Franz Kafka: differenze tra le versioni

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{{citazione|Nessun'altra opera è tanto risolutamente schierata contro l'accettazione di un principio supremo esterno a chi pensa.|André Breton (''Antologia dello humour nero'')}}
{{citazione|Nessun'altra opera è tanto risolutamente schierata contro l'accettazione di un principio supremo esterno a chi pensa.|André Breton (''Antologia dello humour nero'')}}


Tutta l'opera di Kafka con le sue caratteristiche più proprie - solitudine e disperazione dell'uomo, estraneità delle cose, ansia e nevrosi - può essere vista come una testimonianza della [[Volontarismo|volontà]] dell'essere umano di non essere sopraffatto. La sete infinita di [[libertà]] <ref>In una lettera alla fidanzata Felice Bauer del [[19 ottobre]] [[1916]], Kafka scrive: «Io che quasi sempre non riesco a essere indipendente, ho una sete infinita di autonomia, d'indipendenza, di libertà in tutti i sensi [...]. Qualsiasi vincolo che non è creato da me stesso, foss'anche contro parti del mio io, è senza valore, m'impedisce di avanzare, lo odio o sono molto vicino a detestarlo».</ref> si esprime nelle diverse situazioni che sono al centro dei suoi principali testi letterari, ma prima di tutto nel modo radicalmente critico con cui è ritratto il volto ossessivo e angosciante della non-libertà: l'[[autorità]]. L'ideale [[libertario]] non compare mai in quanto tale nei suoi romanzi e nei suoi racconti: esiste solo in negativo, come critica di un mondo completamente privo di [[libertà]], soggetto alla logica assurda e arbitraria di un apparato onnipotente. Come ha osservato Franz Baumer, «la [[Volontarismo|volontà]] di [[libertà]] che motiva i personaggi di Kafka è il tratto rivoluzionario del suo pensiero e della sua opera; si tratta sempre di una [[libertà]] assoluta». Non si tratta di una dottrina politica, ma di uno stato d'animo, di una sensibilità critica, le cui armi principali sono l'ironia, lo humour, quello humour nero che secondo [[André Breton]] è «una rivolta superiore dello spirito». <ref>Da ''Paratonnerre'', introduzione all'''Anthologie de l'humour noir'', Éditions su Sagittaire, Parigi, [[1950]].</ref> Pertanto, i romanzi di Kafka on sono portatori di un messaggio politico o dottrinario, ma esprimono un certo spirito antiautoritario, una distanza critica e ironica nei confronti delle [[gerarchie]] e dei poteri burocratici e giudiziari.
Tutta l'opera di Kafka con le sue caratteristiche più proprie - solitudine e disperazione dell'uomo, estraneità delle cose, ansia e nevrosi - può essere vista come una testimonianza della [[Volontarismo|volontà]] dell'essere umano di non essere sopraffatto. La sete infinita di [[libertà]] <ref>In una lettera alla fidanzata Felice Bauer del [[19 ottobre]] [[1916]], Kafka scrive: «Io che quasi sempre non riesco a essere indipendente, ho una sete infinita di autonomia, d'indipendenza, di [[libertà]] in tutti i sensi [...]. Qualsiasi vincolo che non è creato da me stesso, foss'anche contro parti del mio io, è senza valore, m'impedisce di avanzare, lo odio o sono molto vicino a detestarlo».</ref> si esprime nelle diverse situazioni che sono al centro dei suoi principali testi letterari, ma prima di tutto nel modo radicalmente critico con cui è ritratto il volto ossessivo e angosciante della non-[[libertà]]: l'[[autorità]]. L'ideale [[libertario]] non compare mai in quanto tale nei suoi romanzi e nei suoi racconti: esiste solo in negativo, come critica di un mondo completamente privo di [[libertà]], soggetto alla logica assurda e arbitraria di un apparato onnipotente. Come ha osservato Franz Baumer, «la [[Volontarismo|volontà]] di [[libertà]] che motiva i personaggi di Kafka è il tratto rivoluzionario del suo pensiero e della sua opera; si tratta sempre di una [[libertà]] assoluta». Non si tratta di una dottrina politica, ma di uno stato d'animo, di una sensibilità critica, le cui armi principali sono l'ironia, lo humour, quello humour nero che secondo [[André Breton]] è «una rivolta superiore dello spirito». <ref>Da ''Paratonnerre'', introduzione all'''Anthologie de l'humour noir'', Éditions su Sagittaire, Parigi, [[1950]].</ref> Pertanto, i romanzi di Kafka on sono portatori di un messaggio politico o dottrinario, ma esprimono un certo spirito antiautoritario, una distanza critica e ironica nei confronti delle [[gerarchie]] e dei poteri burocratici e giudiziari.


