Sergej Gennadjevič Nečaev

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Sergej Gennadievič Nečaev, in russo Сергей Геннадиевич Нечаев (Ivanovo, 20 settembre 1847 – San Pietroburgo, 3 dicembre 1882), è stato un rivoluzionario russo, esponente del movimento nichilista russo.

Biografia

L'apprendistato

Sergej Gennadievič Nečaev nacque il 20 settembre 1847 nella cittadina di Ivanovo, un centro tessile situato a nord est di Mosca. Suo padre era un ex imbianchino, poi divenuto cameriere. La madre, che morì quando il bambino aveva solo 6 anni, era figlia di un servo della gleba affrancato. All'età di 9 anni, il piccolo Sergej cominciò l'apprendistato in una fabbrica, dalla quale fu licenziato per aver smarrito una lettera che era stato incaricato di consegnare in una località vicina. [1] All'improvviso libero dal lavoro, il giovane Nečaev manifestò la volontà di continuare gli studi. Dapprima sotto la guida di un istitutore, poi da solo riuscì a terminare la scuola dell'obbligo. Superati gli esami, ottenne un posto da maestro nella scuola parrocchiale di San Pietroburgo. Entrato nei circoli studenteschi rivoluzionari, la sua personalità lo spinse a esercitare un grande ascendente sui suoi compagni, diventandone il capo. Volendo apparire come un'importante figura di rivoluzionario, egli riuscì addirittura a far credere alla notizia falsa del suo arresto, grazie a uno stratagemma astuto e complicato, mentre, in realtà, aveva semplicemente lasciato San Pietroburgo per recarsi a Mosca, dalla quale sarebbe successivamente partito per la Svizzera, dove doveva incontrarsi con Bakunin.

Nečaev e Bakunin

Nečaev irruppe nella vita di Bakunin, a Ginevra, in un periodo nel quale l'anarchico, in conflitto con Marx che lottava contro la sua influenza all'interno del'AIT, carezzava il progetto di rivolgersi alla Russia per cercare di realizzare laggiù un grande movimento rivoluzionario, del quale egli sarebbe stato la guida. Dunque Bakunin accolse con gioia il giovane compatriota, nel quale vedeva un possibile discepolo. Spinto da Nečaev, egli redasse così un certo numero di volantini indirizzati ai rivoluzionari russi. In uno di questi testi di propaganda, destinati agli studenti, Bakunin li esortava a lasciare l'università per unirsi al popolo:

«[...] Abbandonate al più presto questo mondo condannato, queste università, accademie e scuole dalle quali oggi venite scacciati e dove si sono sempre impegnati a tenervi lontani dal popolo. Andate nel popolo! È questa la vostra vocazione, la vostra vita, la vostra scienza. Imparate, nelle fila del popolo stesso, a servire i suoi interessi e a far trionfare la sua causa! Ricordatevi che la gioventù istruita non dev'essere né la maestra né la benefattrice né la tiranna, ma piuttosto la levatrice del popolo che lo aiuterà a liberarsi da sé, l'unificatrice delle forze e degli sforzi popolari». [2]

Per procurarsi il denaro necessario alla campagna di propaganda in Russia, Nečaev e Bakunin si rivolsero al vecchio Herzen e al poeta Ogarëv [3], suo amico, depositari di una somma di 20.000 franchi, affidata nelle loro mani da un compatriota (un certo Pavel A. Bachmetev, che decise di fare quella donazione prima di abbandonare l'Europa per fondare una comunità nelle Isole Marchesi) per essere devoluta alla rivoluzione. All'inizio Herzen, che provava molta simpatia per Nečaev e le sue idee, rifiutò di consegnare il denaro. Ma dopo le insistenze di Ogarëv, finì col concedere 10.000 al giovane nichilista, il quale poté così rientrare in Russia, munito di una raccomandazione scritta di Bakunin, che lo nominava rappresentante accreditato della sezione russa di una certa Alleanza rivoluzionaria europea, un'organizzazione del tutto inesistente. Tuttavia, ciò che contava per Nečaev era il fatto di poter rientrare il patria sotto l'egida di uno dei nomi più importanti della rivoluzione internazionale.

