Scritti vari (di Errico Malatesta e Francesco Saverio Merlino)

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Errico MALATESTA

Francesco Saverio MERLINO

ANARCHISMO E DEMOCRAZIA

SOLUZIONE ANARCHICA E SOLUZIONE DEMOCRATICA DEL PROBLEMA DELLA LIBERTÀ IN UNA SOCIETÀ SOCIALISTA

PARTE PRIMA

MERLINO, ANARCHICI E SOCIALISTI DI FRONTE ALLA LOTTA ELETTORALE

Lettera pubblicata dal Messaggero il 29 gennaio 1897. Merlino apre la polemica a proposito delle elezioni politiche che si sarebbero tenute nel marzo di quell'anno.

Signor direttore,

Da parecchie parti mi vien domandato se son di parere che si debba prender parte o no alle elezioni politiche. Nel numero di oggi del Messaggero leggo che anche in una riunione tenuta a Senigallia, si interpretò variamente quello che io dissi in proposito, in una conferenza a Napoli. Ora è manifesto che non importa punto sapere come io la pensi: importa invece moltissimo sapere quale delle due opinioni - quella favorevole o quella contraria alla partecipazione alle elezioni - sia la vera. E questo è quello che io vorrei discutere una volta per sempre per tutti. È risaputo che i socialisti in lotta con i repubblicani e coi democratici, hanno sostenuto per molti anni, e molti di essi sostengono tuttavia, che le forme politiche sono di nessun valore, che tanto vale la monarchia quanto la repubblica, e che le libertà sancite dagli Statuti sono una lustra, perché chi è povero è schiavo. La questione sociale - si è detto - è tutta nella dipendenza economica degli operai dai padroni: scalziamo questa e la libertà verrà da sè. Questa è una grande verità. Le libertà politiche sono, ma chi pon mano ad esse? Chi può esercitarle davvero sotto il regime attuale? Non può essere politicamente libero il popolo che è economicamente schiavo. Ma, se le libertà politiche e costituzionali hanno minor valore che generalmente non si creda, non segue che esse non servano affatto. Servono tantochè il governo ce le strappa, con intendimento di ritardare l'emancipazione della classe operaia. Dunque esse hanno un valore innegabile. Ma queste libertà non consistono semplicemente nel diritto di voto e nell'uso che se ne può fare. Sono anche i diritti di riunione e di associazione, l'inviolabilità personale e del domicilio; il diritto di non essere punito o perseguitato per semplice sospetto (come avviene nei casi d'ammonizione e del domicilio coatto); ecc. ecc. E queste libertà si difendono non solo in Parlamento (il Parlamento, disse una volta il Lemoine, somiglia a un certo giocattolo da bambini, che fa molto strepito senza alcun frutto), ma si difendono sopratutto fuori del Parlamento, lottando ogni qualvolta il potere esecutivo commette un arbitrio o una prepotenza contro una classe di cittadini od anche contro un solo individuo, siccome usa in altri paesi, dove anche senza tenere rappresentanti al Parlamento, il popolo sa imporre al governo il rispetto delle sue libertà. Con questo non voglio dire che la lotta per la libertà - e fino a un certo punto anche quella per il socialismo - non si possa e debba fare anche durante le elezioni e nel Parlamento. Io credo che noi combattendo a oltranza, come abbiamo fatto, il parlamentarismo, ci si sia data la zappa sui piedi: perché abbiamo contribuito a creare quest'orribile indifferenza del pubblico per il sistema parlamentare non solo, ma anche per le libertà costituzionali, sì che il governo ha potuto impunemente violarle, senza che un grido solo di protesta siasi levato dai figli di coloro che dettero la vita per conquistarle. Il parlamentarismo non è la fenice dei sistemi politici: tutt'altro! Ma per pessimo che sia, è sempre migliore dell'assolutismo, al quale noi a grandi passi ci incamminiamo. Dunque, oggi come oggi, al partito socialista (nel quale comprendo anche gli anarchici non individualisti) incombe la difesa della libertà. Questa lotta, secondo me, deve essere combattuta su tutti i terreni - compreso quello delle elezioni - ma non su quello esclusivamente. I socialisti anarchici non hanno bisogno di candidati propri: essi non aspirano al potere e non sanno che farsene. Ma essi devono protestare contro la reazione governativa, prendendo parte all'agitazione elettorale, e va da sè che fra un candidato crispino o rudiniano o zanardelliano, disposto a votare stati di assedio, leggi eccezionali, eleggibilità di candidati politici - e magari massacri di moltitudini affamate - e un socialista o repubblicano sincero, sarebbe follia preferire il primo. Essi però possono e devono dir chiaro e tondo al popolo, che non s'illudono come taluni socialisti, di poter far breccia a colpì di schede nella cittadella borghese e conquistarla. Essi però possono e devono dire ai socialisti stessi che il voto è un episodio della lotta per il Socialismo, e non il più importante; la vera lotta deve essere fatta nel paese e col paese sul terreno economico e sul politico. "L'emancipazione dei lavoratori deve essere opera dei lavoratori"; non può essere opera dei politicanti. Ecco la mia opinione sulla più grave ragione di dissidio tra socialisti ed anarchici. Sventuratamente questi e quelli si son fatti del male - e, quel che è più, - si son detti delle insolenze reciprocamente: e il ricordo fa velo ai loro occhi e impedisce loro di considerare il vero interesse della causa. Taluni caporioni legalitari sono intolleranti e piccini (il giornale massimo del partito non ha avuto una parola di protesta per il mio arresto singolarissimo a Firenze); gli anarchici sono irosi e implacabili. Fra i due litiganti ci gode il governo.

MALATESTA, GLI ANARCHICI CONTRO IL PARLAMENTO

Risposta di Malatesta a Merlino pubblicata dal Messaggero il 7 febbraio 1897. L'indi-cazione di Londra è messa dello scrivente per sviare la polizia in quanto in quell'epoca egli si trovava di già in Italia.

Londra, 2 febbraio 1897

Signor Direttore del Messaggero,

Sono informato che i socialisti parlamentari d'Italia van dicendo che io, d'accordo col Merlino ritengo utile che i socialisti-anarchici partecipino alle lotte elettorali votando per il candidato più avanzato. Poichè mi fan l'onore di occuparsi della mia opinione, non sarò stimato presuntuoso se mi affretto a far conoscere ad essi ed al pubblico quel che veramente io penso della questione. Io non contesto certo al mio amico Merlino di pensarla come crede e di dirlo senza reticenze. Sarebbe stato preferibile ch'egli prima di annunziare al pubblico un cambiamento di tattica, che poi non ha alcun valore se non è accettata dai compagni, discutesse maggiormente la cosa tra quelli del partito cui egli ha finora appartenuto e col quale spero vorrà continuare a combattere. Ma anche questo, più che colpa del Merlino, è colpa della crisi prolungata che ha afflitto il nostro partito e dello stato di riorganizzazione ancora incipiente in cui ci troviamo. Però bisogna che consti che ciò che ha detto Merlino relativamente al parlamentarismo e alle lotte elettorali è niente altro che un'opinione personale, la quale non può pregiudicare la tattica che sarà adottata dal partito socialista anarchico. Per conto mio, per quanto mi dispiaccia separarmi in una questione tanto importante da un uomo del valore di Merlino ed al quale mi legano tanti vincoli d'affetto, sento il dovere di dichiarare che, a parer mio, la tattica preconizzata da Merlino è nefasta, e menerebbe fatalmente alla rinunzia di tutto intero il programma socialista anarchico. E credo poter affermare che così la pensano tutti, o quasi tutti gli anarchici. Gli anarchici restano, come sempre, avversari decisi del parlamentarismo e della tattica parlamentare. Avversari del parlamentarismo, perché credono che il socialismo debba e possa solo realizzarsi mediante la libera federazione delle associazioni di produzione e di consumo, e che qualsiasi governo, quello parlamentare compreso, non solo è impotente a risolvere la questione sociale e armonizzare e soddisfare gl'interessi di tutti, ma costituisce per sé stesso una classe privilegiata con idee, passioni ed interessi contrari a quelli del popolo che ha modo di opprimere con le forze del popolo stesso. Avversari della lotta parlamentare, perché credono che essa, lungi dal favorire lo sviluppo della coscienza popolare, tenda a disabituare il popolo dalla cura diretta dei propri interessi ed è scuola agli uni di servilismo, agli altri d'intrighi e menzogne. Noi siam lontani dal disconoscere l'importanza delle libertà politiche. Ma le libertà politiche non si ottengono se non quando il popolo si mostra deciso a volerle; nè, ottenute, durano ed han valore se non quando i governi sentono che il popolo non ne sopporterebbe la soppressione. Abituare il popolo a delegare ad altri la conquista e la difesa dei suoi diritti, è il modo più sicuro di lasciar libero corso all'arbitrio dei governanti. Il parlamentarismo val meglio del dispotismo, è vero; ma solo quando esso rappresenta una concessione fatta dal despota per paura di peggio. Tra il parlamentarismo accettato e vantato, e il dispotismo subito per forza con l'animo intento alla riscossa, meglio mille volte il dispotismo. So bene che Merlino dà alle elezioni una importanza minima e vuole, come noi, che la lotta vera si faccia nel paese e col paese. Ma purtroppo i due metodi di lotta non vanno insieme, e chi li accetta tutti e due, finisce fatalmente col sacrificare all'interesse elettorale ogni altra considerazione. L'esperienza lo prova, e il natural amore del quieto vivere lo spiega. E Merlino mostra di ben comprendere il pericolo quando dice che i socialisti-anarchici non hanno bisogno di presentar candidati propri, poiché essi non aspirano al potere e non sanno che farsene. Ma è questa una posizione sostenibile? Se nel Parlamento si può far del bene, perché gli altri e non noi, che crediamo aver più ragione degli altri? Se noi non aspiriamo al potere, perché aiutare quelli che vi aspirano? Se noi non sappiamo che fare del potere, che cosa se ne farebbero gli altri, se non lo esercitano a danno del popolo? Stia sicuro di questo il Merlino: se oggi noi dicessimo alla gente di andare a votare, domani diremmo di votare per noi. E saremmo logici. Io, in tutti i casi, se dovessi consigliare di votare per qualcuno, consiglierei subito di votare per me, poiché credo (e in questo probabilmente ho torto, ma è torto umano) di valere quanto un altro, e mi sento sicuro della mia onestà e della mia fermezza. Non ho, per certo, colle precedenti considerazioni, detto tutto quello che vi sarebbe da dire, ma temo di abusare troppo del vostro spazio. Mi spiegherò più ampiamente in apposito scritto; nè mancherà, lo spero, un atto collettivo del partito che riaffermi i principi antiparlamentari e la tattica astensionista dei socialisti-anarchici. Speranzoso che considererete questa mia utile per informare il pubblico sul contegno che i vari partiti osserveranno nelle venienti elezioni e che perciò vorrete pubblicarla, vi ringrazio anticipatamente. 112, High Street, Islington N. London.

MERLINO, SI SVILUPPA LA POLEMICA

Risposta di Merlino pubblicata da Il Messaggero il 10 febbraio 1897. Il titolo dell'articolo è: "Anarchici e socialisti nelle elezioni politiche."