Perfezionista insoddisfatto dei suoi scritti, Kafka pubblicò solo qualche raccolta di prose e nel [[1906]] ''La Metamorfosi''. Prima di morire, diede istruzioni al suo amico ed esecutore testamentario Max Brod di distruggere tutti i suoi manoscritti e di assicurarsi che non avrebbero mai visto la luce del sole. Ciononostante, Brod non seguì le istruzioni di Kafka e sovrintendette alla pubblicazione della maggior parte dei suoi lavori, che presto attrassero l'attenzione della critica.
Perfezionista insoddisfatto dei suoi scritti, Kafka pubblicò solo qualche raccolta di prose e nel [[1906]] ''La Metamorfosi''. Prima di morire, diede istruzioni al suo amico ed esecutore testamentario Max Brod di distruggere tutti i suoi manoscritti e di assicurarsi che non avrebbero mai visto la luce del sole. Ciononostante, Brod non seguì le istruzioni di Kafka e sovrintendette alla pubblicazione della maggior parte dei suoi lavori, che presto attrassero l'attenzione della critica.
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Ne '''''Il Processo''''' la sottomissione di Josef K., protagonista di un'assurda e terribile odissea giudiziaria che lo vede arrestato, processato e condannato senza mai avere contezza del proprio capo d'accusa, non avviene «con mezzi violenti, ma semplicemente con il crescente senso di colpa che l'accusa vuota ed immotivata riesce a destare nell'imputato [...] Al funzionamento della diabolica macchina burocratica in cui l'innocente si trova preso si accompagna, quindi, una evoluzione interiore provocata dal senso di colpa. Dal suo progredire il protagonista viene "educato", modificato e formato tanto da venir adattato al ruolo che si è escogitato per lui e che lo rende semplice compartecipe del gioco universale della necessità, dell'ingiustizia e della menzogna. Questo è il modo in cui il protagonista si adatta alla sua situazione, e questi due processi concomitanti, l'evoluzione interiore e il funzionamento della macchina, s'incontrano infine nella scena conclusiva, quando K. si lascia portar via e poi giustiziare, senza la minima protesta o resistenza. Viene ucciso perché è "necessario", e si sottomette per questa necessità e per il turbamento dovuto al suo senso di colpa. E la sola speranza che balena alla fine del romanzo resta: "Era come se la vergogna dovesse sopravvivergli". La vergogna, cioè, che tale sia l'ordine del mondo e che lui, Josef K., ne sia, anche se vittima, un docile membro».
Ne '''''Il Processo''''' la sottomissione di Josef K., protagonista di un'assurda e terribile odissea giudiziaria che lo vede arrestato, processato e condannato senza mai avere contezza del proprio capo d'accusa, non avviene «con mezzi violenti, ma semplicemente con il crescente senso di colpa che l'accusa vuota ed immotivata riesce a destare nell'imputato [...] Al funzionamento della diabolica macchina burocratica in cui l'innocente si trova preso si accompagna, quindi, una evoluzione interiore provocata dal senso di colpa. Dal suo progredire il protagonista viene "educato", modificato e formato tanto da venir adattato al ruolo che si è escogitato per lui e che lo rende semplice compartecipe del gioco universale della necessità, dell'ingiustizia e della menzogna. Questo è il modo in cui il protagonista si adatta alla sua situazione, e questi due processi concomitanti, l'evoluzione interiore e il funzionamento della macchina, s'incontrano infine nella scena conclusiva, quando K. si lascia portar via e poi giustiziare, senza la minima protesta o resistenza. Viene ucciso perché è "necessario", e si sottomette per questa necessità e per il turbamento dovuto al suo senso di colpa. E la sola speranza che balena alla fine del romanzo resta: "Era come se la vergogna dovesse sopravvivergli". La vergogna, cioè, che tale sia l'ordine del mondo e che lui, Josef K., ne sia, anche se vittima, un docile membro».