Il gruppo Giustizia del popolo

Al suo ritorno, Nečaev, che si faceva chiamare Pavlov, riprese i contatti con gli ambienti studenteschi di Mosca, presentandosi come il responsabile di organizzazioni segrete: la Giustizia del popolo o la Società della scure. Sfruttando la raccomandazione scritta di Bakunin, egli faceva immancabilmente colpo sugli altri. Riuscì così a raccogliere attorno a sé alcuni giovani pieni di ingenua ammirazione, i quali si sottomisero alla sua volontà implacabile. Nel gruppetto di cospiratori, solo lo studente Ivanov si mostrò recalcitrante alla disciplina che Nečaev voleva imporre ai membri della piccola associazione rivoluzionaria, da lui costantemente tenuta sotto la minaccia delle rappresaglie di un "Comitato supremo" che, in realtà, esisteva solamente nella sua immaginazione.

L'assassinio di Ivanov

Dopo il boicottaggio delle lezioni di un professore reazionario, punito dalle autorità con l'espulsione di alcuni studenti, l'Università di Mosca entrò in stato d'agitazione. Nečaev si ritrovò nuovamente in disaccordo con Ivanov circa l'atteggiamento da tenere in tale occasione. E dato che questi aveva manifestato la volontà di lasciare la Giustizia del popolo per fondare una propria organizzazione, Nečaev decise di sopprimerlo. Egli riuscì a convincere 4 compagni del gruppo che bisognava liquidare il giovane studente, il quale fu quindi attirato in un agguato. Nečaev strangolò Ivanov con le sue mani per poi dargli il colpo di grazia, sparandogli alla tempia. I complici fecero poi sparire il cadavere gettandolo in uno stagno. [4] Ma, in seguito a una perquisizione nella libreria Čerkesov e nell'abitazione del suo gerente, Petr Uspenskij, il quale aveva partecipato all'omicidio di Ivanov, la polizia scoprì gli archivi della Giustizia del popolo e molti altri documenti compromettenti, venendo così a mettere le mani sulla lista completa dei militanti del movimento, tra i quali compariva il nome di Ivanov. E poiché nel frattempo era stato scoperto il cadavere del giovane studente, l'arresto dei membri del gruppo permise (grazie a una tessera di abbonamento alla libreria Čerkesov, rinvenuta in una tasca della vittima) di identificare anche gli autori del delitto. Dopo l'omicidio di Ivanov, Nečaev aveva lasciato Mosca per recarsi a San Pietroburgo, intenzionato a fondare una nuova organizzazione in quella città, dove poté sfuggire all'arresto. I complici resero piena confessione: il caso Ivanov sarebbe diventato da quel momento un processo clamoroso. Ma colui che si stava conquistando la fama di essere un capo rivoluzionario di primo piano nonché l'agente di Bakunin, riuscì, malgrado tutte le ricerche e la sorveglianza, a sgusciare tra le maglie della rete. Eludendo i piani delle polizie lanciate sulle sue tracce, Nečaev attraversò la frontiera senza problemi. Ma, arrivato in Svizzera, fu comunque costretto a nascondersi, dato che il governo zarista, per poter ottenere l'estradizione del latitante, ufficialmente lo segnalava come criminale comune.

La rottura con Bakunin

Assai preoccupato dal comportamento del giovane compagno, che dopo tanti intrighi e imposture cominciava a sembrargli un uomo pericoloso, Bakunin finì per rompere i legami con Nečaev. Dalla Svizzera, quest'ultimo partì allora per Londra. Colto all'improvviso dal timore che il suo inquietante allievo potesse fare un uso improprio di ciò che gli aveva imprudentemente insegnato e temendo soprattutto che potesse cercare di sfruttare la sua conoscenza per farsi largo negli ambienti rivoluzionari dell'emigrazione a Londra - con il rischio di comprometterli sia per la propria presenza che per le propie attività - Bakunin mise subito in guardia gli amici di Londra. Una delle sue lettere, datata 24 luglio 1870 e indirizzata al francese Alfred Talandier, un socialista indipendente [5] con il quale Nečaev aveva già preso contatto fin dall'arrivo nella capitale britannica, non lascia dubbi sul repentino mutamento d'opinione dell'anarchico nei riguardi del suo ex discepolo, oltre a descrivere la figura di Nečaev. Eccone alcuni estratti particolarmente significativi:

«[...] Ho appena saputo che Nečaev si è presentato a casa vostra e che vi siete fatto premura di comunicargli l'indirizzo dei nostri amici [...]. Può sembrarvi strano che vi consigliamo di respingere un uomo al quale abbiamo dato lettere di raccomandazione per voi, scritte nei termini più calorosi. Ma quelle lettere risalgono al mese di maggio e da allora abbiamo dovuto convincerci dell'esistenza di cose talmente gravi che ci hanno costretti a rompere tutti i nostri rapporti con Nečaev, e col rischio di passare ai vostri occhi per uomini incoerenti e volubili, abbiamo pensato che era un dovere sacro avvertirvi e premunirvi contro di lui [...]. Resta perfettamente vero che N. è l'uomo più perseguitato dal governo russo e che questi ha lanciato un nugolo di spie su tutto il continente europeo per ricarcarlo in tutti i paesi [...] non esita né si ferma di fronte a nulla, e si dimostra spietato con se stesso non meno che con gli altri. Ecco la qualità principale che mi ha attirato e che mi ha fatto per molto tempo desiderare la sua alleanza [...]. È un devoto fanatico, però al tempo stesso un fanatico pericolosissimo la cui alleanza non può che risultare funesta per tutti [...]. Egli è giunto a poco a poco a convincersi che, per fondare una società seria e indistruttibile, bisogna prendere come base la politica di Machiavelli e adottare per intero il sistema dei gesuiti - come corpo unicamente la violenza, come anima la menzogna [...]. ha tradito la fiducia di noi tutti, ha rubato le nostre lettere, ci ha orribilmente compromessi; in breve si è comportato come un miserabile. La sua unica scusa è il fanatismo! [...] Ha finito con l'identificare totalmente la causa della rivoluzione con la propria persona. [...] Soltanto con grande sforzo me ne sono separato, perché servire la nostra causa richiede molta energia e di rado se ne incontra una sviluppata a tal punto. Ma dopo aver esaurito tutti i mezzi per convincermene, ho dovuto separarmi da lui, e dopo essermene separato ho dovuto combatterlo a oltranza». [6]

Il sepolto vivo

Ben presto, Nečaev lasciò l'Inghilterra per passare un periodo in Francia. Andò prima a Lione, dove cercò di avere notizie di Bakunin, poi a Parigi, dove si stabilì in una camera del quartiere latino sotto il nome di Stéphane, studente serbo. Ai primi moti della Comune, egli si trovava ancora nella capitale francese. [7] Alla fine preferì, lasciando Parigi, fare ritorno in Svizzera, dove tentò invano di riannodare i rapporti con Bakunin. Braccato dalla polizia e tradito da un infiltrato (il polacco Adolf Stempkowski, espatriato in Svizzera, dove frequentava molti gruppi socialisti e rivoluzionari, informatore della polizia russa), fu arrestato nei dintorni di Zurigo. Le autorità svizzere accolsero la domanda di estradizione presentata dal governo zarista. Alcuni membri di organizzazioni rivoluzionarie, esiliati serbi e polacchi, condannarono a morte il delatore e tentarono, senza successo di liberare Nečaev al momento della partenza per la Russia. Il processo a Nečaev si svolse a Mosca, l'8 gennaio 1873. Davanti al tribunale l'imputato tenne testa ai giudici, mostrandosi di volta in volta aggressivo o noncurante, richiamandosi con orgoglio all'ideale rivoluzionario o rifiutando di rispondere ai magistrati, a seconda dei casi. Dato che in Russia era stata abolita la pena di morte, all'imputato fi inflitta una condanna di 20 anni ai lavori forzati, nonché la deportazione a vita in Siberia. [8] Ma lo zar decise di trasformare la condanna in reclusione a vita. Nečaev fu quindi trasferito a San Pietroburgo, nella fortezza Pietro e Paolo, nel lugubre rivellino di Alessio, dove Bakunin l'aveva preceduto pochi anni prima. Non ne sarebbe mai più uscito vivo. Durante i lunghi anni di reclusione, Nečaev ebbe dei trattamenti mutevoli, a seconda della volontà dell'amministrazione penitenziaria. Per un periodo, al prigioniero fu data la possibilità di prendere in prestito dei libri e gli fu concesso di scrivere. Nečaev ebbe modo così di scrivere in cella alcuni saggi di argomento storico e politico. Redasse anche alcuni scritti letterari, tra i quali qualche romanzo. Secondo un metodo già sperimentato con Bakunin, la polizia cercò di spingerlo a scrivere una confessione. Le autorità erano convinte che un uomo con l'istinto di autodifesa indebolito dalla solitudine e dalla clausura si sarebbe lasciato andare a fare delle rivelazioni, che senza dubbio si sarebbero rivelate utili alla Seconda sezione (la polizia zarista). Ma il calcolo della polizia fallì: Nečaev arrivò perfino a picchiare il capo della gendarmeria che era andato a trovarlo in cella per convincerlo a fare quanto ci si attendeva da lui. [9] In altri periodi, Nečaev fu trattato con metodi di estrema crudeltà. Eppure questo personaggio straordinario riuscì a esercitare sui secondini un vero e proprio ascendente, tanto da indurli perfino a condividre le sue idee. Grazie a loro, Nečaev poté così comunicare con il mondo esterno e prendere contatto con un'organizzazione rivoluzionaria, la Volontà del Popolo. Fu anche preparato un piano d'evasione, ma il progetto fallì. Caso unico negli annali della vita penitenziaria, la guarnigione della prigione fu arrestata per complicità e incarcerata seduta stante nel rivellino: per processare quei seguaci assolutamente anomali di Nečaev fu istruito un processo speciale. Sottoposto a un regime disumano e a condizioni di detenzione intollerabili, Nečaev morì di fame e malattia il 21 novembre 1882.