Signor direttore, L'amico Malatesta, a nome (pare) di tutti o quasi tutti gli anarchici ha creduto di poter riaffermare in risposta alla mia lettera del 29 gennaio - e sembra che si prepari a riaffermare anche con un altro suo scritto e con un atto collettivo del partito - i principii antiparlamentari e la tattica esclusionista (o astensionista? n.d.M.) dei socialisti-anarchici. Io li invidio, codesti anarchici. Vorrei anch'io poter nutrire l'antica fede ai trionfi avvezza (veramente non so se ai trionfi, ma certo alle battaglie). Vorrei anch'io aver conservato le idee semplici e tutte d'un pezzo di dieci anni fa. Allora anch'io m'illuderei e chiamerei lo stato di disfacimento del partito anarchico uno stato di riorganizzazione incipiente. Anch'io direi di saper di sicuro in qual modo, - e non altrimenti - si attuerà il socialismo. Anche io ripeterei che il governo, ogni governo, non è che l'organizzazione della classe privilegiata che opprime il popolo con le forze del popolo stesso e che il popolo, nominando dei deputati, delega ad essi la conquista e la difesa dei suoi diritti. E quando avessi detto ciò, mi sentirei soddisfatto e aspetterei il gran giorno della grande rivoluzione, che deve cambiare la faccia della terra, ma che ha il torto, secondo me gravissimo, di farsi un po' troppo aspettare. Disgraziatamente, lo confesso, son fatto alquanto maturo: e benchè mi tornasse comodo, non voglio buttarmi l'esperienza di dieci o quindici anni dietro le spalle. Son convinto che il partito anarchico abbia sbagliato strada: son convinto che gli anarchici tutti o quasi tutti, hanno lo stesso mio convincimento; e soltanto non osano confessarlo, e non hanno la forza di animo necessaria per staccarsi dal loro passato. La tattica astensionista ha portato questi due risultati: 1) ci ha separati dalla parte attiva e militante del popolo; 2) ci ha indebolito di fronte al governo. Si ha un bel dire che per astensione non si vuol intendere inazione, ma bensì partecipazione all'agitazione elettorale con propaganda anti-parlamentare. Da quella logica, che l'amico mio invoca, gli anarchici astensionisti dovevano finire ed hanno finito per starsene addirittura a casa; quando non hanno votato sottomano per qualche candidato del loro cuore (come individui s'intende, non come partito), senza dire di quelli che addirittura hanno passato il Rubicone, e sono andati a schierarsi - per mero desiderio di fare qualcosa - coi socialisti legalitari. Il governo poi ha profittato del nostro isolamento per darci addosso in tutti i modi, legali e illegali. (Il governo, si vede, non ha gli scrupoli che abbiamo noialtri). E noi siamo ridotti al punto di non poter fare la menoma propaganda. La polizia può, a suo libito, imprigionarci, farci condannare, mandarci al domicilio coatto. Che resistenza opponiamo noi? Nessuna. La nostra è la guerra delle braccia incrociate. Fossimo almeno partigiani della non resistenza al male; avremmo di che consolarci. Niente affatto: noi aspettiamo che maturi la rivoluzione. Frattanto noi abbiamo veduto in questi giorni che chi abbia potuto portare una parola di incoraggiamento agli scioperanti di Civitavecchia è stato un deputato socialista. E continuiamo a dire che non serve a nulla la lotta parlamentare! Malatesta dice: - Se dobbiamo votare pei socialisti o pei repubblicani, tanto varrebbe andare noi medesimi al Parlamento. - Per noi non si tratta, come pei socialisti, di riuscire noi, e andare ad attuare il nostro programma in pieno Parlamento, al cospetto del colto e dell'inclita; ma si tratta di aiutare a riuscire quanto più oppositori sinceri ed energici del governo è possibile - trecento Imbriani, per così dire - ma degli Imbriani che non si contentino di bombardare d'interpellanze al Parlamento i ministri, ma muovano una guerra seria e continua al governo nel paese, giovandosi anche, finchè non ne siano privati, delle prerogative parlamentari. Malatesta afferma che la lotta extra-parlamentare per la libertà non si possa fare, quando si fa la lotta elettorale. Io penso precisamente il contrario. Quello poi che non posso concedergli a nessun patto è che la tattica parlamentare lungi dal favorire lo sviluppo della coscienza popolare, tende a disabituare il popolo dalla cura diretta dei propri interessi. Questo è dottrinarismo schietto. L'agitazione elettorale socialista strappa le moltitudini dalla loro indifferenza ereditaria per le pubbliche faccende: in Italia essa ha conquistato alla nostra causa regioni, che si erano addimostrate e sono tuttavia refrattarie alla propaganda anarchica. Il parlamentarismo ha i suoi inconvenienti: ma che cosa non ne ha? Quale tattica, o agitazione, o azione, potrebbe consigliare il Malatesta, la quale non presenti inconvenienti uguali, se non maggiori? Alcuni nostri amici si sono dati ad organizzare cooperative: lavoro utilissimo anche questo: ma non è il nostro lavoro. Nè i soci delle cooperative possono essere tutti socialisti e anarchici: nè il governo tollererebbe cooperative cosiffatte. Senza dire che non poche cooperative diventano, via facendo, intraprese capitalistiche: talune nascono addirittura tali. Che fare dunque? organizzare società operaie di resistenza? Ma appena queste cominciano ad essere numerose e potenti (come le Unioni inglesi) ecco sorgere uno stato maggiore di presidenti, vice presidenti, segretari e cassieri - insomma un parlamentarismo da degradare... quell'altro. Il parlamentarismo non è un principio, è un mezzo: sbagliano quelli che ne fanno una panacea, ma sbagliano anche quelli che lo guardano con sacro orrore, come se fosse la peste bubbonica. E non è poi vero che il parlamentarismo sia destinato a sparire interamente. Qualcosa ne rimarrà anche nella società che noi vagheggiamo. Io ricordo uno scritto che Malatesta inviò alla conferenza di Chicago del 1893: dove egli sosteneva che per talune cose il parere della maggioranza dovrà necessariamente prevalere su quello della minoranza. Ma a parte ciò, anche data l'unanimità, non tutti quelli che hanno deliberato si porranno ad eseguire in massa le loro deliberazioni. A meno di non ammettere quest'aforisma, che io ho ragione di credere che il Malatesta con me ripudi, bisognerà distribuire gli incarichi affidandoli ai più capaci. Ed ecco questi incaricati formeranno un governo o un'amministrazione... per carità non sofistichiamo sulle parole. Un minimo di governo o di amministrazione ci sarà anche nella società meglio organizzata: solo dobbiamo studiare i modi di renderlo innocuo, di impedire che i pochi si arroghino un potere sulle moltitudini, di ottenere che il popolo eserciti un sindacato continuo ed effettivo sui suoi amministratori o delegati. Io riconosco gl'inconvenienti del sistema parlamentare e desidero eliminarli, ma non già tornare al dispotismo. Riconosco pessimo l'ordinamento attuale della giustizia, ma non vedrei volentieri un ritorno alla legge di Lynch, nè al sistema della vendetta privata - come riconosco i torti della giuria ma non vorrei rimettere la mia libertà nelle mani del giudice togato. Riconosco l'ingiustizia delle leggi: ma non vorrei tornare al tempo in cui la volontà del principe era legge. Voglio insomma progredire da buon positivista, che crede la società si perfeziona, non si rifonde e rimodella, nè si rifà con una ricetta di principi astratti. Son convinto che i socialisti, tutti - anarchici marxisti e repubblicani - hanno a un dipresso le stesse aspirazioni; e vorrei vederli tutti lottare insieme: e francamente vorrei vedere qualche risultato. Mi rincrescerebbe morire nell'aspettativa in cui vivo da parecchi anni.

MERLINO, I MOTIVI DELLA PARTECIPAZIONE

Ulteriore intervento di Merlino, questa volta su l'Avanti! del 9 marzo 1897. Il titolo dell'articolo è: "Gli anarchici e le elezioni".

