Anarchismo e Politica: La revisione di Berneri (di Stefano d'Errico): differenze tra le versioni

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La polemica contro l'astensionismo, il nostro la affronta peraltro dopo la vittoria elettorale del Fronte Popolare in Spagna nel 1936, alla quale concorsero in modo determinante gli anarcosindacalisti della CNT, che per la prima volta non si abbandonarono ad una posizione intransigente, venendo per questo fatti oggetto di un fuoco di fila di critiche impietose piovute dal di fuori della penisola iberica. Ma senza quella vittoria, sostenne il lodigiano, non vi sarebbero state neanche le successive conquiste rivoluzionarie che la CNT stessa seppe mettere in atto dal basso. La sconfitta avrebbe significato una condizione pratica (ed anche psicologica) ben diversa per il movimento dei lavoratori e per questo sarebbe stata assurda in quella situazione una campagna astensionista: le tattiche della politica vanno giudicate mirando ai risultati e non in modo ideologico-aprioristico.
La polemica contro l'astensionismo, il nostro la affronta peraltro dopo la vittoria elettorale del Fronte Popolare in Spagna nel 1936, alla quale concorsero in modo determinante gli anarcosindacalisti della CNT, che per la prima volta non si abbandonarono ad una posizione intransigente, venendo per questo fatti oggetto di un fuoco di fila di critiche impietose piovute dal di fuori della penisola iberica. Ma senza quella vittoria, sostenne il lodigiano, non vi sarebbero state neanche le successive conquiste rivoluzionarie che la CNT stessa seppe mettere in atto dal basso. La sconfitta avrebbe significato una condizione pratica (ed anche psicologica) ben diversa per il movimento dei lavoratori e per questo sarebbe stata assurda in quella situazione una campagna astensionista: le tattiche della politica vanno giudicate mirando ai risultati e non in modo ideologico-aprioristico.
Così pose la questione Berneri: “Il problema, insomma, è questo: l'astensionismo è un dogma tattico che esclude qualsiasi eccezione strategica?”
Così pose la questione Berneri: “Il problema, insomma, è questo: l'astensionismo è un dogma tattico che esclude qualsiasi eccezione strategica?”
Per Berneri, il voto è uno strumento utile anche all'interno del mondo libertario e, come già visto, il lodigiano definisce più volte, senza pietà, “cretinismo astensionista” la demonizzazione senza deroghe di tale meccanismo decisionale, a maggior ragione se questo rifiuto è esteso persino all'interno dell'organizzazione specifica. Un rifiuto invalso spesso nelle strutture anarchiche non perché il voto fosse incongruo alla tradizione, bensì per una sorta di “moda” che ha sclerotizzato la militanza. Berneri discrimina poi chiaramente fra voto e voto. Nel caso di liste locali, ed ancor più di plebisciti e referendum, non vede per gli anarchici alcun motivo di possibile avversione: “Se domani si presentasse il caso di un plebiscito (disarmo o difesa nazionale armata, autonomia degli allogeni, abbandono o conservazione delle colonie, ecc.) si troverebbero ancora degli anarchici fossilizzati che crederebbero doveroso astenersi”.
Per Berneri, il voto è uno strumento utile anche all'interno del mondo libertario e, come già visto, il lodigiano definisce più volte, senza pietà, “cretinismo astensionista” la demonizzazione senza deroghe di tale meccanismo decisionale, a maggior ragione se questo rifiuto è esteso persino all'interno dell'organizzazione specifica. Un rifiuto invalso spesso nelle strutture anarchiche non perché il voto fosse incongruo alla tradizione, bensì per una sorta di “moda” che ha sclerotizzato la militanza. Berneri discrimina poi chiaramente fra voto e voto. Nel caso di liste locali, ed ancor più di plebisciti e referendum, non vede per gli anarchici alcun motivo di possibile avversione: “Se domani si presentasse il caso di un plebiscito (disarmo o difesa nazionale armata, autonomia degli allogeni, abbandono o conservazione delle colonieecc.) si troverebbero ancora degli anarchici fossilizzati che crederebbero doveroso astenersi”.
Berneri, a proposito della dimensione politica dell'anarchismo, la nobilita senza remore e preferisce certo chi si batte per il successo dell'impostazione libertaria nella storia a quanti, astraendosi dalla politica, riducono il libertarismo ad una mera, sofistica, professione di fede. Il “purismo” mostra tutta la sua inutilità, ed è anzi sinonimo di disimpegno ed autoreferenziale narcisismo: “Chi crede alla possibilità dell'anarchia come sistema politico è anarchico, qualunque siano le sue vedute strategiche, qualunque siano le sue riserve sulle realizzazioni massime della società futura. Ed è anarchico anche se scomunicato dai dottrinari sofistici, ed è anarchico anche se gli si oppone con il termine generico di principi le vedute di questa o di quella scuola, le opinioni di questo o di quel maestro, le abilità polemiche di questo o di quel giornalista autorevole nonché le scandalizzate proteste dei pensanti con la testa altrui”.
Berneri, a proposito della dimensione politica dell'anarchismo, la nobilita senza remore e preferisce certo chi si batte per il successo dell'impostazione libertaria nella storia a quanti, astraendosi dalla politica, riducono il libertarismo ad una mera, sofistica, professione di fede. Il “purismo” mostra tutta la sua inutilità, ed è anzi sinonimo di disimpegno ed autoreferenziale narcisismo: “Chi crede alla possibilità dell'anarchia come sistema politico è anarchico, qualunque siano le sue vedute strategiche, qualunque siano le sue riserve sulle realizzazioni massime della società futura. Ed è anarchico anche se scomunicato dai dottrinari sofistici, ed è anarchico anche se gli si oppone con il termine generico di principi le vedute di questa o di quella scuola, le opinioni di questo o di quel maestro, le abilità polemiche di questo o di quel giornalista autorevole nonché le scandalizzate proteste dei pensanti con la testa altrui”.