Il catechismo del rivoluzionario

È difficile pronunciarsi sulla vera paternità de Il catechismo del rivoluzionario, attribuito anche a Bakunin. Tuttavia, sebbene quest'ultimo abbia potuto contribuire alla sua redazione (cosa sulla quale, d'altronde, non sussistono più dubbi), il testo de Il catechismo esprime un tipo di mentalità che poco combacia con la personalità di Bakunin, anche tenendo conto delle contraddizioni del suo carattere, o anzi, proprio a causa di queste stesse contraddizioni. Difatti, la tendenza logica che si delinea negli articoli laconici de Il catechismo è troppo disumana per non dare l'impressione che l'autore del testo sia imperativamente un individuo solitario, un uomo abituato a coltivare e meditare con insistenza il suo odio per un mondo ostile, il mondo degli altri, prima di tradurre sulla carta il proprio risentimento in formule dotate di maniacale sobrietà, precisione e attenzione per i dettagli. Il gelido fanatismo e lo sprezzante pessimismo nei confronti della massa e dell'individuo che emergono da questo scritto, paiono molto lontani dal naturalismo generoso e dal vitalismo di Bakunin. [10]

Il catechismo del rivoluzionario si presenta come una raccolta di regole di comportamento, classificate in 4 rubriche [11]:

  • atteggiamento del rivoluzionario verso se stesso;
  • atteggiamento del rivoluzionario verso i compagni;
  • atteggiamento del rivoluzionario verso la società;
  • atteggiamento della «Società» dei rivoluzionari verso il popolo.

Il rivoluzionario per primo deve esistere soltanto per, e attraverso, la rivoluzione. Nella guerra spietata che egli dichiara allo Stato e alla società, non può aspettarsi nessuna pietà, mai. Condannato in anticipo, è pronto a subire la tortura e a dare la propria vita per la causa. La distruzione è l'unica scienza e l'unica morale. Il rivoluzionario disprezza l'opinione pubblica. Ogni sentimento, ogni valore della vita svanisce in lui davanti all'unica e alla sola passione: la rivoluzione. I suoi rapporti con i compagni di lotta sono interamente determinati dall'utilità di questi ultimi nella pratica rivoluzionaria, al punto che, prima di soccorrere un compagno in pericolo, bisogna tener conto degli interessi della causa rivoluzionaria e non dei sentimenti personali. Rispetto alla società, la volontà di distruggere rimane l'imperativo numero uno. Nessuna esitazione, nessun rimpianto sono concessi al rivoluzionario. È per distruggere con più efficacia l'ordine sociale che il rivoluzionario cerca di introdursi nelle organizzazioni collettive, usando l'astuzia e la dissimulazione. La liberazione e la felicità del popolo sono realizzabili solo attraverso mezzi rivoluzionari. Bisogna quindi provocare lo sviluppo e l'aumento della sofferenza del popolo, in modo da rendere la sua condizione insostenibile, affinché la rivolta generale gli si presenti come l'unica soluzione. Non si tratta affatto di sostituire una forma politica con un'altra, instaurando un presunto Stato rivoluzionario. D'altronde, il rivoluzionario non deve preoccuparsi di quella che sarà la società postrivoluzionaria: il suo ruolo non è di costruire, ma distruggere l'ordine esistente. Oltre all'inevitabile arruolamento delle masse popolari, Il catechismo prende in considerazione l'impiego e l'utilizzo al servizio della rivoluzione di briganti e fuorilegge, la cui forza d'urto distruttrice sarà un efficace rinforzo. L'apporto di Bakunin a quest'opera è visibile soprattutto nella parte dedicata all'atteggiamento della «Società» dei rivoluzionari verso il popolo, dove effettivamente ritroviamo i temi anarchici bakuniani, oltre a un'idea che gli stava molto a cuore: l'alleanza dei rivoluzionari e dei briganti contro il potere politico.