Una mia dichiarazione nel Messaggero del 29 gennaio in favore della lotta politica parlamentare come mezzo e stimolo ad una vasta e feconda agitazione popolare, ha dato luogo ad una polemica, che dalle colonne di quel giornale si è spostata sulla stampa socialista e anarchica. Io non ho risposto che a uno solo dei miei contraddittori, il Malatesta, amico mio da molti anni, col quale ho finito sempre, benchè differissimo temporaneamente - e spero di finire anche stavolta - col trovarmi d'accordo. Ad altri rispondo ora collettivamente, perché mi preme di dire tutto il mio pensiero e di chiudere, per conto mio, una polemica alquanto ingrata. Si afferma che la lotta politica parlamentare sia contraria ai principi socialisti anarchici. L'asserzione è una di quelle che, avventate da qualcuno, passano di bocca in bocca e si ripetono fino a diventare assiomatiche in un dato circolo di persone, senza che nessuno le abbia ponderate. Intendiamoci. Quello che è contrario ai principi nostri è il partecipare al governo come ministri, come impiegati, come poliziotti, come giudici, magari come legislatori... Sì, anche come legislatori, perché io sostengo che il deputato o socialista o operaio o rivoluzionario dev'essere non un legislatore, bensì un agitatore. Ma non è contrario ai nostri principi che il popolo eserciti un'ingerenza, per quanto indiretta e di poco valore, nell'amministrazione della cosa pubblica. Noi possiamo e dobbiamo dolerci che quest'ingerenza oggi sia minima; che la sovranità popolare duri il quarto d'ora delle elezioni; che poi gli elettori, tornati a casa - il contadino all'aratro, l'operaio all'officina - gli eletti rimangano arbitri della cosa pubblica e dispongano a loro talento dei più gravi interessi del Paese. Questo è il male, non la partecipazione di una parte del popolo all'elezione dei deputati e di alcuni pubblici amministratori. Ora a questo male non si rimedia astenendosi dalle urne; ma bensì inducendo il popolo anzitutto ad esercitare con coscienza e vigore quella poca autorità che ha, poi a reclamarne una maggiore; abituandolo a lottare e prolungando la lotta oltre il breve periodo elettorale. La lotta politica deve svolgersi nel Parlamento e fuori del Parlamento. Qui sta la differenza fra il mio modo d'intenderla e quello dei politicanti e purtroppo anche di taluni socialisti e di molti democratici. Per costoro la lotta politica sta tutta nel mandare alla Camera il maggior numero possibile di deputati del proprio partito. Per me invece l'elezione dei deputati ostili al governo non è che un modo di agitazione popolare, e il compito dei deputati non è già di proporre leggi e di chiacchierare sugli ordini del giorno presentati alla Camera; ma di combattere la maggioranza parlamentare e il governo, di denunziare al Paese gli arbitrii e le prepotenze e di prendere parte a tutte le agitazioni popolari, lasciandosi magari imprigionare coi loro elettori. Purtroppo i deputati democratici d'oggi non fanno nulla di tutto questo; tengono a bada il popolo con discorsi e interpellanze, ma si guardano bene dal promuovere o secondare serie agitazioni. Il governo scioglie associazioni, proibisce riunioni, calpesta le libertà popolari. L'on. Cavallotti a chi domandava che intendeva di fare, rispondeva: Ne parlerò alla Camera. Le aule universitarie sono invase da poliziotti, i quali malmenano professori e studenti. Pazienza: l'on. Cavallotti ne parlerà alla Camera. Le flotte europee cannoneggiano gl'insorti di Candia, e la diplomazia soffoca il grido di libertà dei popoli gementi sotto la dominazione turca. Consoliamoci: Cavallotti ne parlerà alla Camera. Francamente, questa non è condotta di democratico; ma di uno che diffida del popolo e crede che le grandi e piccole questioni politiche si debbano trattare nelle alcove ministeriali o in quell'anticamera del ministero che è il Parlamento nazionale. Noi invece dobbiamo volere che il popolo faccia valere la sua volontà e i suoi interessi contro la volontà e gl'interessi della consorteria dominante, che esso lotti sul terreno politico come sull'economico, per la propria emancipazione; e guardi al governo non come ad un padrone cui si debbono ubbidienza ed ossequio, ma come ad un servitore cui si comanda e che si può congedare quando non faccia il suo dovere o non si abbia più bisogno dell'opera sua. Anni addietro gli operai delle nostre grandi città si peritavano di ingerirsi di politica. I conservatori alla Pepoli insinuavano che è dovere degli operai di occuparsi unicamente dei propri interessi economici, rimanendo estranei a ogni agitazione politica; e tutt'al più concedevano loro di andare ad acclamare i sovrani e i ministri alle stazioni e a votare, nelle elezioni politiche e amministrative, pei loro benemeriti padroni. Fu un progresso che gli operai cominciassero a votare per individui della loro classe, e molti di essi concepissero l'ambizione d'andare al Parlamento e ai consigli comunali e provinciali; ed un progresso maggiore fu fatto quando, costituitosi il partito socialista, essi andarono a votare per una grande idea. Ora rimangono tuttavia moltitudini di operai e di contadini ligi ai padroni, che li sfruttano economicamente e politicamente, come lavoratori e come elettori. È forse contrario ai nostri principii tentare di strappare queste moltitudini alla loro servitù e gettarle nella lotta politica, magari se si debba cominciare dalle elezioni? Ma si dirà, se non è contrario ai nostri principii che il popolo, invece di lasciare la scelta dei deputati e dei consiglieri alla classe dominante, concorra anch'esso alla loro elezione, è certamente contrario ai nostri principi accettare il mandato, andare alla Camera o al Municipio, votare le leggi, convalidare gli atti del governo e partecipare alle spoglie del potere. D'accordo: ma io ripeto, si può andare al Parlamento o al Consiglio comunale non a governare, bensì a combattere il governo; non a far leggi, ma a dimostrare l'ingiustizia delle leggi che ci sono; non a mettere la mano nel sacco. ma a gridare ai ladri. Si può andare al Parlamento come un operaio, delegato dai suoi compagni, va in un'adunanza di padroni a discutere le condizioni di lavoro; o come un imputato o il suo difensore va in tribunale a dire le sue ragioni o quelle del suo cliente, anche quando non riconosce l'autorità dei giudici. Fino a che vige l'attuale sistema, l'imputato si deve difendere, l'operaio deve sforzarsi di ottenere condizioni meno dure dal padrone, e il popolo deve schermirsi dalla tirannide, mettendo bastoni fra le ruote del governo. Per poco che valgano le elezioni, valgono a strappare qualche concessione al governo o ad imporgli un certo riguardo per l'opinione pubblica. E per poco che valga la presenza di socialisti o di rivoluzionari al Parlamento, vale qualche volta ad impedire una grave ingiustizia. E per poco che valgano le immunità parlamentari, non si può negare che molte riunioni si tengono grazie alla presenza di deputati. Oh! il governo restringerebbe volentieri l'elettorato, il numero dei deputati e le immunità che essi godono: e sarebbe felicissimo se potesse far senza addirittura di deputati e di elezioni. Gli stessi anarchici astensionisti riconoscono che qualche frutto si può ricavare dalle elezioni; e qui a Roma hanno deliberato di proporre il Galleani per liberarlo dal domicilio coatto. Ottima idea, anche perché il Galleani è giovane intelligente, sincero ed energico, tre qualità che non si trovano riunite in molti uomini. Ma, dico io, supponete che riesca, rinunzierà egli poi per tornare forse al domicilio coatto - donde voi dovreste trarlo fuori con una nuova elezione - e così di seguito? E se non è contrario ai principi votare per liberare un coatto politico, sarà contrario ai principi votare per impedire al governo di fare di noi altrettanti coatti politici? Il governo annunzia per la prossima legislatura il rimaneggiamento della legge sul domicilio coatto, una restrizione dell'elettorato e il prosieguo degli scioglimenti di associazioni e delle proibizioni di riunioni; i suoi candidati sono disposti ad approvare tutto questo, e magari nuovi stati d'assedio e nuovi massacri di moltitudini affamate. Lasceremo fare? Staremo inerti spettatori di una lotta di cui le conseguenze ricadono su di noi? Per poco che l'opera nostra valga ad impedire la riescita di candidati ministeriali, vi rinunceremo noi, e rinunciandovi non faremo noi cosa grata al governo? Ma taluni davvero si compiacciono della reazione. Perché a dispetto delle persecuzioni le idee progrediscono, essi si immaginano che progrediscano a causa delle persecuzioni. C'è chi ripete ciò che scrive Malatesta: il dispotismo essere da preferire all'ibrido sistema attuale. Supponiamo che il governo li prenda in parola e faccia un colpo di stato: sopprima il Parlamento, tolga la libertà di stampa e riduca l'Italia allo stato politico della Russia. Mi dicano sinceramente i miei amici: la causa del socialismo ci guadagnerebbe? o la lotta per il costituzionalismo assorbirebbe e impedirebbe per molti anni la lotta per il socialismo, come appunto avviene in Russia? Mi si dirà: Questi a cui avete accennato, sono i vantaggi della lotta elettorale. Ad essi si contrappongono danni di gran lunga maggiori: la corruzione, le ambizioni, i compromessi coi partiti affini. Potrei rispondere che danni di questo genere si verificano in ogni opera nostra: sono il tributo che si deve pagare all'imperfezione dell'umana natura. Se noi impiantiamo un giornale, ecco sorgere ambizioni, invidie, gelosie e magari (se il giornale prospera) un interesse economico in questo o in quello dei suoi redattori od amministratori. Rinunceremo noi, per questo inconveniente, a propagare le nostre idee per mezzo della stampa? E non dirò che l'ambizione può essere utile, perché non tutti gli uomini che lottano per un'idea, son mossi ad agire dalla pura convinzione della giustizia della loro causa. Molti eroi delle passate rivoluzioni furono spinti al sacrificio dal desiderio di far parlare di sè, da gelosia, da angustie finanziarie in cui versavano: e possiamo ammettere che anche oggi gli uomini praticano il bene per una varietà di motivi buoni, mediocri e cattivi. In talune località il partito socialista è sorto perché taluni vi hanno scorto un mezzo di andare al Consiglio comunale o al Parlamento. Meglio che sia sorto così che non sorgesse affatto. Man mano si verrà depurando; perché la forza del socialismo sta in ciò, che esso risponde ai grandi interessi della grande maggioranza del popolo; e quando questo si fa innanzi, le ambizioni e le vanità individuali devono cedere e scomparire. Ma è poi vero che le elezioni siano niente altro che una scuola di corruzione? Quelli che vanno a votare per il candidato socialista o operaio o rivoluzionano, sfidando ire governative e ire padronali e rimettendoci qualche soldo, non mi pare che si corrompano; al contrario si appassionano per la Causa, e lo stesso ardore che mettono nella lotta elettorale, posson metterlo in altro genere di lotta. Non credo che i ferventi elezionisti debbano essere necessariamente tiepidi rivoluzionari. Ma la lotta elettorale ci obbliga a compromessi. Anche qui potrei rispondere che compromessi ne facciamo tutti i giorni, lavorando per un padrone od esercitando una professione, un commercio, notificando alla polizia le riunioni pubbliche da noi indette, mandando al procuratore del re la prima copia dei nostri giornali, ricorrendo ad avvocati che ci difendano avanti ai tribunali, intendendoci con altri partiti per date agitazioni. E se domani, fatta la rivoluzione, dovessimo attuare il socialismo, dico e sostengo che saremmo costretti a fare dei compromessi, se pure non volessimo imporre le nostre idee agli altri o sottometterci alle altrui. Ma i compromessi elettorali possono cadere sui voti, non debbono cadere sui principi: si capisce che compromessi che offendano i principi, non si debbono accettare. D'altra parte, se la nostra partecipazione alle elezioni non producesse altro vantaggio che quello di avvicinarci ai partiti affini, facendoci riconoscere ciò che vi può essere di giusto nei loro programmi - e di avvicinare i partiti affini a noi, facendoli convenire in una parte almeno delle nostre rivendicazioni - di accostare tutti al popolo e indurci a tener conto dei veri bisogni e sentimenti e delle vere aspirazioni di esso, solo per questo sarebbe da approvare. In Germania, in Francia, nel Belgio l'interesse elettorale ha spinto i socialisti a consacrare una parte delle loro forze alla propaganda nelle campagne, per guadagnare i contadini alla causa del socialismo. Basterebbe questo fatto a giustificare la tattica elettorale; perché chi è che non vegga che senza il concorso dei contadini una rivoluzione socialista non è possibile, e pure scoppiando, terminerebbe in un disastro. Io non sono profeta, ma ho predetto ai miei amici astensionisti che (dove non ricorrano al ripiego del candidato protesta) essi non faranno neppure la propaganda astensionista. Le elezioni si faranno, tutti i partiti si affermeranno: di voi e dei vostri principi e degli interessi che vi stanno a cuore, non si parlerà. Sarete dimenticati. E lo ripeto, e i fatti mi daranno ragione. L'astensione ha la sua logica. Dal momento che le elezioni non servono, tanto vale starsene a casa. D'altronde, la gente è poco disposta ad ascoltare predicozzi; e durante l'agitazione elettorale non si appassiona che per quei principi che prendono corpo e persona, che diventano, per cosi dire, candidati. Se volete dunque che si discuta di anarchia - ho detto e ripeto ai miei amici - dovete schierarvi pro o contro qualcuno. A questa condizione la vostra parola sarà ascoltata; la vostra opinione rispettata, condivisa o combattuta, ad ogni modo discussa; la vostra amicizia ricercata e la vostra inimicizia temuta. Ma gli astensionisti non intendono queste ragioni. Essi sono dottrinari e argomentano così: "Il parlamentarismo è contrario ai principi anarchici. Dunque noi dobbiamo combatterlo con la parola, aspettando che si presenti l'occasione di distruggerlo coi fatti. Se poi le nostre forze bastano o no a quest'opera; se l'occasione tarda e frattanto il popolo langue e si scoraggia; se il popolo seguirà o no la nostra iniziativa; se le nostre idee si attueranno oggi o di qui a mille anni; o se per avventura siano troppo semplici e astratte per essere applicate, - tutto ciò non ci riguarda. Affermiamo le idee: esse troveranno la strada di attuarsi. Il popolo ammirerà la nostra coerenza e verrà a noi. E se anche non venisse, se pure le nostre idee dovessero non attuarsi nè ora nè mai, noi avremo fatto il nostro dovere. I mezzi termini ci indeboliscono, corrompono, dividono: la verità sola, detta tutta intera e senza ambagi, ci può salvare". Prima di tutto, questo modo di ragionare implica il convincimento che essi soli, gli anarchici astensionisti, siano nel vero, che posseggano tutta intera la verità, e che non c'è che un modo di risolvere la questione sociale, ed è quello da essi proposto. Poi, il ragionamento è radicalmente sbagliato. Le idee non valgono per se stesse, ma per l'azione che esercitano sulla sorte degli uomini. Una verità che non si può attuare, non può essere perfettamente vera; un partito che non riesce a guadagnare alla sua causa la moltitudine, ha sbagliato strada. La lotta deve avere un fine immediato; dove tanti milioni di nostri simili soffrono giornalmente, è insensatezza consumare le proprie energie in guerricciole di partito e in quisquilie accademiche. Il sistema parlamentare può non convenire alla società futura; frattanto la lotta elettorale ci offre mezzi e opportunità di propaganda e di agitazione. Essa ha anche inconvenienti come tutte le cose di questo mondo. Molto dipende dal modo come si fa. Che direbbero gli anarchici a chi argomentasse cosi: la violenza è contraria ai nostri principi; dunque non dobbiamo usare la forza neanche per difendere la nostra vita? Risponderebbero certamente che l'uso della forza ci è imposto dalle condizioni della società in cui viviamo; e così rispondo io ai loro argomenti contro la lotta politica parlamentare. È vero o non è vero che l'uso dei mezzi legali ci è imposto nei tempi ordinari, come quello della violenza nelle occasioni straordinarie? Io dico di si. Non ci illudiamo. Sopra cento persone se ne possono trovare magari dieci capaci di affrontare la morte sul campo di battaglia o in una insurrezione; ma se ne troverà sì e no una disposta ad affrontare le piccole persecuzioni di tutti i giorni, ad andare in carcere, a farsi mandar via dal padrone, a veder la moglie e i figlioli soffrire la fame. E i pochissimi che resistono a queste persecuzioni, il governo li conta, li sorveglia, li aggredisce e li sbaraglia in un momento. Un partito veramente rivoluzionario deve stendere le sue propaggini fra il popolo, e questo non può farlo se non con un'azione che non sia esposta a troppi pericoli in tempi ordinari. La lotta elettorale risponde appunto a questa condizione; e non si può negare che, per averla adottata, il partito socialista è riuscito a riunire un gran numero di operai nelle sue file. Viceversa, gli anarchici hanno veduto diradare le loro, appunto perché si son voluti ostinare nella loro tattica astensionista; ed io non dubito che, se continueranno ad ostinarsi, cesseranno addirittura di esistere come partito; e di essi non si parlerà, come già non se ne parla, se non quando al governo piaccia di perseguitarli per sfogare su di essi la sua libidine di persecuzione. Riepilogando, senza credere che la questione sociale possa essere risolta per mezzo di leggi e di decreti, io sono per la lotta elettorale e parlamentare: perché non è contrario ai principi socialisti e anarchici che il popolo faccia valere la sua volontà e i suoi interessi in tutti i modi possibili; perché è necessario sottrarre le classi lavoratrici alla loro dipendenza ereditaria da proprietari e da padroni, impedire che siano tratte alle elezioni come gregge, ed esercitarle alla vita pubblica e alla vita politica; perché le elezioni offrono opportunità di propaganda, di agitazione e di protesta contro gli arbitrii e le prepotenze del perché nel momento attuale sono la quasi unica affermazione che ci è consentita, e il governo vuole contenderci anche questa, e sarebbe insensatezza cedergli; perché, in generale, noi abbiamo il dovere di non abbandonare le libertà che i nostri padri conquistarono combattendo, ma di difenderle energicamente e accrescerle; perché, senza credere molto efficace l'opera dei deputati socialisti, operai o rivoluzionari alla Camera, è invece utilissima l'azione che essi possono e devono spiegare a pro della causa fuori del Parlamento; perché l'esperienza ha dimostrato che erano esagerati i nostri timori per l'influenza corruttrice dello ambiente parlamentare sugli eletti del nostro partito; anzi il contrasto fra gli uomini di carattere e disinteressati che il socialismo pone innanzi come suoi rappresentanti e i rappresentanti corrotti e versipelle della borghesia, non può che conquistare alla nostra causa la simpatia della parte sana della popolazione; perché, infine, noi dobbiamo partecipare a tutte le lotte e agitazioni popolari, e spiegare la nostra azione in mezzo alla massa, non nei piccoli conciliaboli del partito. Possano queste ragioni convincere i miei amici e indurli a uscire dal riserbo che si sono imposti, e a portare il contributo delle loro forze nell'attuale campagna elettorale contro il governo e per la difesa della Libertà e della Giustizia. Quanto a me, ripeto che il mio scopo, nel combattere la sterile tattica astensionista, non è stato di soddisfare una mia ambizione personale e accrescere di uno il numero dei deputati socialisti al Parlamento.