Ma come si fa se gli anarchici per primi, immobilizzati dal fondamentalismo, non credono nell'anarchismo politico? La mancanza di sperimentazione è infatti sinonimo di sfiducia nei propri mezzi ed ancor più nelle possibilità interne alla prospettiva libertaria: “La storia è opposizione e sintesi. L'anarchismo, se vuole agire nella storia e diventare un grande fattore di storia, deve aver fede nell'anarchia, come una possibilità sociale che si realizza nelle sue approssimazioni progressive. L'anarchia come sistema religioso (ogni sistema etico è di sua natura religioso) è una ‘verità’ di fede, quindi per propria natura, evidente soltanto a chi la può vedere. L'anarchismo è più vivo, più vasto, più dinamico. Egli è un compromesso tra l'Idea e il fatto, tra il domani e l'oggi. L'anarchismo procede in modo polimorfo, perché è nella vita. E le sue deviazioni stesse sono la ricerca di una rotta migliore”. Berneri è quindi “un anarchico che crede all'anarchia e, ancor più, all'anarchismo”. Berneri è un gradualista rivoluzionario perché è ben conscio della futilità del tutto e subito o del “tanto peggio-tanto meglio”, così come dell'irraggiungibilità della perfezione, e tiene distinti l'anarchia (“religione”) e l'anarchismo (l'anarchia nella storia): “l'anarchico comprende che nella storia si agisce sapendo essere popolo per quel tanto che permette di essere compresi e di agire, additando mete immediate, interpretando reali e generali bisogni, rispondendo a sentimenti vivi e comuni”. Berneri non fu mai un massimalista: “A mio parere, il non esercitare un diritto perché è concesso dallo Stato, non creare una situazione migliore dell'attuale perché se ne vorrebbe una migliore di quella conseguibile, vale fossilizzare la nostra azione politica”. Ancora oggi la sinistra “radicale” non sa distinguere fra riformismo e gradualismo.
Ma come si fa se gli anarchici per primi, immobilizzati dal fondamentalismo, non credono nell'anarchismo politico? La mancanza di sperimentazione è infatti sinonimo di sfiducia nei propri mezzi ed ancor più nelle possibilità interne alla prospettiva libertaria: “La storia è opposizione e sintesi. L'anarchismo, se vuole agire nella storia e diventare un grande fattore di storia, deve aver fede nell'anarchia, come una possibilità sociale che si realizza nelle sue approssimazioni progressive. L'anarchia come sistema religioso (ogni sistema etico è di sua natura religioso) è una ‘verità’ di fede, quindi per propria natura, evidente soltanto a chi la può vedere. L'anarchismo è più vivo, più vasto, più dinamico. Egli è un compromesso tra l'Idea e il fatto, tra il domani e l'oggi. L'anarchismo procede in modo polimorfo, perché è nella vita. E le sue deviazioni stesse sono la ricerca di una rotta migliore”. Berneri è quindi “un anarchico che crede all'anarchia e, ancor più, all'anarchismo”. Berneri è un gradualista rivoluzionario perché è ben conscio della futilità del tutto e subito o del “tanto peggio-tanto meglio”, così come dell'irraggiungibilità della perfezione, e tiene distinti l'anarchia (“religione”) e l'anarchismo (l'anarchia nella storia): “l'anarchico comprende che nella storia si agisce sapendo essere popolo per quel tanto che permette di essere compresi e di agire, additando mete immediate, interpretando reali e generali bisogni, rispondendo a sentimenti vivi e comuni”. Berneri non fu mai un massimalista: “A mio parere, il non esercitare un diritto perché è concesso dallo Stato, non creare una situazione migliore dell'attuale perché se ne vorrebbe una migliore di quella conseguibile, vale fossilizzare la nostra azione politica”. Ancora oggi la sinistra “radicale” non sa distinguere fra riformismo e gradualismo.
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==Contro lo scetticismo==
==Contro lo scetticismo==
Berneri escluse dall'anarchismo lo scetticismo e l'indifferentismo: “Credere di possedere la verità o considerarla come inaccessibile è un bivio che non può esistere per l'anarchico irrazionalista. (...) Lo scettico non è che la caricatura o il cadavere vivente dell'irrazionalista. (...) Ogni volta che lo scettico vuole illustrare lo scetticismo diventa un razionalista sentenzioso, sillogistico, aprioristico”. E giunse all'aperta denuncia dell'estremismo esibizionista e massimalista: “I fascisti che bruciano i giornali di opposizione sono, per lo più, quegli stessi sovversivi che non leggevano che i giornali del proprio partito e ci giuravano sopra. I fascisti che fanno a pezzi le bandiere rosse sono, per lo più, quelli che non volevano che i preti sonassero le campane, che disturbavano le processioni, che offendevano gli ufficiali, ecc. Là dove l'ineducazione sovversiva era maggiore il fascismo s'è sviluppato prima e più largamente. Perché l'intolleranza della violenza spicciola è il portato della miseria e della grettezza intellettuale e di una scarsa e deviata sensibilità morale. (...) Anche riguardo alla tolleranza il giusto morale e l'utile politico concordano. (...) L'anarchia è la filosofia della tolleranza”. Con una precisazione: “La tolleranza, del resto, non implica scettica valutazione della vita; dubbio sui fini e sui metodi. E non giustifica il ritrarsi egoistico dall'opera comune. Né implica tolstoiana rinuncia alla violenza”.
Berneri escluse dall'anarchismo lo scetticismo e l'indifferentismo: “Credere di possedere la verità o considerarla come inaccessibile è un bivio che non può esistere per l'anarchico irrazionalista. (...) Lo scettico non è che la caricatura o il cadavere vivente dell'irrazionalista. (...) Ogni volta che lo scettico vuole illustrare lo scetticismo diventa un razionalista sentenzioso, sillogistico, aprioristico”. E giunse all'aperta denuncia dell'estremismo esibizionista e massimalista: “I fascisti che bruciano i giornali di opposizione sono, per lo più, quegli stessi sovversivi che non leggevano che i giornali del proprio partito e ci giuravano sopra. I fascisti che fanno a pezzi le bandiere rosse sono, per lo più, quelli che non volevano che i preti sonassero le campane, che disturbavano le processioni, che offendevano gli ufficialiecc. Là dove l'ineducazione sovversiva era maggiore il fascismo s'è sviluppato prima e più largamente. Perché l'intolleranza della violenza spicciola è il portato della miseria e della grettezza intellettuale e di una scarsa e deviata sensibilità morale. (...) Anche riguardo alla tolleranza il giusto morale e l'utile politico concordano. (...) L'anarchia è la filosofia della tolleranza”. Con una precisazione: “La tolleranza, del resto, non implica scettica valutazione della vita; dubbio sui fini e sui metodi. E non giustifica il ritrarsi egoistico dall'opera comune. Né implica tolstoiana rinuncia alla violenza”.


==L'ignoranza di una certa sinistra==
==L'ignoranza di una certa sinistra==
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È influenzato da “La Voce”-“Lacerba” di Prezzolini-Papini (...). Per i rapporti con il primo, rimane il ricordo (molto postumo) dedicato a Berneri all'interno di Prezzolini alla finestra: “(...) appariva nella conversazione di una cultura non comune, come poi mi son accorto dalle sue citazioni negli scritti che ho letto di lui” (...).  
È influenzato da “La Voce”-“Lacerba” di Prezzolini-Papini (...). Per i rapporti con il primo, rimane il ricordo (molto postumo) dedicato a Berneri all'interno di Prezzolini alla finestra: “(...) appariva nella conversazione di una cultura non comune, come poi mi son accorto dalle sue citazioni negli scritti che ho letto di lui” (...).  