La «nečaevščina»

Il testo de Il catechismo ci mette di fronte a un atteggiamento rivoluzionario di tipo nichilista: l'autore descrive la rivoluzione come un fine in sé, al quale tutto il resto è subordinato. Il carattere strettamente attivista de Il catechismo salta subito agli occhi. Normalmente, il rivoluzionario cerca l'azione di massa; e poiché il suo scopo è di aiutare i lavoratori a organizzarsi, egli si sforza di mobilitarli e di inquadrarli, ideologicamente e praticamente, per aiutarli a prendere coscienza dei propri interessi e delle proprie forze, cosicché possano lottare efficacemente per gli obiettivi economici, sociali e politici da raggiungere. In questa prospettiva, il rivoluzionario è un uomo che si è schierato personalmente, impegnandosi nelle file del proletariato, uno che sceglie di partecipare direttamente alla lotta di classe. Il punto di vista dell'autore de Il catechismo, invece, è completamente diverso. Per lui, il ruolo fondamentale di un rivoluzionario non è più quello di impegnarsi in un'azione di massa, né di aiutare con gli strumenti intellettuali della dottrina, dell'informazione o della propaganda, le classi sfruttate a prendere coscienza della loro condizione, e ancor meno di lottare a fianco dei lavoratoriper la causa rivoluzionaria. È dall'esterno che il nichilista agirà sulla pratica rivoluzionaria: il suo metodo consisterà, dunque, nel provocare dall'esterno e indirettamente agitazioni irreversibili utili alla rivoluzione. Il nichilista dovrà imparare a manipolare passioni dall'impatto devastante. Dovrà creare situazioni insostenibili e provocare ovunque la repressione. Qui il popolo non è più il fine, bensì il mezzo della rivoluzione. Non c'è più bisogno di un'ideologia: bastano poche idee elementari. La rivoluzione è un problema di fisica, le masse sono la fonte d'energia. Da qui il profondo disprezzo per Nečaev per tutti i dottrinari, i rivoluzionari a parole e gli studenti, che provenivano generalmente dalla piccola nobiltà o dalla borghesia. Egli era assolutamente convinto, difatti, che la rivoluzione russa non sarebbe mai arrivata grazie ai membri dell'intellighenzia.

Note

  1. R. Cannac, Aux sources de la révolution russe, p. 42
  2. R. Cannac, Aux sources de la révolution russe, p. 47
  3. Nikolaj Ogarëv (1813-1877), poeta, pubblicista e filosofo materialista. Fondatore, con Herzen, della libera stampa russa all'estero.
  4. R. Cannac, Aux sources de la révolution russe, pp. 67-69
  5. Alfred Talandier (1822-1890), esiliato nel 1852 dopo il colpo di stato di Luigi Napoleone Bonaparte. Fece parte, nel 1864, del Consiglio generale dell'AIT.
  6. M. Confino, Il catechismo del rivoluzionario. Bakunin e l'affare Nečaev, pp. 239-242
  7. Cannac, Aux sources de la révolution russe, pp. 108-109
  8. Cannac, Aux sources de la révolution russe, p. 118
  9. Cannac, Aux sources de la révolution russe, pp. 128-129
  10. Per tutte queste ragioni Jean Préposiet, in Storia dell'anarchismo, preferisce considerare Nečaev l'autore de Il catechismo.
  11. Per consultare il testo completo si scarichi Il catechismo del rivoluzionario. Bakunin e l'affare Nečaev, di M. Confino.

Bibliografia