismo quanto il socialismo sono stati falsati, deviati dalla fame del potere: il liberale non ha vacillato a rendere schiavi gli uomini impadronendosi del loro pane; il socialista oggi tende alla tirannia politica attraverso la statizzazione della proprietà . La lotta tra il falso liberalismo (blocco occidentale) e il falso socialismo (blocco orientale) è una lotta nel vuoto" (S, p. 10).
Lo sforzo maggiore era ovviamente rivolto a chiarire il ruolo del liberalismo, sul quale sembravano esserci dubbi maggiori. Inserendosi nel solco delle elaborazioni liberalsocialiste, a loro volta eredi della distinzione crociana tra liberalismo come metodo e liberismo come politica economica, la Fabbri sostenne che il primo aveva "avuto solo applicazioni pratiche parziali e uno sviluppo tronco come dottrina" (S, p. 8). L'idea che esso, in quanto dottrina individualista, fosse la dottrina cardine del capitalismo era profondamente errata, e questo per due motivi. In primo luogo, "il capitalismo non è mai stato individualista" (S, p. 8); nella ricostruzione storica della Fabbri, il "preteso individualismo" dei capitani d'industria dell'Ottocento non era altro che "l'espressione del desiderio di limitare l'autorità  dello stato in materia economica". Le prime battute d'arresto del capitalismo industriale spingeranno infatti i "padroni" verso cartelli e trusts, istituzioni che costituiscono in se stesse una palese negazione del cosiddetto individualismo originario. Di conseguenza il mondo imprenditoriale non si orienta affatto verso i valori dei "mercati e dei prezzi", ma piuttosto verso la tutela statale prima e verso il controllo diretto dello stato poi (MT, p. 25). Ed è questo il secondo motivo dell'inconciliabilità  tra liberalismo e capitalismo: facendo tesoro dell'esperienza nazista, la Fabbri afferma che lo sviluppo più naturale del secondo lo porterà  in altra direzione: i capitalisti "lasceranno cadere il loro liberalismo per conciliarsi con i nuovi regimi più o meno totalitari in formazione, che salvano la gerarchia sociale, creando una casta superiore e privilegiata di funzionari" (S, p. 9).
Lo sforzo maggiore era ovviamente rivolto a chiarire il ruolo del liberalismo, sul quale sembravano esserci dubbi maggiori. Inserendosi nel solco delle elaborazioni liberalsocialiste, a loro volta eredi della distinzione crociana tra liberalismo come metodo e liberismo come politica economica, la Fabbri sostenne che il primo aveva "avuto solo applicazioni pratiche parziali e uno sviluppo tronco come dottrina" (S, p. 8). L'idea che esso, in quanto dottrina individualista, fosse la dottrina cardine del capitalismo era profondamente errata, e questo per due motivi. In primo luogo, "il capitalismo non è mai stato individualista" (S, p. 8); nella ricostruzione storica della Fabbri, il "preteso individualismo" dei capitani d'industria dell'Ottocento non era altro che "l'espressione del desiderio di limitare l'autorità  dello stato in materia economica". Le prime battute d'arresto del capitalismo industriale spingeranno infatti i "padroni" verso cartelli e trusts, istituzioni che costituiscono in se stesse una palese negazione del cosiddetto individualismo originario. Di conseguenza il mondo imprenditoriale non si orienta affatto verso i valori dei "mercati e dei prezzi", ma piuttosto verso la tutela statale prima e verso il controllo diretto dello stato poi (MT, p. 25). Ed è questo il secondo motivo dell'inconciliabilità  tra liberalismo e capitalismo: facendo tesoro dell'esperienza nazista, la Fabbri afferma che lo sviluppo più naturale del secondo lo porterà  in altra direzione: i capitalisti "lasceranno cadere il loro liberalismo per conciliarsi con i nuovi regimi più o meno totalitari in formazione, che salvano la gerarchia sociale, creando una casta superiore e privilegiata di funzionari" (S, p. 9).


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