Ne '''''Il Castello''''' viene descritta «una [[società]] in cui gli abitanti del villaggio, controllati dal governo e dai suoi impiegati anche nei dettagli più intimi della loro vita ed asserviti anche nei loro pensieri a quelli che hanno il [[potere]], si sono resi conto già da tempo che l'aver torto o ragione è un "destino" in cui non è dato di mutare nulla». Il protagonista del romanzo, K. l'agrimensore, è invece «un uomo di buona [[Volontarismo|volontà]] <ref>Dagli ''Aforismi di Zürau'': «Se fosse così, che tu procedi su un piano, con la buona volontà di andare avanti e però fai dei passi indietro, allora sarebbe una situazione disperata; ma poiché ti stai arrampicando su un pendio ripido, così ripido come tu stesso appari visto dal basso, i passi indietro possono anche essere causati soltanto dalla natura del terreno e non devi disperare».</ref>: non chiede mai nulla di più del giusto, ma non è neanche disposto ad accontentarsi di meno. [...] E con crescente terrore K. si accorge che quella normalità, quella umanità, quei diritti umani che lui ha sempre creduto naturali per gli altri in realtà non esistono affatto. [...] Non c'è posto per uomini di buona [[Volontarismo|volontà]] che vogliano decidere della propria vita». La paura degli abitanti del villaggio è però infondata: non si avvera nessuna delle infauste previsioni che essi fanno sul conto del protagonista: «A K. non succede proprio niente; solo la sua richiesta di un regolare permesso di soggiorno continua ad essere respinta con mille pretesti dal Castello. [...] Tuttavia, sebbene non sia riuscito a realizzare i suoi propositi, la sua vita non è stata affatto un completo fallimento. La lotta da lui sostenuta per strappare alla società i diritti che gli spettavano ha, se non altro, aperto gli occhi a parecchi abitanti del villaggio. La storia ed il comportamento di K. hanno insegnato loro che vale la pena di lottare per i propri diritti umani e che la legge del Castello, non essendo di natura divina, può essere contestata». <ref>[[Hannah Arendt|Arendt]] indica a tal proposito un passaggio chiave del romanzo: «Hai una straordinaria visione delle cose [...] A volte mi aiuti con una parola, certamente perché vieni da fuori. Invece noi, con le nostre terribili esperienze e continue ansie, ci spaventiamo senza difenderci ad ogni scricchiolio, e se uno ha paura subito ce l'ha anche l'altro pur senza sapere esattamente perché. In questo modo non si riesce più a dare una giusta valutazione delle cose. [...] Che fornuna per noi che sei venuto!».</ref> Secondo [[Hannah Arendt|Arendt]] ''Il Castello'' mette in luce un'importante verità: «Chi si sente lontano dalle regole semplici e fondamentali dell'umanità o chi sceglie di vivere in uno stato d'emarginazione, anche se costrettovi perché vittima di una persecuzione, non può vivere una vita veramente umana. [...] nella società contemporanea le forze di un singolo [[individuo]] possono bastare a costruirsi una carriera, ma non a soddisfare il bisogno elementare di vivere una esistenza umana. Solo nell'ambito di un popolo l'[[individuo]] può vivere come un uomo fra gli uomini senza rischiare di morire per mancanza di forze. E solo un popolo in comunità con altri popoli può contribuire a costruire sulla terra un mondo umano creato e gestito dalla collaborazione fra tutti gli uomini».