Però Berneri è attratto soprattutto da “L'Unità” (Firenze-Roma 1911-20), settimanale creato da Salvemini (uno dei “padri nobili” del liberalsocialismo italiano, nel 1929 fondatore con i fratelli Rosselli, Lussu, Nitti ed altri, della formazione politica Giustizia e Libertà). Con questi stabilirà, come vedremo, una relazione stretta e duratura (sarà il docente più apprezzato e più vicino negli studi accademici). È proprio Salvemini a testimoniare che: “Quando Carlo e Nello Rosselli ed Ernesto Rossi fondarono un gruppo di studi sociali, Berneri fu uno degli assidui” (...).
Però Berneri è attratto soprattutto da “L'Unità” (Firenze-Roma 1911-20), settimanale creato da Salvemini (uno dei “padri nobili” del liberalsocialismo italiano, nel 1929 fondatore con i fratelli Rosselli, Lussu, Nitti ed altri, della formazione politica Giustizia e Libertà). Con questi stabilirà, come vedremo, una relazione stretta e duratura (sarà il docente più apprezzato e più vicino negli studi accademici). È proprio Salvemini a testimoniare che: “Quando Carlo e Nello Rosselli ed Ernesto Rossi fondarono un gruppo di studi sociali, Berneri fu uno degli assidui” (...).
Berneri collaborerà quindi al “forum” antifascista raccolto intorno ad uno dei primissimi fogli clandestini italiani, il “Non mollare” (1925). Parallela all'impegno culturale, la sua attività militante non subisce mai pause, è anzi sempre più febbrile. Come scrive lui stesso: “In quel tempo ero membro del Consiglio Nazionale dell'Unione Anarchica Italiana e della Federazione Giovanile Rivoluzionaria. Ebbi qualche influenza, pur non essendo nei quadri, nel campo degli Arditi del Popolo, ed entrai nell'‘Italia Libera’ (sezione fiorentina) partecipando alla sua attività clandestina. Dal 1924 al 1926 lavorai illegalmente (diffusione stampa antifascista, ecc.), partecipando nell'inverno '26 al convegno anarchico delle Marche, del quale fui delegato al convegno nazionale dell'Unione Anarchica Italiana” (...).
Berneri collaborerà quindi al “forum” antifascista raccolto intorno ad uno dei primissimi fogli clandestini italiani, il “Non mollare” (1925). Parallela all'impegno culturale, la sua attività militante non subisce mai pause, è anzi sempre più febbrile. Come scrive lui stesso: “In quel tempo ero membro del Consiglio Nazionale dell'Unione Anarchica Italiana e della Federazione Giovanile Rivoluzionaria. Ebbi qualche influenza, pur non essendo nei quadri, nel campo degli Arditi del Popolo, ed entrai nell'‘Italia Libera’ (sezione fiorentina) partecipando alla sua attività clandestina. Dal 1924 al 1926 lavorai illegalmente (diffusione stampa antifascistaecc.), partecipando nell'inverno '26 al convegno anarchico delle Marche, del quale fui delegato al convegno nazionale dell'Unione Anarchica Italiana” (...).


===Una grande curiosità intellettuale===
===Una grande curiosità intellettuale===
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===La politica delle alleanze e la lezione storica dello scontro con i due totalitarismi===
===La politica delle alleanze e la lezione storica dello scontro con i due totalitarismi===
Ha scritto Pier Carlo Masini che Berneri: “(...) si sentiva vicino ai repubblicani di Critica politica, (...) trasferiva la tematica federalista all'interno del movimento operaio, fino ad allora egemonizzato dal centralismo di marca germanico-socialdemocratica e di marca russo-bolscevica” (...). La sua attenzione sarà volta in particolare verso “Rivoluzione Liberale” e “Giustizia e Libertà”, organi di stampa omonimi dei relativi movimenti politici (embrionale il primo, definito il secondo), guidati rispettivamente da Piero Gobetti e Carlo Rosselli.  
Ha scritto Pier Carlo Masini che Berneri: “(...) si sentiva vicino ai repubblicani di Critica politica, (...) trasferiva la tematica federalista all'interno del movimento operaio, fino ad allora egemonizzato dal centralismo di marca germanico-socialdemocratica e di marca russo-bolscevica” (...). La sua attenzione sarà volta in particolare verso “Rivoluzione Liberale” e “Giustizia e Libertà”, organi di stampa omonimi dei relativi movimenti politici (embrionale il primo, definito il secondo), guidati rispettivamente da Piero Gobetti e Carlo Rosselli.  
Fu nel corso di uno dei primi dibattiti affrontati su quei giornali, proprio confrontandosi con Gobetti nell'aprile del ‘23, che Berneri sostenne essere gli anarchici “i liberali del socialismo” (...). Il liberalismo di Gobetti era considerato compatibile per un'alleanza con l'anarchismo, perché “richiama a Pareto, a Einaudi, ecc. ben più che ai liberali inglesi” (...).
Fu nel corso di uno dei primi dibattiti affrontati su quei giornali, proprio confrontandosi con Gobetti nell'aprile del ‘23, che Berneri sostenne essere gli anarchici “i liberali del socialismo” (...). Il liberalismo di Gobetti era considerato compatibile per un'alleanza con l'anarchismo, perché “richiama a Pareto, a Einaudiecc. ben più che ai liberali inglesi” (...).
Carlo Rosselli, autore durante il confino nell'isola di Lipari e prima di riparare in Francia, dell'opera Socialismo liberale, fu il principale animatore di un'organizzazione politica sincretista, federalista e liberal-socialista che, soprattutto attraverso Berneri, dialogò molto con gli anarchici. Questo portò alla realizzazione – tra alterne vicende – di una colonna mista che, inquadrata fra le forze della CNT, ebbe in Rosselli il comandante (...) ed in Berneri il commissario politico e che raggruppò, oltre ai volontari di Giustizia e Libertà, parte significativa dei duemila anarchici italiani accorsi in Spagna per combattere a fianco della Repubblica nella guerra rivoluzionaria che seguì il colpo di stato fascista del 17 luglio 1936. Va segnalato che questa milizia precorse di molto le (oggi) più famose “Brigate Internazionali” di matrice comunista. Intellettuali militanti, Berneri e Rosselli combatterono in prima linea sul fronte di Huesca. Il lodigiano venne ferito nella battaglia per la conquista di Monte Pelato (...).  