MALATESTA, LE CANDIDATURE PROTESTA

Breve nota di Malatesta pubblicata sull'Agitazione del 14 marzo 1897. Essa riguarda solo il problema delle candidatura protesta.

I nostri compagni di Roma portano candidato lo amico nostro Luigi Galleani, domiciliato coatto, ed altre candidature protesta pare sieno state messe in altri posti. È difficile e penoso per noi dire franca e schietta la nostra opinione. Quando degli uomini che noi stimiamo ed amiamo e che molto han fatto e più faranno ancora per la causa nostra, stanno in galera o al domicilio coatto e si propone un mezzo per farli mettere fuori, come si fa a dire, per quanto cattivo sia il mezzo: no, lasciateli dentro! Nullameno faremo forza a noi stessi ed apriremo intero l'animo nostro. Se altri ci troverà troppo intransigenti, ce lo perdoni in considerazione del fatto che in carcere ed al coatto ci siamo stati anche noi, che siamo sempre esposti a tornarci e che possiamo permetterci di essere severi con gli altri perché abbiamo la coscienza che sapremmo essere severi con noi stessi. In quanto agli amici candidati essi ce lo perdoneranno di certo perché sapranno apprezzare i nostri motivi: anzi di alcuni di loro sappiamo che sono completamente d'accordo con noi sull'argomento. La candidatura protesta, specialmente quando si è sicuri che l'eletto non vorrà a nessun costo fare il deputato, non è per se stessa contraria ai nostri principi e nemmeno alla nostra tattica; ma è nullameno una porta aperta all'equivoco ed alle transazioni. È il primo passo su di un pendio sdrucciolevole sul quale difficile è l'arrestarsi. Già se si vuol votare per un candidato di protesta, bisogna essere elettore; quindi bisogna iscriversi, e chi non si iscrive è un negligente che non prepara i mezzi per raggiungere i suoi fini. Un passo ancora, un piccolo passo, e diremo anche noi, imitando i socialisti: Non è buon anarchico chi non si iscrive elettore. E quando si è iscritti e non si ha sotto mano un candidato protesta, forte è la tentazione di andare a votare lo stesso... per favorire un amico o per far dispetto ad un avversario. Siamo uomini tutti e costa tanto poco l'andare a mettere una scheda dentro un'urna. L'esperienza insegni. Poi viene la questione della condotta dell'eletto. Sentite Merlino? egli già mette il cuneo nel fesso del ragionamento e vi dice: Quando avrete cavato Galleani dal domicilio coatto nominandolo deputato, dovrà egli dimettersi perché sia mandato di nuovo al coatto e voi vi divertiate a cavarvelo ancora? Noi siamo sicuri che Galleani, se fosse eletto, a Montecitorio non ci andrebbe o ci andrebbe solo un momento per sputar in viso ai deputati il suo disprezzo, ma la ragione resta lo stesso, questa volta, dalla parte di Merlino. E poi, avrebbero tutti la forza d'animo che noi conosciamo nel Galleani? Le candidature protesta ci han ridato qualche compagno e noi ce ne rallegriamo di cuore. Ma non possiamo nasconderci che esse han fatto al nostro partito un torto grandissimo. La candidatura Cipriani, per esempio, riuscì a liberare il Cipriani; ma fu pur essa che insinuò il parlamentarismo in Romagna e ruppe la compagine anarchica di quella regione. Con questo noi non intendiamo biasimare i compagni di Roma. Al contrario, comprendiamo ed apprezziamo i loro motivi generosi. Solo ci lamentiamo che il partito nostro sia in così tristi condizioni da non poter far altro a pro dei nostri proscritti che ricorrere al mezzo debole e pericoloso delle candidature di protesta. Lavoriamo, propaghiamo, organizziamo e potremo in seguito ottenere a favore dei nostri delle manifestazioni dell'opinione pubblica ben più significative e ben più efficaci delle elezioni.

MALATESTA, I MOTIVI DELL'ASTENSIONE

Esauriente risposta a Merlino. Malatesta la pubblica sull'Agitazione del 14 marzo 1897 col titolo "Anarchia e Parlamentarismo: risposta a Saverio Merlino".

I parlamentaristi sono in festa: a sentir loro astensionisti non ve ne sono più, perché... Merlino si è convertito alle lotte elettorali. Essi credono che gli anarchici seguano ciecamente, come bene e spesso succede tra loro, questo o quell'uomo; noi invece riteniamo che Merlino resterà solo e dovrà cercare i suoi collaboratori fuori del campo anarchico, perché i principii anarchici mal si conciliano con la fatica da lui sostenuta. Consta intanto che finora nessun anarchico che si sappia ha fatto adesione alle idee del Merlino. Merlino nega (vedi l'Avanti! del 9 marzo) che la lotta politica parlamentare sia contraria ai principi socialisti-anarchici. Intendiamoci bene. Quello che è contrario ai nostri principi è il parlamentarismo, in tutte le sue forme e tutte le sue gradazioni. E noi riteniamo che la lotta elettorale e parlamentare educa al parlamentarismo e finisce col trasformare in parlamentaristi coloro che la praticano. Merlino, che pare si dica ancora anarchico e pare vada facendo continue riserve sull'abolizione piena ed intera del parlamentarismo ed accampa la fede nuovissima nella possibilità di un governo che sia servitore del popolo e si possa congedare quando non faccia il suo dovere o non si abbia più bisogno dell'opera sua, dovrebbe innanzi tutto spiegarci che cosa sarebbe questa sua anarchia parlamentare. Finora il socialismo anarchico alla fin fine, non è stato che il socialismo antiparlamentare; perché allora continuare a chiamarlo anarchico? L'astensione degli anarchici non è da confrontare con quella, per esempio, dei repubblicani. Per questi l'astensione è una semplice questione di tattica: si astengono quando credono imminente la rivoluzione e non vogliono distrarre forze della preparazione rivoluzionaria; votano quando non hanno di meglio da fare, ed il loro meglio è molto ristretto poiché rifuggono per ragioni di classe dalle agitazioni sovvertitrici degli ordini sociali. In realtà essi stanno sempre sul buon cammino: essi vogliono un governo parlamentare e gli elettori che conquistano adesso sono sempre buoni per mandarli Per noi invece, l'astensione si collega strettamente con le finalità del nostro partito. Quando verrà la rivoluzione (fra mille anni, s'intende, ci badi il procuratore del re) noi vogliamo rifiutarci a riconoscere i nuovi governi che tenteranno d'impiantarsi, noi non vogliamo dare a nessuno un mandato legislativo e quindi abbiamo bisogno che il popolo abbia ripugnanza delle elezioni, si rifiuti a delegare ad altri l'organizzazione del nuovo stato di cose, e quindi si trovi nella necessità di fare da sè. Noi dobbiamo far sì che gli operai si abituino, fin da ora, per quanto è possibile, nelle associazioni di ogni genere, a regolare da loro i propri affari, e non già incoraggiarli nella tendenza a rimettersene in altri. Merlino per ora dice ancora che le elezioni debbono servire come mezzo di agitazione, che gli eletti socialisti non debbono essere legislatori, e che la lotta importante si deve fare nel popolo, fuori del parlamento. Ma senta un po' i suoi amici dell'Avanti! Quelli sono logici. Essi vogliono andare al potere - per fare il bene del popolo, noi non ne dubitiamo - e quindi hanno ogni interesse a educare il popolo a nominare dei deputati e ad abituarsi essi a saper governare; Ma Merlino dove vuole arrivare? Resterà egli eternamente tra il sì ed il no, tra il mi decido e non mi decido? Egli col suo temperamento di uomo attivo si deciderà certamente, e noi crediamo, e ce ne addoloriamo davvero, che si deciderà col buttare a mare ogni reminiscenza anarchica e diventare un semplice parlamentarista. Già non mancano i sintomi che preannunziano la sua decisione definitiva. Nella sua prima lettera al Messaggero la lotta parlamentare era un semplice episodio di scarsa importanza. Nella sua seconda le associazioni di resistenza, le cooperative ed il resto riescono a male e non si può far altro che andare al parlamento. Nella sua prima lettera gli anarchici dovevano mandare gli altri al parlamento, ma non andarci loro; nell'articolo sull'Avanti! già si dice che i deputati possono fare tante belle cose che sarebbe veramente un tradimento il rifiutarci a fare anche noi la nostra parte. E poi si parla di farsi arrestare col popolo. Come perdere la bella occasione di sacrificarsi per il popolo? Merlino, ne siamo convinti perché lo conosciamo, è sincero quando dice di non volere andare al parlamento. Ma la logica della posizione sarà più forte di lui, ed egli al parlamento ci andrà... se vorranno mandarcelo. Tutta la forza dell'argomentazione di Merlino consiste in un equivoco. Egli pone in contrapposto da una parte la lotta elettorale e dall'altra l'inerzia, l'indifferenza e l'acquiescenza supina alle prepotenze del governo e dei padroni; ed è chiaro che il vantaggio resta alla lotta elettorale. A questa stregua sarebbe facile il dimostrare che è una buona cosa andare a messa ed aspettare ogni bene dalla divina provvidenza, poiché l'uomo che crede nell'efficacia della preghiera è sempre superiore all'idiota che nulla desidera, nulla spera e nulla teme. Ne segue da ciò che noi dovremmo metterci a predicare alla gente di andare in chiesa e sperare in Dio? La questione è tutt'altra. Si tratta di cercare qual'è il mezzo più efficace di resistenza popolare, qual'è la via che, mentre soddisfa ai bisogni del momento, conduce più direttamente ai destini futuri dell'umanità, qual'è il modo più utile d'impiegare le forze socialiste. Non è vero che senza il parlamento mancano i mezzi per far pressione sul Governo e metter freno ai suoi eccessi. Al contrario. Quando in Italia non v'era il suffragio popolare, v'era una libertà che oggi ci sembrerebbe grande; e le violenze governative, molto minori di quelle di Crispi e Di Rudini, provocavano un'indignazione e una reazione popolare di cui oggi non si ha più l'idea. Lo stesso suffragio, di cui fan tanto caso, è stato naturalmente ottenuto quando il suffragio non v'era; ed ora che v'è, minacciano di toglierlo... effetto miracoloso della sua efficacia! Merlino dice che Malatesta ha scritto che il despotismo è da preferire all'ibrido sistema attuale. Se la memoria non ci falla, scrisse Malatesta che al parlamentarismo accettato e vantato è da preferirsi il despotismo subito per forza e coll'animo intento alla rivolta. È una cosa ben differente, ed in quella differenza sta la ragione della nostra tattica. Se il governo riducesse l'Italia allo stato politico della Russia, noi non dovremmo riprincipiare la lotta per il costituzionalismo, perché sappiamo già quanto valgono le costituzioni e troveremmo modo di lottare per i nostri ideali anche senza quelle larve di libertà che servono piuttosto ad illudere le masse che a favorirne il progresso. I socialisti parlamentari invece, imperniando tutta la loro attività intorno alla lotta elettorale, si condannano ad un lavoro di Sisifo; ed ogni volta che al governo piace di menomare le libertà politiche e le garanzie costituzionali, essi debbono mettere da parte il programma socialista e ridiventare costituzionalisti. A prova "La lega della libertà " dei tempi crispini, in cui Turati, Cavallotti e Di Rudinì eran diventati commilitoni e fratelli. D'altronde il fatto è questo; se nel paese v'è coscienza e forza di resistenza, se vi sono partiti extracostituzionali che minacciano lo Stato, allora il governo rispetta lo Statuto, allarga il suffragio, concede libertà, tanto per aprire delle valvole di sicurezza alla crescente pressione; ed in Parlamento i deputati borghesi tuonano contro i ministri, tanto per farsi popolari. Se invece il governo vede che i partiti popolari fondano le loro speranze sull'azione parlamentare e che la cosa che più gli dà noia sono i deputati socialisti, allora respinge il suffragio, tien chiuso il parlamento, viola lo Statuto; e se i deputati hanno il nerbo, cosa rara, di resistere più che per burla, vanno in prigione malgrado il medaglino e l'immunità. Quando Merlino poi dice che gli astensionisti sono dei dottrinari e si compiace a mettere in bocca loro una serie di ragionamenti che mena fuori di ogni vita reale ed al più completo quietismo, allora Merlino è... men che sincero. Vi sono è vero degli anarchici che si curano poco della praticabilità delle loro idee e limitano il loro compito alla predica di nozioni astratte, che essi credono il vero assoluto... se vero oggi, o vero tra mille anni non importa. Ma Merlino sa che quella tendenza non è quella di tutti gli anarchici, che di essa in Italia appena se ne ritroverebbe la traccia e che, anche all'estero, essa in fondo non è rappresentata che da poche personalità. Servirsi dell'esistenza di una tale tendenza per attribuirla a tutti gli anarchici e darsi così l'aria di aver ragione, può essere un abile espediente di polemica, ma non è degno di chi cerca e vuol propagare la verità. Quella tendenza quietista, per il fatto ch'essa aveva trovato simpatia in qualche uomo d'ingegno e di fama, è stata certamente una fra le cause che avevano arrestato lo sviluppo del movimento anarchico. Merlino, e noi, e tanti altri abbiamo combattuto quella tendenza; e se egli avesse continuato per la strada di prima, continuerebbe ad averci a compagno. Ma Merlino, proprio quando gli anarchici accennano ad uscire dalla crisi ed a ripigliare un lavoro fecondo, rinnega tutto ciò che egli stesso aveva detto; e, senza accampare una sola ragione nuova che non fosse stata già le mille volte detta dai legalitari e da lui stesso confutata, vorrebbe che noi lo seguissimo. Oggi le critiche ch'egli può fare degli errori in cui son caduti gli anarchici non hanno più efficacia. Non sono più le osservazioni di un commilitone fatte negli interessi della causa comune ma gli attacchi di un avversario, che rischiano di non essere presi in considerazione, perché ritenuti sospetti.