Ne '''''Il Castello''''' viene descritta «una [[società]] in cui gli abitanti del villaggio, controllati dal governo e dai suoi impiegati anche nei dettagli più intimi della loro vita ed asserviti anche nei loro pensieri a quelli che hanno il [[potere]], si sono resi conto già da tempo che l'aver torto o ragione è un "destino" in cui non è dato di mutare nulla». Il protagonista del romanzo, K. l'agrimensore, è invece «un uomo di buona [[Volontarismo|volontà]] <ref>Dagli ''Aforismi di Zürau'': «Se fosse così, che tu procedi su un piano, con la buona volontà di andare avanti e però fai dei passi indietro, allora sarebbe una situazione disperata; ma poiché ti stai arrampicando su un pendio ripido, così ripido come tu stesso appari visto dal basso, i passi indietro possono anche essere causati soltanto dalla natura del terreno e non devi disperare».</ref>: non chiede mai nulla di più del giusto, ma non è neanche disposto ad accontentarsi di meno. [...] E con crescente terrore K. si accorge che quella normalità, quella umanità, quei diritti umani che lui ha sempre creduto naturali per gli altri in realtà non esistono affatto. [...] Non c'è posto per uomini di buona [[Volontarismo|volontà]] che vogliano decidere della propria vita». La paura degli abitanti del villaggio è però infondata: non si avvera nessuna delle infauste previsioni che essi fanno sul conto del protagonista: «A K. non succede proprio niente; solo la sua richiesta di un regolare permesso di soggiorno continua ad essere respinta con mille pretesti dal Castello. [...] Tuttavia, sebbene non sia riuscito a realizzare i suoi propositi, la sua vita non è stata affatto un completo fallimento. La lotta da lui sostenuta per strappare alla [[società]] i diritti che gli spettavano ha, se non altro, aperto gli occhi a parecchi abitanti del villaggio. La storia ed il comportamento di K. hanno insegnato loro che vale la pena di lottare per i propri diritti umani e che la legge del Castello, non essendo di natura divina, può essere contestata». <ref>[[Hannah Arendt|Arendt]] indica a tal proposito un passaggio chiave del romanzo: «Hai una straordinaria visione delle cose [...] A volte mi aiuti con una parola, certamente perché vieni da fuori. Invece noi, con le nostre terribili esperienze e continue ansie, ci spaventiamo senza difenderci ad ogni scricchiolio, e se uno ha paura subito ce l'ha anche l'altro pur senza sapere esattamente perché. In questo modo non si riesce più a dare una giusta valutazione delle cose. [...] Che fornuna per noi che sei venuto!».</ref> Secondo [[Hannah Arendt|Arendt]] ''Il Castello'' mette in luce un'importante verità: «Chi si sente lontano dalle regole semplici e fondamentali dell'umanità o chi sceglie di vivere in uno stato d'emarginazione, anche se costrettovi perché vittima di una persecuzione, non può vivere una vita veramente umana. [...] nella [[società]] contemporanea le forze di un singolo [[individuo]] possono bastare a costruirsi una carriera, ma non a soddisfare il bisogno elementare di vivere una esistenza umana. Solo nell'ambito di un popolo l'[[individuo]] può vivere come un uomo fra gli uomini senza rischiare di morire per mancanza di forze. E solo un popolo in comunità con altri popoli può contribuire a costruire sulla terra un mondo umano creato e gestito dalla collaborazione fra tutti gli uomini».