Carlo Rosselli, autore durante il confino nell'isola di Lipari e prima di riparare in Francia, dell'opera Socialismo liberale, fu il principale animatore di un'organizzazione politica sincretista, federalista e liberal-socialista che, soprattutto attraverso Berneri, dialogò molto con gli anarchici. Questo portò alla realizzazione – tra alterne vicende – di una colonna mista che, inquadrata fra le forze della CNT, ebbe in Rosselli il comandante (...) ed in Berneri il commissario politico e che raggruppò, oltre ai volontari di Giustizia e Libertà, parte significativa dei duemila anarchici italiani accorsi in Spagna per combattere a fianco della Repubblica nella guerra rivoluzionaria che seguì il colpo di stato fascista del 17 luglio 1936. Va segnalato che questa milizia precorse di molto le (oggi) più famose “Brigate Internazionali” di matrice comunista. Intellettuali militanti, Berneri e Rosselli combatterono in prima linea sul fronte di Huesca. Il lodigiano venne ferito nella battaglia per la conquista di Monte Pelato (...).  


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Come Kropotkin, Berneri identificava nell'anarcosindacalismo la continuazione ideale della Prima Internazionale. Precisamente: “La ricostruzione sociale anti-statale non può essere, quindi, secondo il Kropotkine, che un nuovo ordine basato su un sistema di rappresentanze e di direzioni del quale partecipi tutta la massa lavoratrice. E tanto più questa massa dispone di uno strumento proprio per sostituire al regime capitalistico l'organizzazione economica comunista, e tale istrumento non può che essere il sindacato, tanto più è possibile che la federazione comunalista possa subentrare allo Stato” (...).
Come Kropotkin, Berneri identificava nell'anarcosindacalismo la continuazione ideale della Prima Internazionale. Precisamente: “La ricostruzione sociale anti-statale non può essere, quindi, secondo il Kropotkine, che un nuovo ordine basato su un sistema di rappresentanze e di direzioni del quale partecipi tutta la massa lavoratrice. E tanto più questa massa dispone di uno strumento proprio per sostituire al regime capitalistico l'organizzazione economica comunista, e tale istrumento non può che essere il sindacato, tanto più è possibile che la federazione comunalista possa subentrare allo Stato” (...).
Berneri, che nell'esilio scelse di rivitalizzare e dirigere la rivista di lingua italiana “Guerra di Classe” – prima del fascismo organo dell'Unione Sindacale e col quale aveva già collaborato in Italia dal 1917 – fu molto chiaro in merito: “Il campo sindacale è diventato l'unico campo che permette un'attività concreta. (...) La stampa anarco-sindacalista ha un riflesso costante dei bisogni, delle aspirazioni, delle lotte delle masse proletarie (...) ma quella anarchica, pura, salvo qualche rara eccezione, è generica, cioè sorda e cieca alle realtà particolari dell'ambiente sociale in cui essa vive. Il giornale di Parigi potrebbe essere fatto a New York, e quasi in nulla muterebbe. In questo fenomeno sta uno dei massimi indici della crisi dell'anarchismo puro” (...).
Berneri, che nell'esilio scelse di rivitalizzare e dirigere la rivista di lingua italiana “Guerra di Classe” – prima del fascismo organo dell'Unione Sindacale e col quale aveva già collaborato in Italia dal 1917 – fu molto chiaro in merito: “Il campo sindacale è diventato l'unico campo che permette un'attività concreta. (...) La stampa anarco-sindacalista ha un riflesso costante dei bisogni, delle aspirazioni, delle lotte delle masse proletarie (...) ma quella anarchica, pura, salvo qualche rara eccezione, è generica, cioè sorda e cieca alle realtà particolari dell'ambiente sociale in cui essa vive. Il giornale di Parigi potrebbe essere fatto a New York, e quasi in nulla muterebbe. In questo fenomeno sta uno dei massimi indici della crisi dell'anarchismo puro” (...).
Il suo è un anarcosindacalismo di progetto, volano di un nuovo programma: “La maggior parte degli anarco-sindacalisti è costituita da anarchici che sono sindacalisti in quanto vedono nel sindacato un ambiente di agitazione e di propaganda più che di organizzazione classista. E ben pochi anarco-sindacalisti si sono, quindi, posti i problemi inerenti al sindacato quale cellula ricostruttiva, quale base di produzione e di amministrazione comuniste. Ancor meno numerosi sono coloro che si sono posti il problema dei rapporti fra i sindacati e i Comuni. Ancor oggi siamo al bivio, fra l'insidia del sovietismo bolscevico e l'insidia unitaria accentratrice del confederalismo socialdemocratico” (...). Un programma insieme economico e politico, nonché mirato alle diverse realtà nazionali: “Se il movimento anarchico non si decide a limitare il proprio comunismo a pura e semplice tendenzialità, a formulare un programma italiano, spagnolo, russo, ecc. a basi comunaliste e sindacaliste; a crearsi una tattica rispondente alla complessità e variabilità dei momenti politici e sociali; a sbarazzarsi, insomma, di tutti i suoi gravami dogmatici, di tutte le sue abitudini stilistiche, di tutte le sue fobie, il movimento anarchico non attirerà più la gioventù intelligente e colta, non saprà combattere efficacemente la statolatria comunista, non potrà per lungo tempo uscire dal marasma. La crisi dell'anarco-sindacalismo è la crisi dell'anarchismo. Ed io ho fede che nella corrente anarco-sindacalista più che in ogni altra è possibile trovare le possibilità di una rielaborazione ideologica e tattica dell'anarchismo” (...).
Il suo è un anarcosindacalismo di progetto, volano di un nuovo programma: “La maggior parte degli anarco-sindacalisti è costituita da anarchici che sono sindacalisti in quanto vedono nel sindacato un ambiente di agitazione e di propaganda più che di organizzazione classista. E ben pochi anarco-sindacalisti si sono, quindi, posti i problemi inerenti al sindacato quale cellula ricostruttiva, quale base di produzione e di amministrazione comuniste. Ancor meno numerosi sono coloro che si sono posti il problema dei rapporti fra i sindacati e i Comuni. Ancor oggi siamo al bivio, fra l'insidia del sovietismo bolscevico e l'insidia unitaria accentratrice del confederalismo socialdemocratico” (...). Un programma insieme economico e politico, nonché mirato alle diverse realtà nazionali: “Se il movimento anarchico non si decide a limitare il proprio comunismo a pura e semplice tendenzialità, a formulare un programma italiano, spagnolo, russoecc. a basi comunaliste e sindacaliste; a crearsi una tattica rispondente alla complessità e variabilità dei momenti politici e sociali; a sbarazzarsi, insomma, di tutti i suoi gravami dogmatici, di tutte le sue abitudini stilistiche, di tutte le sue fobie, il movimento anarchico non attirerà più la gioventù intelligente e colta, non saprà combattere efficacemente la statolatria comunista, non potrà per lungo tempo uscire dal marasma. La crisi dell'anarco-sindacalismo è la crisi dell'anarchismo. Ed io ho fede che nella corrente anarco-sindacalista più che in ogni altra è possibile trovare le possibilità di una rielaborazione ideologica e tattica dell'anarchismo” (...).