MALATESTA, MAGGIORANZE E MINORANZE

Ulteriore risposta sotto forma di lettera, pubblicata sempre sull'Agitazione del 14 marzo 1897 e anche questa falsamente datata da Londra.

Carissimi compagni,

Mi rallegro della prossima pubblicazione del giornale "L'Agitazione", e vi auguro di cuore il più completo successo. Il vostro giornale compare in un momento in cui grande ne è la necessità, ed io spero che esso potrà essere un organo serio di discussione e di propaganda, ed un mezzo efficace per raccogliere e ricongiungere le sparse file del nostro partito. Potete contare sul mio concorso per tutto ciò che le forze mie, deboli purtroppo, mi permetteranno. Per questa volta, tanto per isgombrarmi il terreno alla futura collaborazione, vi scriverò sopra alcuni punti che, se in certo modo mi riguardano personalmente, non sono senza portata sulla propaganda generale. L'amico nostro Merlino, che come sapete, si perde ora nell'inane tentativo di voler conciliare l'anarchia col parlamentarismo, in una sua lettera al "Messaggero" volendo sostenere che "il parlamentarismo non è destinato a sparire interamente e qualche cosa ne rimarrà anche nella società che noi vagheggiamo", ricorda uno scritto da me inviato alla Conferenza anarchica di Chicago del 1893, in cui io sostenevo che "per talune cose il parere della maggioranza dovrà necessariamente prevalere a quello della minoranza". La cosa è vera, nè le mie idee sono oggi diverse da quelle espresse nello scritto di cui si tratta. Ma Merlino, riportando una mia frase staccata per sostenere una tesi diversa da quella che sostenevo io, lascia nell'ombra e nell'equivoco quello che io veramente intendevo. Ecco: v'erano a quell'epoca molti anarchici, e ve n'è ancora un poco, che scambiando la forma colla sostanza e badando più alle parole che alle cose, si erano formati una specie di "rituale del vero anarchico" che inceppava la loro azione, e li trascinava a sostenere cose assurde e grottesche. Così essi, partendo dal principio che la maggioranza non ha il diritto d'imporre la sua volontà alla minoranza, ne conchiudevano che nulla si dovesse mai fare se non approvato all'unanimità dei concorrenti. Confondendo il voto politico, che serve a nominarsi dei padroni con il voto quando è mezzo per esprimere in modo spiccio la propria opinione, ritenevano anti-anarchica ogni specie di votazione. Così, si convocava un comizio per protestare contro una violenza governativa o padronale, o per mostrare la simpatia popolare per un dato avvenimento; la gente veniva, ascoltava i discorsi dei promotori, ascoltava quelli dei contraddittori, e poi se ne andava senza esprimere la propria opinione, perché il solo mezzo per esprimerla era la votazione sui vari ordini del giorno... e votare non era anarchico. Un circolo voleva fare un manifesto: v'erano diverse redazioni proposte che dividevano i pareri dei soci; si discuteva a non finire, ma non si riusciva mai a sapere l'opinione predominante, perché era proibito il votare, e quindi o il manifesto non si pubblicava, o alcuni pubblicavano per conto loro quello che preferivano; il circolo si scindeva quando non v'era in realtà nessun dissenso reale e si trattava solo di una questione di stile. E una conseguenza di questi usi, che dicevano essere garanzie di libertà, era che solo alcuni, meglio dotati di facoltà oratorie, facevano e disfacevano, mentre quelli che non sapevano o non osavano parlare in pubblico, e che sono sempre la grande maggioranza, non contavano proprio nulla. Mentre poi l'altra conseguenza più grave e veramente mortale per il movimento anarchico, era che gli anarchici non si credevano legati dalla solidarietà operaia, ed in tempo di sciopero andavano a lavorare, perché lo sciopero era stato votato a maggioranza e contro il loro parere. E giungevano fino a non osare di biasimare dei farabutti, sedicenti anarchici, che domandavano e ricevevano denari dai padroni - potrei citare i nomi occorrendo - per combattere uno sciopero in nome dell'anarchia. Contro queste e simili aberrazioni era diretto lo scritto che io mandai a Chicago. Io sostenevo che non ci sarebbe vita sociale possibile se davvero non si dovesse fare mai nulla insieme se non quando tutti sono unanimemente d'accordo. Che le idee e le opinioni sono in continua evoluzione e si differenziano per gradazioni insensibili, mentre le realizzazioni pratiche cambiano a salti bruschi; e che, se arrivasse un giorno in cui tutti fossero perfettamente d'accordo sui vantaggi di una data cosa, ciò significherebbe che in quella data cosa ogni progresso possibile è esaurito. Così, per esempio, se si trattasse di fare una ferrovia, vi sarebbero certamente mille opinioni diverse sul tracciato della linea, sul materiale, sul tipo di macchine e di vagoni, sul posto delle stazioni ecc., e queste opinioni andrebbero cambiando di giorno in giorno: ma se la ferrovia si vuol fare bisogna pure scegliere fra le opinioni esistenti, nè si potrebbe ogni giorno modificare il tracciato, traslocare le stazioni e cambiare le macchine. E poiché di scegliere si tratta è meglio che siano contenti i più che i meno, salvo naturalmente a dare ai meno tutta la libertà e tutti i mezzi possibili per propagare e sperimentare le loro idee e cercare di diventare la maggioranza. Dunque in tutte quelle cose che non ammettono parecchie soluzioni contemporanee, o nelle quali le differenze d'opinione non sono di tale importanza che valga la pena di dividersi ed agire ogni frazione a modo suo, o in cui il dovere di solidarietà impone l'unione, è ragionevole, giusto, necessario che la minoranza ceda alla maggioranza. Ma questo cedere della minoranza deve essere effetto della libera volontà, determinata dalla coscienza della necessità; non deve essere un principio, una legge, che s'applica per conseguenza in tutti i casi, anche quando la necessità realmente non c'è. Ed in questo consiste la differenza tra l'anarchia e una forma di governo qualunque. Tutta la vita sociale è piena di queste necessità in cui uno deve cedere le proprie preferenze per non offendere i diritti degli altri. Entro in un caffè, trovo occupato il posto che piace a me e vado tranquillamente a sedermi in un altro, dove magari c'è una corrente d'aria che mi fa male. Vedo delle persone che parlano in modo da far capire che non vogliono essere ascoltate, ed io mi tengo lontano, magari con incomodo mio, per non incomodar loro. Ma questo io lo fo perché me lo impongono il mio istinto d'uomo sociale, la mia abitudine di vivere in mezzo agli uomini ed il mio interesse a non farmi trattar male se io facessi altrimenti; quelli che io incomoderei, mi farebbero presto sentire in un modo o in un altro il danno che v'è ad essere uno zotico. Non voglio che dei legislatori vengano a prescrivermi qual'è il modo col quale io debbo comportarmi in un caffè, nè credo che essi varrebbero ad insegnarmi quell'educazione che io non avessi saputo apprendere dalla società in mezzo a cui vivo. Come fa il Merlino a cavare da questo che un resto di parlamentarismo vi dovrà essere anche nella società che noi vagheggiamo? Il parlamentarismo è una forma di governo nella quale gli eletti del popolo, riuniti in corpo legislativo fanno, a maggioranza di voti, le leggi che a loro piace e le impongono al popolo con tutti i mezzi coercitivi di cui possono disporre. È un avanzo di questa bella roba, che Merlino vorrebbe conservata anche in Anarchia? Oppure, poiché in Parlamento si parla, e si discute e si delibera, e questo si farà sempre in qualsiasi società possibile, Merlino chiama questo un avanzo di parlamentarismo? Ma ciò sarebbe davvero giuocar sulle parole, e Merlino è capace di altri e ben più seri procedimenti di discussione. Non si ricorda il Merlino quando polemizzando insieme contro quegli anarchici che sono avversi ad ogni congresso perché appunto ritengono i congressi una forma di parlamentarismo, noi sostenevamo che l'essenza del parlamentarismo sta nel fatto che i parlamenti fanno ed impongono leggi, mentre un congresso anarchico non fa che discutere e proporre delle risoluzioni, che non hanno valore esecutivo se non dopo l'approvazione dei mandanti e solo per coloro che le approvano? O che le parole hanno cambiato di significato ora che Merlino ha cambiato d'idee?

MALATESTA, SULLA LINEA DELL'ANARCHISMO

Continuazione della lettera in parte pubblicata Il 14 marzo 1897, nel numero dell'Agitazione dei 21 marzo 1897. La polemica s'allarga.

Osvaldo Gnocchi Viani, parlando nella "Lotta di Classe" della discussione fra me e Merlino a proposito della lotta elettorale, dice che noi, Merlino ed io, "ci siamo staccati dallo stipite anarchico-individualista ed abbiamo fatto un'evoluzione verso il metodo dell'organizzazione e dell'azione politica" e quindi conchiude che Merlino ed io abbiamo fatto un'evoluzione dello stesso genere, e che solo differiamo perché l'uno ha corso più dell'altro, ed io non so e non voglio "lasciarmi andare fin là " cioè fino ad accettare la tattica elettorale. Tutti questi spropositi si capirebbero in uno che fosse completamente ignaro della storia del movimento nostro in Italia; ma in Gnocchi Viani fan meraviglia davvero, e fan vedere come il partito preso può ottenebrare il giudizio anche negli uomini meglio informati, e, d'ordinario, più sereni ed equanimi. Staccati dallo stipite anarchico-indidualista! Ma quando mai Merlino ed io siamo stati individualisti? E che cosa è mai questo stipite anarchico-individualista? In Italia per molto tempo tutti gli anarchici furono socialisti, anzi il socialismo vi è nato anarchico, or sono già quasi trent'anni. Gnocchi Viani se ne deve ricordare. L'individualismo cosiddetto anarchico venne molto più tardi e ci ebbe sempre avversari, tanto Merlino che io. Evoluzione verso il metodo dell'organizzazione e dell'azione politica! Ma chi di noi ha mai cessato dal riconoscere e propugnare la suprema necessità della organizzazione, e quella della lotta politica? Sulla prima questione noi abbiamo sempre sostenuto che l'abolizione del governo e del capitalismo è possibile solo quando il popolo, organizzandosi, si metta in grado di provvedere a quelle funzioni sociali a cui provvedono oggi, sfruttandole a loro vantaggio, i governanti e i capitalisti. Quindi non volendo governo, noi abbiamo una ragione di più di tutti gli altri per essere caldi partigiani dell'organizzazione. E sulla seconda questione, chi più di noi ha sostenuto che alla lotta contro il capitalismo bisogna unire la lotta contro lo Stato, vale a dire la lotta politica? Oggi v'è una scuola che per lotta politica intende la conquista dei pubblici poteri mediante le elezioni; ma Gnocchi Viani non può ignorare che la logica impone altri metodi di combattimento a chi vuole abolire il governo e non già occuparlo. Merlino ed io ci siamo trovati d'accordo nel segnalare gli errori che, secondo noi, si erano infiltrati nelle teorie anarchiche ed i mali che avevano afflitto il nostro partito, e Merlino ci ha messo, mi compiaccio di riconoscerlo, più attività che non abbia fatto io. Ma, quando i mali da noi lamentati sono già quasi da tutti riconosciuti, quando gli errori incominciano ad essere respinti e l'organizzazione del partito incomincia sul serio, allietandoci di belle speranze, Merlino crede di scorgere la salvezza nella tattica elettorale, che è stata già per lunga esperienza così grande jattura per la causa socialista, e ci lascia. Tanto peggio. Noi continueremo lo stesso senza di lui. Questo non significa essere andati un po' più o un po' meno avanti sulla stessa via, ma aver percorso insieme una certa strada, e poi giunti al bivio, essersi separati, l'uno pigliando da una parte e l'uno dall'altra. Non pare così anche a Gnocchi Viani?