Secondo [[Hannah Arendt|Arendt]] nei romanzi kafkiani «La funzione del protagonista è sempre la stessa: scopre che il mondo e la [[società]] normali sono in realtà anormali, che i giudizi unanimemente accettati delle persone più rispettabili sono sostanzialmente follie e che le azioni condotte secondo le regole del gioco finiscono per rovinare tutti. Gli eroi di Kafka non sono spinti da convinzioni [[rivoluzionarie]], ma esclusivamente dalla buona [[Volontarismo|volontà]] che, quasi inconsapevolmente ed involontariamente, mette a nudo le strutture segrete di questo mondo. [...] I suoi romanzi rappresentano [...] una distruzione anticipata del mondo: dalla sue rovine fa sorgere l'immagine sublime d'un [[individuo]] ideale che con la sua buona [[Volontarismo|volontà]] può davvero spostare montagne, costruire nuovi mondi e pure passare indenne attraverso la distruzione e le macerie di tutte le precedenti costruzioni difettose e vacillanti perché a lui, infatti, solo che egli sia di buona [[Volontarismo|volontà]], gli dei hanno dato un cuore indistruttibile. <ref>Dagli ''Aforismi di Zürau'': «L'uomo non può vivere senza una costante fiducia in qualcosa di indistruttibile dentro di sé, anche se quell'indistruttibile come pure quella fiducia possono rimanergli costantemente nascosti. Una delle possibilità di esprimersi, per tale rimanere nascosto, è la fede in un Dio personale». «In teoria esiste una perfetta possibilità di felicità: credere nell'indistruttibile in sé e non aspirare ad esso». «L'indistruttibile è uno; ogni singolo uomo lo è e al tempo stesso è comune a tutti, da qui il legame fra gli uomini, indissolubile come nessun altro». </ref> E poiché gli eroi di Kafka non sono persone con cui venga naturale identificarsi, bensì soltanto dei modelli che sono abbandonati nell'anonimato a dispetto dei loro nomi, ci sembra quasi che ognuno di noi sia chiamato ed esortato con quei nomi. Infatti, quest'uomo di buona [[Volontarismo|volontà]] può essere chiunque ed ognuno, forse persino io e te».
Secondo [[Hannah Arendt|Arendt]] nei romanzi kafkiani «La funzione del protagonista è sempre la stessa: scopre che il mondo e la [[società]] normali sono in realtà anormali, che i giudizi unanimemente accettati delle persone più rispettabili sono sostanzialmente follie e che le azioni condotte secondo le regole del gioco finiscono per rovinare tutti. Gli eroi di Kafka non sono spinti da convinzioni [[rivoluzionarie]], ma esclusivamente dalla buona [[Volontarismo|volontà]] che, quasi inconsapevolmente ed involontariamente, mette a nudo le strutture segrete di questo mondo. [...] I suoi romanzi rappresentano [...] una distruzione anticipata del mondo: dalla sue rovine fa sorgere l'immagine sublime d'un [[individuo]] ideale che con la sua buona [[Volontarismo|volontà]] può davvero spostare montagne, costruire nuovi mondi e pure passare indenne attraverso la distruzione e le macerie di tutte le precedenti costruzioni difettose e vacillanti perché a lui, infatti, solo che egli sia di buona [[Volontarismo|volontà]], gli dei hanno dato un cuore indistruttibile. <ref>Dagli ''Aforismi di Zürau'': «L'uomo non può vivere senza una costante fiducia in qualcosa di indistruttibile dentro di sé, anche se quell'indistruttibile come pure quella fiducia possono rimanergli costantemente nascosti. Una delle possibilità di esprimersi, per tale rimanere nascosto, è la fede in un Dio personale». «In teoria esiste una perfetta possibilità di felicità: credere nell'indistruttibile in sé e non aspirare ad esso». «L'indistruttibile è uno; ogni singolo uomo lo è e al tempo stesso è comune a tutti, da qui il legame fra gli uomini, indissolubile come nessun altro». </ref> E poiché gli eroi di Kafka non sono persone con cui venga naturale identificarsi, bensì soltanto dei modelli che sono abbandonati nell'anonimato a dispetto dei loro nomi, ci sembra quasi che ognuno di noi sia chiamato ed esortato con quei nomi. Infatti, quest'uomo di buona [[Volontarismo|volontà]] può essere chiunque ed ognuno, forse persino io e te».