Nel proprio iter il lodigiano esprimerà il suo punto di vista praticamente su tutte le questioni dibattute nel movimento libertario internazionale.
Nel proprio iter il lodigiano esprimerà il suo punto di vista praticamente su tutte le questioni dibattute nel movimento libertario internazionale.


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Il ruolo dell'organizzazione specifica è ben preciso per Berneri. Nel testo Risposta ad una consultazione sui compiti immediati e futuri dell'anarchismo (...), egli accenna a critiche e suggerimenti: “L'organizzazione (l'Unione Anarchica Italiana) ha vissuto poco, ma qualche anno di vita sarebbe bastato, se fosse esistita tra noi una costante ed intelligente volontà rivoluzionaria, a fare di essa un organismo di combattimento capace di agire con coordinazione e simultaneità, anche fuori dei quadri sindacali ed indipendentemente dai fronti unici, che si risolsero in bluff. Si consumarono energie insurrezionali in sporadiche azioni e si perdettero ottime occasioni (...) le esperienze del passato non vanno dimenticate. E la diagnosi dei nostri mali e delle nostre deficienze va accompagnata alla ferma volontà di un rinnovamento”.
Il ruolo dell'organizzazione specifica è ben preciso per Berneri. Nel testo Risposta ad una consultazione sui compiti immediati e futuri dell'anarchismo (...), egli accenna a critiche e suggerimenti: “L'organizzazione (l'Unione Anarchica Italiana) ha vissuto poco, ma qualche anno di vita sarebbe bastato, se fosse esistita tra noi una costante ed intelligente volontà rivoluzionaria, a fare di essa un organismo di combattimento capace di agire con coordinazione e simultaneità, anche fuori dei quadri sindacali ed indipendentemente dai fronti unici, che si risolsero in bluff. Si consumarono energie insurrezionali in sporadiche azioni e si perdettero ottime occasioni (...) le esperienze del passato non vanno dimenticate. E la diagnosi dei nostri mali e delle nostre deficienze va accompagnata alla ferma volontà di un rinnovamento”.
È un altro, ancor più forte, richiamo all'organizzazione come veicolo della politica, capace di concentrare ed applicare le forze ed al tempo stesso di rigenerarsi e rielaborare: un vero e proprio laboratorio di idee, capace di essere al tempo stesso fabbrica e motore di esperienze.
È un altro, ancor più forte, richiamo all'organizzazione come veicolo della politica, capace di concentrare ed applicare le forze ed al tempo stesso di rigenerarsi e rielaborare: un vero e proprio laboratorio di idee, capace di essere al tempo stesso fabbrica e motore di esperienze.
Berneri è molto infastidito dai continui attacchi alla logica organizzativa. Già nell'agosto del 1922 interviene nel dibattito, molto contrariato dalle invettive strumentali lanciate contro l'appena nata Unione Anarchica Italiana: “(...) Vediamo, piuttosto, se ha ragione lo Cizeta a scrivere che gli anarchici italiani ‘costituendosi in partito e centralizzandosi negli organi e nelle commissioni di corrispondenza dell'Unione Anarchica Italiana, si sono allontanati dalle folle‘. (...) Dov'è la centralizzazione? Forse nella Commissione di Corrispondenza? Essa è una Commissione (in cui v'è un solo indennizzato) incaricata dai singoli gruppi, di prendere iniziative di carattere generale: come manifesti nazionali, partecipazione a convegni con altri partiti di sinistra, ecc. La sua opera si limita a ricevere e trasmettere comunicati, somme di denaro, ecc. quando i gruppi abbiano bisogno, per questo, di lei. Altrimenti tutta la vita del movimento si svolge senza che sia avvertita l'esistenza di questa Commissione che ha tanto impressionato alcuni fegatosi critici per scopi personali e voi che, vivendo lontano non sapete come stanno le cose.
Berneri è molto infastidito dai continui attacchi alla logica organizzativa. Già nell'agosto del 1922 interviene nel dibattito, molto contrariato dalle invettive strumentali lanciate contro l'appena nata Unione Anarchica Italiana: “(...) Vediamo, piuttosto, se ha ragione lo Cizeta a scrivere che gli anarchici italiani ‘costituendosi in partito e centralizzandosi negli organi e nelle commissioni di corrispondenza dell'Unione Anarchica Italiana, si sono allontanati dalle folle‘. (...) Dov'è la centralizzazione? Forse nella Commissione di Corrispondenza? Essa è una Commissione (in cui v'è un solo indennizzato) incaricata dai singoli gruppi, di prendere iniziative di carattere generale: come manifesti nazionali, partecipazione a convegni con altri partiti di sinistraecc. La sua opera si limita a ricevere e trasmettere comunicati, somme di denaroecc. quando i gruppi abbiano bisogno, per questo, di lei. Altrimenti tutta la vita del movimento si svolge senza che sia avvertita l'esistenza di questa Commissione che ha tanto impressionato alcuni fegatosi critici per scopi personali e voi che, vivendo lontano non sapete come stanno le cose.
Non vi avrei scritto se non credessi dannosi al nostro movimento questi contrasti che sono creati artificiosamente e non hanno alcuna ragione di esistere.
Non vi avrei scritto se non credessi dannosi al nostro movimento questi contrasti che sono creati artificiosamente e non hanno alcuna ragione di esistere.
Piuttosto che sprecare lo spazio dei nostri giornali a fare critiche che non hanno base seria, intensifichiamo la nostra propaganda al di fuori ed al di sopra delle piccole sfumature di tendenza.
Piuttosto che sprecare lo spazio dei nostri giornali a fare critiche che non hanno base seria, intensifichiamo la nostra propaganda al di fuori ed al di sopra delle piccole sfumature di tendenza.
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Alla tolleranza va avvicinato l'umanesimo profondo “ereditato” da Malatesta: “Malatesta è stato sempre profondamente umano, anche verso i poliziotti che lo sorvegliavano. Una notte fredda e piovosa, in Ancona, egli sapeva che un questurino era là alla porta, ad inzupparsi e a battere i denti per adempiere il proprio compito. Andare a letto compiacendosi di sapere il segugio nelle peste sarebbe stato naturale, ma non per Malatesta, che scese alla porta ad invitare il questurino a scaldarsi un po' e a bere un caffè. Passarono gli anni, tanti anni. Una mattina, in piazza della Signoria, a Firenze, Malatesta riceve un ‘buon giorno, signor Errico‘ da un vecchio spazzino municipale. (...) Gli domanda chi sia e quegli gli dice: ‘Sono passati tanti anni. Si ricorda quella notte che io ero alla sua porta... ‘. Era quel questurino, che serbava in cuore il ricordo di quella gentilezza come si conserva tra le pagine di un libro il fiore colto in un giorno soleggiato dalla gioia di vivere. Malatesta, nel raccontare quell'incontro, aveva un sorriso di dolce compiacenza, quello stesso sorriso con cui Gori respingeva l'insistente offerta di portargli la valigia, pesante di lastre da proiezione, dei poliziotti che, nel corso delle sue tournées di conferenze, lo attendevano alla stazione.  