MERLINO, DA UNA QUESTIONE DI TATTICA AD UNA QUESTIONE DI PRINCIPIO

Risposta di Merlino pubblicata sull'Agitazione dei 28 marzo 1897 col titolo: "Da una questione di tattica a una questione di principii". La risposta è preceduta da una breve introduzione di Malatesta, che riproduciamo.

Sotto questo titolo riceviamo da Saverio Merlino l'articolo seguente, che pubblichiamo con piacere. Il Merlino può essere sicuro di trovare sempre in noi la serenità e l'amore impregiudicato della verità, che egli desidera. D'altronde, noi conveniamo con lui che spesso gli anarchici si sono mostrati intolleranti e troppo pronti alle ire ed ai sospetti; ma non bisognerebbe poi, nell'entusiasmo dei mea culpa, pigliare tutti i torti per noi e dimenticare che l'esempio e la provocazione ci sono venuti il più sovente dagli altri. Senza rimontare ai tempi di Bakunin ed alle infami calunnie ed invereconde menzogne che ancora si raccontano ai giovani che non sanno la storia nostra, ci basti ricordare la condotta dei socialisti democratici negli ultimi Congressi Internazionali verso gli anarchici, e certi articoli apparsi, non è gran tempo, nella stampa socialista democratica di vari paesi. In ogni modo, cerchiamo, se ci riesce, di esser giusti noi, checchè facciano e dicano i nostri avversarii.

Ecco l'articolo di Merlino:

- Vediamo un po' se è possibile continuare a discutere serenamente senza ire nè sospetti, come abbiamo principiato. Sarebbe una cosa quasi nuova e di così lieto augurio, che io dovrei rallegrarmi di avere offerto ai miei amici l'opportunità di dimostrare che il partito anarchico comincia ad educarsi all'osservanza dei principi che professa. E prima di tutto, sono io anarchico? Rispondo: se l'astensionismo è dogma di fede anarchica, no. Ma io non credo al dogma. Non credo contrari ai principi nostri la difesa e l'esercizio dei nostri diritti - neppure dei minimi. Non credo che esercitando il diritto di voto, che ci viene consentito, noi si rinunzi ai diritti maggiori, che ci vengono negati e che dobbiamo rivendicare. Credo che l'agitazione elettorale ci offra modi e opportunità di propaganda, a cui sarebbe follia rinunciare, specialmente in questo quarto d'ora e in Italia dove quasi ogni altra affermazione ci è interdetta, e credo che non se ne possa trarre tutto il profitto possibile quando si sostiene l'astensione. (Di ciò abbiamo fatto la prova in questi giorni qui a Roma, dove presentando la candidatura Galleani, abbiamo potuto tenere comizi, diffondere manifesti, guadagnarci la simpatia di molti che ci erano ostili o indifferenti come non avremmo mai potuto fare se fossimo rimasti astensionisti) -. Del resto non credo alla conquista dei poteri pubblici: sostengo che tanto la lotta per la libertà, quanto quella per l'emancipazione economica debba essere combattuta principalmente fuori del Parlamento. L'opera dei deputati operai, socialisti e rivoluzionarii la ritengo utile non per se stessa ma in aiuto alla lotta extraparlamentare. E se così pensando non mi trovo perfettamente d'accordo nè con gli anarchici nè coi socialisti-democratici me ne duole sinceramente: ma posso io disdirmi? Ma ormai pro e contro la partecipazione alle elezioni mi pare che si sia detto a un dipresso tutto quello che si poteva dire: ed io mi compiaccio che la disputa sia stata da Malatesta sollevata nella sfera dei principii: ed anche per questo non mi pento di averla suscitata. Non si può negare che attorno ai nostri principii - che son veri, se rettamente interpretati - son pullulati molti errori e molti sofismi. Uno di questi è che gli uomini debbano far tutto da sè, individualmente; che un uomo non debba farsi mai rappresentare da un altro, che le minoranze non debbano cedere alle maggioranze (essendo più probabile che s'ingannino queste che quelle); che nella società futura gli uomini si troveranno miracolosamente d'accordo, o se non i dissidenti si separeranno e ciascuno agirà a sua guisa: che ogni altra condotta sarebbe contraria ai nostri principii. Io vorrei qui ripetere parola per parola le giustissime e lucidissime considerazioni che fa Malatesta (e non per la prima volta) contro codesto modo d'intendere l'anarchia nel n. 1 dell'"Agitazione", concludendo col dire: "Dunque in tutte quelle cose che non ammettono parecchie soluzioni contemporanee, o nelle quali le differenze d'opinione non sono di tale importanza che valga la pena di dividersi ed agire ogni frazione a modo suo, ed in cui il dovere di solidarietà impone l'unione, è ragionevole, giusto, necessario che la minoranza ceda alla maggioranza". In due punti però io credo di dissentire da lui: in primo luogo, Malatesta sembra credere che le cose nelle quali per le varie ragioni da lui adottate è necessità convenire sieno tutte cose di poco momento. Si vede dagli esempi che adduce. Vado in caffè: trovo i posti migliori occupati; devo rassegnarmi a stare sull'uscio, o andar via. Vedo persone parlar sommessamente: devo allontanarmi per non essere indiscreto e via dicendo. Io invece credo (e forse anche Malatesta lo crede, ma non lo dice) che tra le questioni nelle quali converrà l'accordo e quindi, se non è possibile essere tutti della stessa opinione, è necessario cercare un compromesso, ve ne sono delle gravissime: e sono tali propriamente tutte le questioni sull'organizzazione generale della società e tutti i grandi interessi pubblici. Vi può essere nella società qualcuno che ritenga giusta la vendetta: ma la maggioranza degli uomini ha diritto di decidere che è ingiusta e d'impedirla. Vi può essere una minoranza, che preferisca di organizzare l'industria dei trasporti per le vie ferrate in modo cooperativistico, o collettivistico, o comunistico, od in un altro modo: ma l'organizzazione non potendo essere che una, è necessità che prevalga il parere dei più. Vi può essere uno che ritenga addirittura una vessazione il provvedimento tale, adottato per impedire il diffondersi di una malattia contagiosa: ma la società ha diritto di premunirsi dai mali epidemici. Il secondo dissenso tra Malatesta e me è in questo, che io non credo di poter profetare che nella società futura la minoranza sempre e in tutti i casi si arrenderà volentieri al parere della maggioranza, Malatesta invece dice: "Ma questo cedere della minoranza dev'essere effetto della libera volontà determinata dalla coscienza della necessità ". E se questa volontà non c'è, se questa coscienza della necessità nella minoranza non c'è, se anzi la minoranza è convinta di fare il suo dovere resistendo? Evidentemente la maggioranza, non volendo subire la volontà della minoranza, farà la legge, darà alla propria deliberazione (come dice Malatesta a proposito dei Congressi) un valore esecutivo. Malatesta dice anzi di più: e, a proposito di chi trova il posto preferito al caffè occupato, o di chi deve allontanarsi da un colloquio confidenziale dice: "Se io facessi altrimenti, quelli che io incomoderei mi farebbero sentire, in un modo o in un altro il danno che vi è ad essere uno zotico". Ed ecco una coazione. E si tratta, negli esempi addotti, di rapporti individuali e di questioni di pochissimo rilievo. Figuriamoci se si trattasse di una grave questione di pubblico interesse, come quelle a cui ho accennato io più sopra! Sta bene che la coazione debba essere minima, e possibilmente più morale che fisica, e che si debbano rispettare i diritti delle minoranze, ed ammettere in taluni casi perfino la secessione della minoranza dissidente. Ma insomma è questione di più e di meno, di modalità e non di principii. Nei casi, in cui ciò sia utile e necessario, dico io, non è contrario ai principi anarchici nè addivenire ad una votazione, nè provvedere all'esecuzione delle deliberazioni prese: e quando queste cose non si possono fare (per ragion di numero o di capacità) dagli interessati direttamente, non è contrario ai principi anarchici che, prese le debite precauzioni contro i possibili abusi, si deleghino ad altri. Quindi io conchiudo: - O si crede nell'armonia provvidenziale che regnerebbe nella società futura: ed allora ha torto Malatesta ed hanno ragione gl'individualisti. - O Malatesta ha ragione ed allora non si ha più diritto di dire che ogni rappresentanza, ogni atto con cui il popolo confida ad altri la cura dei suoi interessi, sia contrario ai nostri principi. A questo dilemma mi pare difficile di sfuggire.

MALATESTA, SOCIETÀ AUTORITARIA E SOCIETÀ ANARCHICA

Risposta di Malatesta sull'Agitazione del 28 marzo 1897.