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{{citazione|Tra tutti i poeti, Kafka è il maggiore esperto del potere. L'ha vissuto e configurato in tutti i suoi aspetti.|Elias Canetti (''L'altro processo. Le lettere di Kafka a Felice'')}} <ref>«Poiché teme il potere (''Macht'') in tutte le sue forme, poiché la tendenza autentica della sua vita consiste nel sottrarsene, lo sente, lo riconosce, lo nomina, lo configura (''gestaltet'') dove altri lo accettano come un fatto scontato» (da ''Der andere Prozeß. Kafkas Briefe an Felice'', ''L'altro processo. Le lettere di Kafka a Felice'', Carl Hanser Verlag, Monaco, [[1969]], pp. 93-94).</ref>  
{{citazione|Tra tutti i poeti, Kafka è il maggiore esperto del potere. L'ha vissuto e configurato in tutti i suoi aspetti.|Elias Canetti (''L'altro processo. Le lettere di Kafka a Felice'')}} <ref>«Poiché teme il potere (''Macht'') in tutte le sue forme, poiché la tendenza autentica della sua vita consiste nel sottrarsene, lo sente, lo riconosce, lo nomina, lo configura (''gestaltet'') dove altri lo accettano come un fatto scontato» (da ''Der andere Prozeß. Kafkas Briefe an Felice'', ''L'altro processo. Le lettere di Kafka a Felice'', Carl Hanser Verlag, Monaco, [[1969]], pp. 93-94).</ref>  


L'interesse di Kafka per le idee anarchiche è confermato da numerosi riferimenti nelle pagine intime da lui scritte, riferimenti nei quali il filo conduttore è rappresentato dal rapporto con la figura paterna (descritto nella celebre ''Lettera al padre'' del [[1919]]) e dalla connessione intima tra la ribellione contro il "giogo domestico" [[patriarcale]] e la rivolta contro lo [[Stato]]. Scrive Claude David: «Se nel pensiero di Kafka c'è un'idea essenziale, è quella del [[potere]]; il mondo si organizza secondo rapporti di potere; si erige tutta una [[gerarchia]] che va fino al lontano imperatore della Cina, fino al truce proprietario del Castello. Il potere più vicino, però, il più noto [...] è quello del padre, il primo livello di quella società di potenti». <ref>Dalla prefazione a ''Kafka, Œuvres complètes'', Bibliothèque de la Pléiade, Parigi, [[1976]].</ref> [[Theodor Adorno]] sottolinea come l'opera letteraria di Kafka sia «in gran parte la reazione a un potere senza limiti» e aggiunge: «Quel potere di patriarchi invasati, [[Walter Benjamin|Benjamin]] lo chiama parassitario: esso si nutre della vita che schiaccia sotto i suoi piedi». <ref>[[Theodor Adorno]], ''Prismen'', ''Prismi'', Suhrkamp, Francoforte sul Meno, [[1955]], p. 236. [[Theodor Adorno|Adorno]] si riferisce probabilmente a un passo dell'articolo di [[Walter Benjamin]] su Kafka: «Nelle strane famiglie di Kafka, il padre si nutre del figlio, standogli addosso come un enorme parassita».</ref>
L'interesse di Kafka per le idee anarchiche è confermato da numerosi riferimenti nelle pagine intime da lui scritte, riferimenti nei quali il filo conduttore è rappresentato dal rapporto con la figura paterna (descritto nella celebre ''Lettera al padre'' del [[1919]]) e dalla connessione intima tra la ribellione contro il "giogo domestico" [[patriarcale]] e la rivolta contro lo [[Stato]]. Scrive Claude David: «Se nel pensiero di Kafka c'è un'idea essenziale, è quella del [[potere]]; il mondo si organizza secondo rapporti di potere; si erige tutta una [[gerarchia]] che va fino al lontano imperatore della Cina, fino al truce proprietario del Castello. Il potere più vicino, però, il più noto [...] è quello del padre, il primo livello di quella [[società]] di potenti». <ref>Dalla prefazione a ''Kafka, Œuvres complètes'', Bibliothèque de la Pléiade, Parigi, [[1976]].</ref> [[Theodor Adorno]] sottolinea come l'opera letteraria di Kafka sia «in gran parte la reazione a un potere senza limiti» e aggiunge: «Quel potere di patriarchi invasati, [[Walter Benjamin|Benjamin]] lo chiama parassitario: esso si nutre della vita che schiaccia sotto i suoi piedi». <ref>[[Theodor Adorno]], ''Prismen'', ''Prismi'', Suhrkamp, Francoforte sul Meno, [[1955]], p. 236. [[Theodor Adorno|Adorno]] si riferisce probabilmente a un passo dell'articolo di [[Walter Benjamin]] su Kafka: «Nelle strane famiglie di Kafka, il padre si nutre del figlio, standogli addosso come un enorme parassita».</ref>


=== Kafka e Otto Gross ===
=== Kafka e Otto Gross ===
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