Alla tolleranza va avvicinato l'umanesimo profondo “ereditato” da Malatesta: “Malatesta è stato sempre profondamente umano, anche verso i poliziotti che lo sorvegliavano. Una notte fredda e piovosa, in Ancona, egli sapeva che un questurino era là alla porta, ad inzupparsi e a battere i denti per adempiere il proprio compito. Andare a letto compiacendosi di sapere il segugio nelle peste sarebbe stato naturale, ma non per Malatesta, che scese alla porta ad invitare il questurino a scaldarsi un po' e a bere un caffè. Passarono gli anni, tanti anni. Una mattina, in piazza della Signoria, a Firenze, Malatesta riceve un ‘buon giorno, signor Errico‘ da un vecchio spazzino municipale. (...) Gli domanda chi sia e quegli gli dice: ‘Sono passati tanti anni. Si ricorda quella notte che io ero alla sua porta... ‘. Era quel questurino, che serbava in cuore il ricordo di quella gentilezza come si conserva tra le pagine di un libro il fiore colto in un giorno soleggiato dalla gioia di vivere. Malatesta, nel raccontare quell'incontro, aveva un sorriso di dolce compiacenza, quello stesso sorriso con cui Gori respingeva l'insistente offerta di portargli la valigia, pesante di lastre da proiezione, dei poliziotti che, nel corso delle sue tournées di conferenze, lo attendevano alla stazione.  
(...) Soltanto chi vede in ogni uomo l'uomo, soltanto costui è umanista. L'industriale cupido che nell'operaio non vede che l'operaio, l'economista che nel produttore non vede che il produttore, il politico che nel cittadino non vede che l'elettore: ecco dei tipi umani che sono lontani da una concezione umanista della vita sociale. Egualmente lontani da quella concezione sono quei rivoluzionari che sul piano classista riproducono le generalizzazioni arbitrarie che nel campo nazionalista hanno nome xenofobia. Il rivoluzionario umanista è consapevole della funzione evolutiva del proletariato, è con il proletariato perché questa classe è oppressa, sfruttata ed avvilita ma non cade nell'ingenuità populista di attribuire al proletariato tutte le virtù e alla borghesia tutti i vizi e la stessa borghesia egli comprende nel suo sogno di umana emancipazione” .
(...) Soltanto chi vede in ogni uomo l'uomo, soltanto costui è umanista. L'industriale cupido che nell'operaio non vede che l'operaio, l'economista che nel produttore non vede che il produttore, il politico che nel cittadino non vede che l'elettore: ecco dei tipi umani che sono lontani da una concezione umanista della vita sociale. Egualmente lontani da quella concezione sono quei rivoluzionari che sul piano classista riproducono le generalizzazioni arbitrarie che nel campo nazionalista hanno nome xenofobia. Il rivoluzionario umanista è consapevole della funzione evolutiva del proletariato, è con il proletariato perché questa classe è oppressa, sfruttata ed avvilita ma non cade nell'ingenuità populista di attribuire al proletariato tutte le virtù e alla borghesia tutti i vizi e la stessa borghesia egli comprende nel suo sogno di umana emancipazione” .
(...) Niente dittature, né del cervello sui calli, né dei calli sul cervello, ché ogni uomo ha un cervello e il pensiero non sta nei calli”. (...) Dittatura del proletariato è concetto e formula d'imperialismo classista, equivoca ed assurda. Il proletariato deve sparire, non governare (...). Che cosa permane allo sparire delle classi? Rimangono le categorie umane: intelligenti e stupidi, colti e semi-incolti, sani e malati, onesti e disonesti, belli e brutti, ecc..
(...) Niente dittature, né del cervello sui calli, né dei calli sul cervello, ché ogni uomo ha un cervello e il pensiero non sta nei calli”. (...) Dittatura del proletariato è concetto e formula d'imperialismo classista, equivoca ed assurda. Il proletariato deve sparire, non governare (...). Che cosa permane allo sparire delle classi? Rimangono le categorie umane: intelligenti e stupidi, colti e semi-incolti, sani e malati, onesti e disonesti, belli e bruttiecc..
(...) La rivoluzione sociale, classista nella sua genesi, è umanista nei suoi processi evolutivi. Chi non capisce questa verità è un idiota. Chi la nega è un aspirante dittatore” (...).
(...) La rivoluzione sociale, classista nella sua genesi, è umanista nei suoi processi evolutivi. Chi non capisce questa verità è un idiota. Chi la nega è un aspirante dittatore” (...).
La verve antidottrinaria di Berneri, quindi, non fu certo rivolta solo contro i “dogmi” dei “maestri” dell'anarchia, per i quali, peraltro, conservò sempre, pur nella polemica, profonda considerazione, bensì contro tutti i luoghi comuni della “vulgata” di una certa sinistra.  
La verve antidottrinaria di Berneri, quindi, non fu certo rivolta solo contro i “dogmi” dei “maestri” dell'anarchia, per i quali, peraltro, conservò sempre, pur nella polemica, profonda considerazione, bensì contro tutti i luoghi comuni della “vulgata” di una certa sinistra.  
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==Il revisionismo marxista==
==Il revisionismo marxista==
Berneri sviluppa un'altra delle vecchie questioni indicate da Bakunin. Puntando tutto sull'economico e considerando la cultura come “sovrastrutturale”, il potere sarà ancora una volta nelle mani di epigoni borghesi, naturali detentori degli arnesi del sapere atti a gestire la cosa pubblica, o dell'aristocrazia operaia, patrimonio quindi di un nuovo ceto tecnoburocratico giunto a dominare grazie all'infingimento della dittatura “proletaria”. In sostanza, non basta abolire la proprietà privata, se si crea una nuova struttura di dominio (connaturata allo stato), perché, tramite il monopolio del sapere, rimarrà il monopolio della conduzione del bene pubblico, amministrato da pochi sebbene nel nome di tutti. Evidentemente, il monopolio, anche economico, nelle mani dello stato, e la dittatura del partito unico rendono impossibile lo sviluppo della società in senso autogestionario: “Egualmente formalista è l'affermazione della necessità di un massimo concentramento del potere economico e politico dello Stato, come se il massimo concentramento avesse di per sé stesso potere regolatore, virtù d'innovazione positiva, e non fosse, invece, il massimo accentramento statale passibile di dare una progressione geometrica agli errori dei governanti” (...).