Merlino dice senza dubbio molte cose giustissime e che diciamo anche noi; ma nell'affermare delle idee generali, sulle necessità della vita sociale, perde di vista, a parer nostro, la differenza tra autoritarismo ed anarchismo e le ragioni della differenza. Così che tutto il suo argomentare potrebbe servire benissimo per sostenere la necessità di un governo, e quindi l'impossibilità dell'anarchia. Stabiliamo subito quali sono i punti in cui siamo d'accordo, acciò nè il Merlino nè altri, cui piaccia polemizzare con noi, perda il tempo a combattere in noi idee che non sono nostre, e riesca così a sfondare delle porte aperte. Noi pensiamo che in molti casi la minoranza anche se convinta di aver ragione, deve cedere alla maggioranza, perché altrimenti non vi sarebbe vita sociale possibile - e fuori della società è impossibile ogni vita umana. E sappiamo benissimo che le cose in cui non si può raggiungere l'unanimità ed in cui è necessario che la minoranza ceda non sono le cose di poco momento; ma anche, e specialmente, quelle di importanza vitale per l'economia della collettività. Noi non crediamo nel diritto divino delle maggioranze, ma nemmeno crediamo che le minoranze rappresentino, sempre, la ragione ed il progresso. Galileo aveva ragione contro tutti i suoi contemporanei; ma vi sono oggi ancora alcuni che sostengono che la terra è piatta e che il sole le gira intorno, e nessuno vorrà dire che hanno ragione perché son diventati minoranza. Del resto, se è vero che i rivoluzionari sono sempre una minoranza, sono anche sempre in minoranza gli sfruttatori ed i birri. Così pure noi siamo d'accordo col Merlino nell'ammettere che è impossibile che ogni uomo faccia tutto da sè, e che, se anche fosse possibile, ciò sarebbe sommamente svantaggioso per tutti. Quindi ammettiamo la divisione del lavoro sociale, la delegazione delle funzioni e la rappresentanza delle opinioni e degli interessi propri affidata ad altri. E soprattutto respingiamo come falsa e perniciosa ogni idea di armonia provvidenziale e di ordine naturale nella società, poiché crediamo che la società umana e l'uomo sociale esso stesso siano il prodotto di una lotta lunga e faticosa contro la natura, e che se l'uomo cessasse dall'esercitare la sua volontà cosciente e si abbandonasse alla natura, ricadrebbe presto nella animalità e nella lotta brutale. Ma - e qui è la ragione per cui siamo anarchici - noi vogliamo che le minoranze cedano volontariamente quando così la richieda la necessità ed il sentimento della solidarietà. Vogliamo che la divisione del lavoro sociale non divida gli uomini in classi e faccia gli uni direttori e capi, esenti da ogni lavoro ingrato, e condanni gli altri ad esser le bestie da soma della società. Vogliamo che delegando ad altri una funzione, cioè incaricando altri di un dato lavoro, gli uomini non rinunzino alla propria sovranità, e che, ove occorra un rappresentante, questi sia il portaparola dei suoi mandanti o l'esecutore delle loro volontà, e non già colui che fa la legge e la fa accettare per forza, e crediamo che ogni organizzazione sociale non fondata sulla libera e cosciente volontà dei suoi membri conduce all'oppressione ed allo sfruttamento della massa da parte di una piccola minoranza. Ogni società autoritaria si mantiene per coazione. La società anarchica deve essere fondata sul libero accordo: in essa bisogna che gli uomini sentano vivamente ed accettino spontaneamente i doveri della vita sociale, e si sforzino di organizzare gl'interessi discordanti e di eliminare ogni motivo di lotta intestina; o almeno che, se conflitti si producono, essi non siano mai di tale importanza da provocare la costituzione di un potere moderatore, che col pretesto di garantire la giustizia a tutti, ridurrebbe tutti in servitù. Ma se la minoranza non vuol cedere? dice Merlino. E se la maggioranza vuol abusare della sua forza? domandiamo noi. È chiaro che nell'un caso come nell'altro non v'è anarchia possibile. Per esempio noi non vogliamo polizia. Ciò suppone naturalmente che noi pensiamo che le nostre donne, i nostri bimbi e noi stessi possiamo andar per le strade senza che nessuno ci molesti, o almeno che se qualcuno volesse abusar su di noi della sua forza superiore, troveremmo nei vicini e nei passanti più valida protezione che non in un corpo di polizia appositamente stipendiato. Ma se invece delle bande di facinorosi van per le strade insultando e bastonando i più deboli di loro ed il pubblico assiste indifferente a tale spettacolo? Allora naturalmente i deboli e quelli che amano la propria tranquillità invocherebbero la istituzione della polizia, e questa non mancherebbe di costituirsi. Si potrebbe forse sostenere che, date quelle circostanze, la polizia sarebbe il minore dei mali; ma non si potrebbe certo dire che si sta in anarchia. La verità sarebbe che quando v'è tanti prepotenti da un lato e tanti vili dall'altro l'anarchia non è possibile. Quindi è che l'anarchico deve sentire fortemente il rispetto della libertà e del benessere degli altri, e deve fare di questo rispetto lo scopo precipuo della sua propaganda. Ma, si obbietterà, gli uomini oggi sono troppo egoisti, troppo intolleranti, troppo cattivi per rispettare i diritti degli altri e cedere volontariamente alle necessità sociali. Invero, noi abbiamo sempre riscontrato negli uomini, anche i più corrotti, tale un bisogno di essere stimati ed amati, e, in date circostanze, tanta capacità di sacrificio e tanta considerazione dei bisogni degli altri da sperare che, una volta distrutte con la proprietà individuale le cause permanenti dei più gravi antagonismi, non sarà difficile di ottenere la libera cooperazione di ciascuno al benessere di tutti. Comunque sia, noi anarchici non siamo tutta l'umanità e non possiamo certamente far da noi soli tutta la storia umana; ma possiamo e dobbiamo lavorare per la realizzazione dei nostri ideali cercando di eliminare, il più possibile, la lotta e la coazione nella vita sociale. E dopo ciò ha ragione di sostenere Merlino che il parlamentarismo non può sparire completamente e che ve ne dovrà restare qualche cosa anche nella società da noi vagheggiata? Noi crediamo che il chiamare parlamentarismo o avanzo di parlamentarismo quello scambio di servizi e quella distribuzione delle funzioni sociali senza di cui la società non potrebbe esistere, sia un alterare senza ragione il significato accettato delle parole, e non possa che oscurare e confondere la discussione. Il parlamentarismo è una forma di governo; e un governo significa potere legislativo, potere esecutivo e potere giudiziario; significa violenza, coazione, imposizione con la forza della volontà dei governanti ai governati. Un esempio chiarirà il nostro concetto. I vari Stati d'Europa e del mondo stanno in rapporto tra di loro, si fanno rappresentare gli uni presso gli altri, organizzano servizi internazionali, convocano congressi, fanno la pace o la guerra, senza che vi sia un governo internazionale, un potere legislativo che faccia la legge a tutti gli Stati, ed un potere esecutivo che a tutti l'imponga. Oggi i rapporti tra i diversi Stati sono ancora in molta parte fondati sulla violenza e sul sospetto. Alle sopravvivenze ataviche delle rivalità storiche, degli odi di razza e di religione e dello spirito di conquista, si aggiunge la concorrenza economica ogni giorno minacciati dalla guerra ed ogni giorno i grossi Stati fan violenza ai piccoli. Ma chi oserebbe sostenere che per rimediare a questo stato di cose bisognerebbe che ogni Stato nominasse dei rappresentanti, i quali, riunitisi stabilissero tra loro, a maggioranza di voti, i principi del diritto internazionale e le sanzioni penali contro i trasgressori e man mano legiferassero su tutte le questioni tra Stato e Stato; ed avessero a loro disposizione una forza per far rispettare le loro decisioni? Questo sarebbe il parlamentarismo esteso ai rapporti internazionali; e lungi dall'armonizzare gl'interessi dei vari Stati e distruggere le cause dei conflitti, tenderebbe a consolidare il predominio dei più forti e creerebbe una nuova classe di sfruttatori e di oppressori internazionali. Qualche cosa di questo genere esiste di già in germe nel "concetto" delle grandi potenze, e tutti ne vediamo gli effetti liberticidi. Ed ancora due parole sulla questione dell'astensionismo elettorale. Merlino continua a parlare dell'attività propagandista che si può spiegare per mezzo delle elezioni; ma non pensa a quello che si potrebbe fare se, respingendo la lotta elettorale, si portasse quell'attività sopra un altro campo più consono coi nostri principi e coi nostri fini. Merlino non crede nella conquista dei poteri pubblici; ma noi non vorremmo questa conquista, nè per noi nè per altri, neanche se la credessimo possibile. Noi siamo avversari del principio di governo, e non crediamo che chi andasse al governo si affretterebbe poi a rinunziare al potere conquistato. I popoli che vogliono la libertà demoliscono le Bastiglie, i tiranni invece, domandano di entrarvi e fortificarvisi, colla scusa di difendere il popolo contro i nemici. Quindi noi non vogliamo che il popolo s'abitui a mandare al potere i suoi amici, o pretesi tali, e ad attendersi l'emancipazione dalla loro ascesa al potere. L'astensione per noi è una questione di tattica; ma è tanto importante che, quando vi si rinunzia, si finisce col rinunziare anche ai principi. E ciò per la naturale connessione dei mezzi col fine. Merlino si duole di non essere completamente d'accordo nè con noi nè coi socialisti democratici; ma dice che non si può disdire. Noi non gli domandiamo certamente di disdirsi, contro le sue convinzioni e contro la sua coscienza. Ma ci permettiamo di fargli un'osservazione. Una tattica, per buona che sia, non vale se non quando è accettata da coloro che dovrebbero praticarla. Ora, a ragione o a torto, noi e gli anarchici tutti, della tattica proposta dal Merlino non vogliamo saperne. Non è meglio che egli stia con noi con cui ha pur comuni gl'ideali e comuni ha pure i mezzi principali di lotta, anziché sciupare le sue forze in un tentativo che resterà sterile, ne siam sicuri, a meno che egli rinunzi all'anarchia e cerchi i suoi partigiani tra gli avversari nostri e suoi?

MERLINO, TENTATIVO DI CHIUDERE LA POLEMICA

Ulteriore intervento del Merlino sull'Agitazione del 19 aprile 1897 col titolo: "Poche parole per chiudere la polemica".

Mi pare che ci veniamo avvicinando. In una società organizzata secondo i principi del socialismo anarchico le minoranze dovranno nelle cose di grave interesse comune indivisibile cedere al parere, e mettiamo pure al volere delle maggioranze: ma le maggioranze non dovranno abusare del loro potere ledendo i diritti delle minoranze. Senza un compromesso di questo genere la convivenza non sarebbe possibile. Fin qui siamo d'accordo. Ma se una minoranza non vuole acconciarsi al parere della maggioranza in una delle questioni suddette? Voi dite che in questo caso non ci potrà più essere anarchia. Dunque la volontà di una piccola minoranza, anzi di un sol uomo, potrà fare in modo che l'Anarchia - come l'intendete voi - non si applichi affatto. Un pugno di farabutti o di reazionari o di eccentrici o di nevrotici, anche un sol individuo, potrà impedire che funzioni il sistema anarchico, soltanto col dire di no; rifiutandosi a cedere volontariamente alla maggioranza. E siccome qualche arfasatto ci sarà sempre in qualunque società, la conseguenza del vostro ragionamento è che l'Anarchia è una gran bella cosa, ma non si attuerà mai. Io invece prendo l'Anarchia in un senso meno assoluto. Non metto l'aut aut che mettete voi. L'idea Anarchica per me si comincerà ad attuare molto prima che gli uomini raggiungano lo stato di perfezione, per cui, compenetrati dei vantaggi dell'associazione, essi cedano volontariamente gli uni agli altri. Essa ci deve suggerire fin da ora dei modi di provvedere ai comuni interessi e di risolvere i conflitti che possano nascere, senza autorità, senza accentramento, senza un potere costituito in mezzo alla società, capace d'imporre la volontà propria ed i proprii interessi alla moltitudine dei soggetti. Questa è l'unica Anarchia attuabile ed è un'Anarchia prossimamente attuabile: di essa soltanto vale la pena di occuparsi. Prendiamo gli esempi addotti da voi. Voi dite: in una società anarchica non vi può essere polizia. Ma perché non vi sia polizia, bisogna che gli uomini si rispettino a vicenda, che un galantuomo possa camminare per le vie senza la paura di essere aggredito, od almeno, nella sicurezza di essere difeso dai vicini e dai viandanti se aggredito da uno più forte di lui. Se i deboli avessero a temere di essere accoppati per le vie, essi invocherebbero una polizia che li proteggesse, e l'Anarchia se ne andrebbe a gambe all'aria. Cosicchè voi ponete il dilemma: o nessuna forma di difesa sociale o collettiva dal delitto - tranne la difesa fortuita della folla - oppure la polizia, il governo, l'ordine di cose attuale. Io invece credo che tra il sistema attuale e quello che presuppone la cessazione del delitto ci sia posto per forme intermedie - per una difesa sociale che non sia la funzione di un Governo, ma che si eserciti, in ciascuna località, sotto gli occhi e il controllo dei cittadini come un qualunque servizio pubblico, d'igiene, di trasporto ecc. - quindi non possa degenerare in un mezzo di oppressione e di dominazione. Preparare queste forme, e farle prevalere alla forma autoritaria attuale o ad altre simili è appunto il compito dei socialisti anarchici. Ma questo compito non lo eseguiranno se essi diranno: l'anarchia non è possibile che allorquando la società non avrà più bisogno di garantirsi dal delitto - perché non si commetteranno più delitti. Nelle relazioni fra popoli voi dite: - gli Stati oggi fanno pace e guerre, osservano certe norme di giustizia nei loro rapporti (diritto delle genti ecc.) senza un governo, un Parlamento, una polizia internazionale. E come non vi accorgete che il Governo dei Governi c'è, ed è di quella Potenza o di quelle Potenze che hanno il maggior numero di cannoni ed il maggior numero di uomini per caricarli e difenderli? E come non v'accorgete che i rapporti attuali fra popoli sono embrionali, i trattati di commercio, le convenzioni postali, sanitarie, monetarie, ed il cosiddetto diritto delle genti, accennando a relazioni che tendono a divenire permanenti e regolari, sono le prime linee di un'organizzazione degl'interessi internazionali, che si andrà sempre più sviluppando dopo che gli Stati attuali avranno cessato di esistere? Noi dobbiamo adoperarci perché questa organizzazione sia fatta in forma federativa e libertaria; non negarne la necessità e l'utilità. A me pare francamente che voi rimaniate a mezza via tra l'individualismo e il socialismo. Ed ora lasciatemi tornare dalla questione di principii a quella di tattica. Nell'articolo di fondo del numero 3 voi vi occupate delle recenti elezioni e dite: "Francamente e grandemente ci rallegriamo del trionfo de' socialisti, perché, per quanto ecc., dimostra pur sempre che l'idea del Socialismo si avanza, che cresce il numero di coloro che si ribellano agli ordini del padrone, del prete e del carabiniere e che questa Italia non è poi davvero quella terra di morti che è sembrata in questi ultimi anni". Preziosa confessione che in realtà mi ha meravigliato. Voi astensionisti - che predicate che un popolo che vota abdica la sua sovranità nelle mani di pochi, ora invece vedete niente meno nel voto recente degli elettori italiani una ribellione agli ordini del padrone, del prete e dell'autorità - un'affermazione tanto importante dei diritti e delle aspirazioni del popolo, che esclamate giulivi che per queste elezioni è rimasto provato non essere l'Italia quella terra dei morti che è sembrata in questi ultimi anni. E vi par poco questa dimostrazione? Mettete pure sul conto del parlamentarismo i compromessi, l'annacquamento dei programmi, la corruzione ecc. Questi mali non potranno giammai far contrappeso all'immenso vantaggio di avere sentito battere l'anima di un popolo che, come voi dite, pareva morto e rassegnato all'inerzia della tomba. Ora poi, se a voi è permesso di dire dopo le elezioni che esse sono riuscite una splendida affermazione del Socialismo, non poteva esser vietato a me di dire prima delle elezioni che bisognava fare in modo che riescissero una siffatta affermazione. Se non osta ai principii anarchici che voi vi congratuliate del trionfo dei socialisti, non deve neppure ostare che io dichiari che lo desideravo. Le vostre congratulazioni non sarebbero venute se qualcuno non avesse lavorato per il trionfo del Socialismo nelle elezioni. Ed io non ho torto se mi ostino a sostenere che gli anarchici possono fare assai meglio che stare a guardare e congratularsi del trionfo degli altri. Al Governo non basta per continuare ad esistere la forza materiale delle baionette: gli ci vuole anche una forza morale che esso chiede alle elezioni - una apparenza di consentimento popolare. E l'acquisto di questa forza morale noi dobbiamo contendergli: perché ridotto alla sola forza materiale, noi potremo combatterlo con successo alla prima occasione. Un'ultima parola. Voi dite che tutti gli anarchici sono astensionisti. Oh! quanto v'ingannate! Gli astensionisti più accaniti votano ora pei repubblicani, ora pei socialisti, ora per amici personali senza parlare degli Azzaretti che non sono pochi! Quello che si guadagna con la tattica astensionista è di partecipare alle elezioni, non in nome dei nostri principi ma sotto falso nome e a beneficio di altri partiti.