Berneri sviluppa un'altra delle vecchie questioni indicate da Bakunin. Puntando tutto sull'economico e considerando la cultura come “sovrastrutturale”, il potere sarà ancora una volta nelle mani di epigoni borghesi, naturali detentori degli arnesi del sapere atti a gestire la cosa pubblica, o dell'aristocrazia operaia, patrimonio quindi di un nuovo ceto tecnoburocratico giunto a dominare grazie all'infingimento della dittatura “proletaria”. In sostanza, non basta abolire la proprietà privata, se si crea una nuova struttura di dominio (connaturata allo stato), perché, tramite il monopolio del sapere, rimarrà il monopolio della conduzione del bene pubblico, amministrato da pochi sebbene nel nome di tutti. Evidentemente, il monopolio, anche economico, nelle mani dello stato, e la dittatura del partito unico rendono impossibile lo sviluppo della società in senso autogestionario: “Egualmente formalista è l'affermazione della necessità di un massimo concentramento del potere economico e politico dello Stato, come se il massimo concentramento avesse di per sé stesso potere regolatore, virtù d'innovazione positiva, e non fosse, invece, il massimo accentramento statale passibile di dare una progressione geometrica agli errori dei governanti” (...).
Per Berneri, che lo stato sia la causa scatenante delle classi: “appare evidente dagli studi degli stessi marxisti quando siano degli studi seri, come quello di Paul Louis su Le travail dans le monde romain (Parigi 1912). Da questo libro risulta chiaramente che il ceto capitalista romano si è formato come parassita dello Stato. Dai generali predoni ai governatori, dagli agenti delle imposte alle famiglie degli argentari, dagli impiegati della dogana ai fornitori dell'esercito, la borghesia romana si crea mediante la guerra, l'intervenzionismo statale nell'economia, il fiscalismo statale, ecc., ben più che altrimenti. E se esaminiamo l'interdipendenza tra lo Stato e il capitalismo, vediamo che il secondo ha largamente profittato del primo per interessi statali e non nettamente capitalistici. Tanto è vero questo, che lo sviluppo dello Stato precede lo sviluppo del capitalismo. L'Impero Romano era già un organismo vastissimo e complesso quando il capitalismo romano era ancora alla gestione familiare. Paul Louis, non esita a proclamare: ‘Il capitalismo antico è nato dalla guerra‘. I primi capitalisti furono, infatti, i generali ed i pubblicani. Tutta la storia della formazione delle fortune è storia nella quale è presente lo Stato. È da questa convinzione che lo Stato è stato ed è il padre del capitalismo e non soltanto il suo alleato naturale che noi deriviamo la convinzione che la distruzione dello Stato è la conditio sine qua non della disparizione delle classi e della non-rinascita di esse (...).
Per Berneri, che lo stato sia la causa scatenante delle classi: “appare evidente dagli studi degli stessi marxisti quando siano degli studi seri, come quello di Paul Louis su Le travail dans le monde romain (Parigi 1912). Da questo libro risulta chiaramente che il ceto capitalista romano si è formato come parassita dello Stato. Dai generali predoni ai governatori, dagli agenti delle imposte alle famiglie degli argentari, dagli impiegati della dogana ai fornitori dell'esercito, la borghesia romana si crea mediante la guerra, l'intervenzionismo statale nell'economia, il fiscalismo stataleecc., ben più che altrimenti. E se esaminiamo l'interdipendenza tra lo Stato e il capitalismo, vediamo che il secondo ha largamente profittato del primo per interessi statali e non nettamente capitalistici. Tanto è vero questo, che lo sviluppo dello Stato precede lo sviluppo del capitalismo. L'Impero Romano era già un organismo vastissimo e complesso quando il capitalismo romano era ancora alla gestione familiare. Paul Louis, non esita a proclamare: ‘Il capitalismo antico è nato dalla guerra‘. I primi capitalisti furono, infatti, i generali ed i pubblicani. Tutta la storia della formazione delle fortune è storia nella quale è presente lo Stato. È da questa convinzione che lo Stato è stato ed è il padre del capitalismo e non soltanto il suo alleato naturale che noi deriviamo la convinzione che la distruzione dello Stato è la conditio sine qua non della disparizione delle classi e della non-rinascita di esse (...).
Il lodigiano si scontra violentemente con il bolscevismo, considerando insieme impropri e mortali per il movimento [[socialista]] l'eliminazione del pluralismo ed il dominio del partito unico. Cosa che non perdona a Lenin e a Stalin, ma neppure a Trotskij, condannandone l'involuzione militarista e la disinvoltura politica: “Trotsky in atteggiamento di san Giorgio in lotta con il drago stalinista non può fare dimenticare il Trotsky di Kronstadt” (...).  
Il lodigiano si scontra violentemente con il bolscevismo, considerando insieme impropri e mortali per il movimento [[socialista]] l'eliminazione del pluralismo ed il dominio del partito unico. Cosa che non perdona a Lenin e a Stalin, ma neppure a Trotskij, condannandone l'involuzione militarista e la disinvoltura politica: “Trotsky in atteggiamento di san Giorgio in lotta con il drago stalinista non può fare dimenticare il Trotsky di Kronstadt” (...).  
Berneri svela inesorabilmente il legame profondo fra i dettami del marxismo ed i suoi epigoni, nessuno escluso, neppure quelli che denunciano la “burocratizzazione” del sistema sovietico. Infatti l'errore sta all'origine: “(...) se la diagnosi opposizionale è quasi sempre esatta, l'etiologia opposizionale è quasi sempre insufficiente. (...) Scagliarsi contro gli effetti senza risalire alle cause, al peccato originale del bolscevismo (dittatura burocratica in funzione di dittatura del partito) vale semplificare arbitrariamente la catena causale che dalla dittatura di Lenin giunge a quella di Stalin, senza profonde soluzioni di continuità” (...).  
Berneri svela inesorabilmente il legame profondo fra i dettami del marxismo ed i suoi epigoni, nessuno escluso, neppure quelli che denunciano la “burocratizzazione” del sistema sovietico. Infatti l'errore sta all'origine: “(...) se la diagnosi opposizionale è quasi sempre esatta, l'etiologia opposizionale è quasi sempre insufficiente. (...) Scagliarsi contro gli effetti senza risalire alle cause, al peccato originale del bolscevismo (dittatura burocratica in funzione di dittatura del partito) vale semplificare arbitrariamente la catena causale che dalla dittatura di Lenin giunge a quella di Stalin, senza profonde soluzioni di continuità” (...).  
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Potremmo dire che esse costituiscono il dato sul quale si fonda (si radica) l'individuo, divenendo persona (con i suoi legami sociali, culturali ed economici) (...). Ai fini del nostro discorso, risulta particolarmente efficace la definizione di ‘persona’ che è stata data da Alessandro Ferrara: ‘Individuo «preso con tutta la zolla», considerato cioè in congiunzione con quel nesso di relazioni di riconoscimento reciproco che lo fanno essere quel «chi» unico e irripetibile che è‘ (...). Le seguenti parole di Lelio Basso – che corrispondevano, nel 1933, a un questionario di Giustizia e Libertà – forniscono, poi, una periodizzazione estremamente significativa: ‘Abbandonare definitivamente il concetto dell'individuo così come è stato elaborato dal pensiero settecentesco e dalla rivoluzione francese, per sostituirvi quello più concreto e completo di personalità, ciascuna diversa e distinta e ciascuna centro di confluenza di rapporti sociali economici spirituali, è, se non m'inganno, un bisogno largamente diffuso fra le giovani generazioni‘ (...).
Potremmo dire che esse costituiscono il dato sul quale si fonda (si radica) l'individuo, divenendo persona (con i suoi legami sociali, culturali ed economici) (...). Ai fini del nostro discorso, risulta particolarmente efficace la definizione di ‘persona’ che è stata data da Alessandro Ferrara: ‘Individuo «preso con tutta la zolla», considerato cioè in congiunzione con quel nesso di relazioni di riconoscimento reciproco che lo fanno essere quel «chi» unico e irripetibile che è‘ (...). Le seguenti parole di Lelio Basso – che corrispondevano, nel 1933, a un questionario di Giustizia e Libertà – forniscono, poi, una periodizzazione estremamente significativa: ‘Abbandonare definitivamente il concetto dell'individuo così come è stato elaborato dal pensiero settecentesco e dalla rivoluzione francese, per sostituirvi quello più concreto e completo di personalità, ciascuna diversa e distinta e ciascuna centro di confluenza di rapporti sociali economici spirituali, è, se non m'inganno, un bisogno largamente diffuso fra le giovani generazioni‘ (...).
La sensibilità per le modalità della finitudine richiama (e sostanzia) l'opposizione ai regimi totalitari e al volontarismo politico – inteso come onnipotenza verso il dato – che li caratterizza (...). (...) Diviene, allora, possibile individuare con estrema chiarezza i temi della critica sociale di Berneri. Al totalitarismo, egli oppose, da una parte le associazioni involontarie e, dall'altra, l'autonomismo e il federalismo (...).
La sensibilità per le modalità della finitudine richiama (e sostanzia) l'opposizione ai regimi totalitari e al volontarismo politico – inteso come onnipotenza verso il dato – che li caratterizza (...). (...) Diviene, allora, possibile individuare con estrema chiarezza i temi della critica sociale di Berneri. Al totalitarismo, egli oppose, da una parte le associazioni involontarie e, dall'altra, l'autonomismo e il federalismo (...).
La riflessione di Berneri ebbe al suo centro l'individuo immerso (come produttore e cittadino) nella società e nei suoi corpi intermedi, territoriali e non territoriali (famiglia, Comune, sindacato ecc.). Individuo radicato (...) in antagonismo con la società, piuttosto che individuo assoluto – ‘eroe liberale‘ (e anarchico) – ‘preso‘ e contrapposto allo Stato. La riflessione sull'individuo radicato in società conduce a una dimensione giuridica (di ‘diritti e responsabilità ‘) (...) avendo in mente ‘la società, con tutte le sue istituzioni: familiari, economiche, religiose, politiche, ecc.‘ (...) e ‘intendendo le leggi come le norme morali e civili che sono più universalmente accettate come base di un'ordinata convivenza, e come quelle necessarie costrizioni della libertà individuale che sono la condizione necessaria della sicurezza e libertà individuali e collettive‘ (...). (...) Proprio la coscienza dell'importanza del diritto si configura come antidoto alla presa esercitata dalle ideologie (...).
La riflessione di Berneri ebbe al suo centro l'individuo immerso (come produttore e cittadino) nella società e nei suoi corpi intermedi, territoriali e non territoriali (famiglia, Comune, sindacato ecc.). Individuo radicato (...) in antagonismo con la società, piuttosto che individuo assoluto – ‘eroe liberale‘ (e anarchico) – ‘preso‘ e contrapposto allo Stato. La riflessione sull'individuo radicato in società conduce a una dimensione giuridica (di ‘diritti e responsabilità ‘) (...) avendo in mente ‘la società, con tutte le sue istituzioni: familiari, economiche, religiose, politicheecc.‘ (...) e ‘intendendo le leggi come le norme morali e civili che sono più universalmente accettate come base di un'ordinata convivenza, e come quelle necessarie costrizioni della libertà individuale che sono la condizione necessaria della sicurezza e libertà individuali e collettive‘ (...). (...) Proprio la coscienza dell'importanza del diritto si configura come antidoto alla presa esercitata dalle ideologie (...).
(...) Di fronte al totalitarismo, Ortega y Gasset, come Berneri, dava risalto al fenomeno giuridico (...). Rispetto a questa affinità, la lontananza politica tra i due passa – ai nostri occhi – in secondo piano (...).
(...) Di fronte al totalitarismo, Ortega y Gasset, come Berneri, dava risalto al fenomeno giuridico (...). Rispetto a questa affinità, la lontananza politica tra i due passa – ai nostri occhi – in secondo piano (...).
Con consonanza sorprendente, Ortega y Gasset e Berneri rifiutarono il contrattualismo moderno. Secondo le parole del primo (maggio 1937): ‘Uno degli errori più grandi del pensiero ‘moderno‘, di cui sentiamo ancora gli ultimi riverberi, è stato quello di confondere la società con l'associazione, che è più o meno il suo contrario. Una società non si costituisce per un accordo delle volontà. Al contrario, ogni accordo di volontà presuppone l'esistenza di una società, di gente che convive, e l'accordo non può consistere che nel precisare questa o quella forma di tale convivenza, di tale società preesistente‘ (...).
Con consonanza sorprendente, Ortega y Gasset e Berneri rifiutarono il contrattualismo moderno. Secondo le parole del primo (maggio 1937): ‘Uno degli errori più grandi del pensiero ‘moderno‘, di cui sentiamo ancora gli ultimi riverberi, è stato quello di confondere la società con l'associazione, che è più o meno il suo contrario. Una società non si costituisce per un accordo delle volontà. Al contrario, ogni accordo di volontà presuppone l'esistenza di una società, di gente che convive, e l'accordo non può consistere che nel precisare questa o quella forma di tale convivenza, di tale società preesistente‘ (...).
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