MALATESTA, CONCEZIONE INTEGRALE DELL'ANARCHIA

Risposta di Malatesta sull'Agitazione del 19 aprile 1897.

Merlino va imparando un modo curioso di discutere. Sceglie da quel che gli dite una frase staccata, la tira e la torce, e riesce, poiché non tiene conto del contesto, a farvi dire quello che piace a lui. Inoltre non risponde mai alle vostre domande e alle vostre confutazioni; ma si attacca ad un vostro esempio o argomento incidentale e discute quello senza ricordarsi più della questione principale, sicchè l'oggetto della polemica ad ogni replica diventa un altro. Infatti, chi potrebbe indovinare che noi stavamo discutendo se il parlamentarismo è compatibile o no con l'anarchia? Continuando così potremmo ben discutere un secolo, ma non riusciremmo a sapere nemmeno se siamo d'accordo o no. In ogni modo seguiamo Merlino sul suo terreno. Perché dice Merlino che "ci veniamo avvicinando"? Perché noi ammettiamo la necessità della cooperazione e dell'accordo fra i membri della società e ci pieghiamo alle condizioni fuori delle quali cooperazione ed accordo non sono possibili? Ma questo è socialismo, e Merlino sa che noi siamo sempre stati socialisti e perciò sempre molto "vicini". La questione ora è se il socialismo deve essere anarchico o autoritario, vale a dire se l'accordo deve essere volontario o imposto. Ma se la gente non vuole accordarsi? Eh! Allora sarà la tirannia o la guerra civile, ma non sarà l'anarchia. Per forza l'anarchia non si fa: la forza può e deve servire per abbattere gli ostacoli materiali, per mettere il popolo nella condizione di scegliere liberamente come vuol vivere, ma più non può fare. Ma se "un pugno di farabutti o di nevrotici o anche un solo individuo si ostina nel dir no, allora non è possibile l'anarchia?" Diavolo! Non sofistichiamo. Questi individui sono ben liberi di dire no, ma non potranno impedire agli altri di far sì - e quindi dovranno adattarsi il meglio che possono. - Chè se poi "i farabutti o i nevrotici" fossero tanti da poter disturbare sul serio la società ed impedirle di funzionare pacificamente, allora... purtroppo, non saremmo ancora in anarchia. Noi non facciamo dell'anarchia un eden ideale, che per essere troppo bello, si debba poi rimandare alle calende greche. Gli uomini sono troppo imperfetti, troppo abituati a rivaleggiarsi ed odiarsi tra loro, troppo abbrutiti dalle sofferenze, troppo corrotti dall'autorità, perché un cambiamento di sistema sociale possa, dall'oggi al domani, trasformarli tutti in esseri idealmente buoni ed intelligenti. Ma quale che sia l'estensione degli effetti che si possono sperare dal cambiamento, il sistema bisogna cambiarlo, e per cambiarlo bisogna che si realizzino le condizioni indispensabili al detto cambiamento. Noi crediamo che l'anarchia prossimamente attuabile, perché crediamo che le condizioni necessarie alla sua esistenza vi siano già negl'istinti sociali degli uomini moderni, tanto che essi mantengono come che sia in vita la società, malgrado la continua azione dissolvente, antisociale, del governo e della proprietà. E crediamo che rimedio e baluardo contro le cattive tendenze di alcuni e contro i pericoli d'interessi e di gusti di altri non sia un governo qualsiasi, il quale essendo composto di uomini non può che far pendere la bilancia dalla parte degli interessi e dei gusti di chi sta al governo - ma la libertà la quale, quando ha a base l'uguaglianza di condizioni, è la grande armonizzatrice dei rapporti umani. Noi non aspettiamo per volere attuata l'anarchia che il delitto, o la possibilità del delitto, sia sparita dai fenomeni sociali; ma non vogliamo la polizia, perché crediamo che essa, mentre è impotente a prevenire il delitto, o ripararne le conseguenze, è poi per se stessa fonte di mille mali e pericolo costante per la società; e se per difendersi vi fosse bisogno di armarsi, vogliamo essere armati tutti e non già costituire in mezzo a noi un corpo di pretoriani. Noi ci ricordiamo troppo della favola del cavallo che si fece mettere il morso e montare in groppa l'uomo per meglio dar la caccia al cervo - e Merlino sa bene che menzogna sia "il controllo dei cittadini", quando i controllati sono quelli che hanno in mano la forza! Inesatto pure è Merlino quando si serve del nostro esempio del "Concerto europeo". Noi non abbiam detto che nei rapporti attuali tra gli Stati vi sia eguaglianza e giustizia, nè abbiam negato la necessità di una organizzazione, federativa e libertaria, degl'interessi internazionali. Noi abbiam detto solamente che alla prepotenza ed all'ingiustizia che prevalgono oggi nei rapporti tra gli Stati, non sarebbe rimedio un Governo ed un Parlamento internazionale. La Grecia subisce oggi la posizione delle Grandi Potenze, e vi resiste: se essa avesse un rappresentante in un Parlamento internazionale e si fosse impegnata a rispettare le risoluzioni della maggioranza di detto Parlamento, essa subirebbe un'eguale e maggiore prepotenza e non avrebbe il diritto di resistervi. E poi, che intende Merlino quando dice che noi siamo a mezza strada tra l'individualismo ed il Socialismo? L'individualismo, o è la teoria della lotta: "ciascun per sè e periscano i deboli"; oppure è quella dottrina che sostiene che pensando ciascuno a sé stesso e facendo a suo modo senza preoccuparsi degli altri, ne risulta, per legge naturale, l'armonia e la felicità di tutti. Nell'un senso e nell'altro noi siamo agli antipodi degl'individualisti, tanto quanto vi può esser Merlino. La questione tra noi e lui è questione di autorità, o libertà; e, francamente a noi pare ch'egli stia - o, meglio, sia ritornato - a mezza strada tra l'autoritarismo e l'anarchismo. Ed ora alla questione di tattica. Merlino si meraviglia che noi ci siamo rallegrati del trionfo dei socialisti. La meraviglia ci sembra strana davvero. Noi ci rallegriamo quando i socialisti democratici trionfano sui borghesi, come ci rallegreremmo di un trionfo dei repubblicani sopra i monarchici, ed anche di uno dei monarchici liberali sopra i clericali. Se avessimo potuto convertire all'anarchismo coloro che hanno votato pei socialisti ed ottenere che questi non avessero avuto nemmeno un voto, ne saremmo stati felicissimi. Ma nel caso concreto, se i centomila e tanti elettori che han votato pei socialisti non lo avessero fatto, non è perché sarebbero stati degli anarchici, ma è perché sarebbero stati o dei conservatori di vari gradi, oppure gente che si asteneva per indifferenza, o che indifferentemente votava per chi pagava o prometteva o minacciava di più. E Merlino si meraviglia che noi preferiamo saperli socialisti, o mezzi socialisti? Il bene e il male sono cose relative; ed un partito per quanto reazionario può rappresentare il progresso di fronte ad uno più reazionario ancora. Noi ci rallegriamo sempre quando vediamo un clericale che diventa liberale, un monarchico che diventa repubblicano, un indifferente che diventa qualche cosa; ma da ciò non deriva che dobbiam farci monarchici, liberali o repubblicani noi, che crediamo di star più avanti. Per esempio, visto lo stato presente delle province meridionali, sarebbe stato un ottimo sintomo se avessero trionfato sopra larga scala non fosse altro che i cavallottiani; e noi ce ne saremmo rallegrati, come crediamo se ne sarebbero rallegrati anche i socialisti democratici. Ma non per questo socialisti ed anarchici avrebbero dovuto nel Mezzogiorno difendere i cavallottiani. Al contrario, i socialisti mettono dappertutto le candidature loro, anche se questo debba diminuire la probabilità di riuscita del candidato meno reazionario - e noi predichiamo dappertutto l'astensione cosciente, senza preoccuparci se essa possa favorire un candidato o l'altro. Per noi non è il candidato che importa, perché tanto non crediamo nell'utilità di avere dei "buoni deputati"; quel che importa è la manifestazione dello stato d'animo del pubblico; e fra i tanti curiosi stati d'animo in cui può trovarsi un elettore, il migliore è quello che gli fa comprendere la inutilità ed i danni della deputazione al Parlamento e lo spinge a lavorare per quel che desidera, direttamente, associandosi a tutti quelli che hanno gli stessi suoi desideri. Infine, perché mai Merlino ha voluto chiudere la sua lettera con delle insinuazioni, che, viste le relazioni in cui in questo momento egli si trova con gli anarchici, sono almeno di cattivo gusto? Merlino si dice sempre anarchico e si sforza per farci concepire l'anarchia come l'intende lui e per farci accettare la tattica sua; ed è suo diritto. Ma perché piglia un tono che si può forse usare coll'avversario che non ci importa di offendere, ma non conviene con compagni che si vuole convincere ed attirare? Già tempo fa, rispondendo nel Messaggero al Malatesta che aveva parlato della "incipiente riorganizzazione" del partito anarchico, Merlino ne faceva le beffe, quando egli sapeva che gli anarchici si riorganizzavano davvero, ed avevano già ottenuto dei risultati modesti sì, ma ben reali. Ora poi viene a tirar fuori gli anarchici che si dicono astensionisti e votano, e ci butta sul viso l'Azzaretti, che noi stessi abbiamo denunziato in queste colonne. Ebbene se vi sono degli "astensionisti" che votano - e sappiamo che ve ne sono di fatto - ciò vuol dire o che non hanno coscienza completa delle opinioni che professano, oppure che non trovano in mezzo agli anarchici la forza sufficiente per resistere alle influenze dal di fuori: ed il rimedio non è di rinunziare tutti al programma, o di aumentare le cause di confusione e di debolezza ma di accrescere la coscienza degl'individui e di rinforzare l'organizzazione del partito. E se poi vi sono anche dei farabutti, che si vendono, non c'è che da scoprirli e cacciarli.

MALATESTA, INCOMPATIBILITÀ

Nota di chiusura della prima parte della polemica, dovuta a Malatesta, pubblicata dall'Agitazione del 25 aprile 1897.

Merlino ci scrive di nuovo e si lamenta del "tono poco amichevole" del nostro articolo. Ma nel farlo prende tale un tono che impedisce a noi, che vogliamo restar calmi davvero, di pubblicare integralmente la sua risposta. Ci sforzeremo del resto di riportare, con le sue stesse parole, tutti i suoi argomenti. Merlino è offeso perché dicemmo ch'egli aveva fatto delle insinuazioni. Insinuazione non sempre significa bugia; e noi d'altronde avvertivamo che sapevam vero quello che Merlino diceva. Ma lamentavamo ch'egli venisse con accuse generali e impersonali a turbare la serenità della discussione. Ora poi Merlino ci viene a parlare di gente che ha "lavorato" per Zuccari in mezzo agli anarchici, di uno che ha preso cento lire da un candidato monarchico e d'altre porcherie. Noi conosciamo troppo Merlino per avere la più lontana idea ch'egli menta; ma che significa questo suo venire a gettare il sospetto fra noi, quando poi non mette fuori i nomi e non ci mette in grado di poter distinguere i buoni dai falsi compagni, i convinti dai vacillanti? Ci mandi Merlino fatti e nomi; ci autorizzi a pubblicarli sotto la sua responsabilità, e noi gliene saremo gratissimi. Noi vogliamo anzitutto essere un partito di gente pulita. Ma quel che è poi strano davvero è che Merlino trova che questo fango elettorale, che manda i suoi schizzi fino in mezzo a noi sia la conseguenza della tattica... astensionista!!! A noi pare invece una ragione di più per fare dell'astensionismo elettorale un punto importante del nostro programma, ed è per questo che siamo ostili anche alle candidature di protesta. E passiamo oltre. Merlino protesta ch'egli non sapeva quando scrisse al Messaggero che gli anarchici si riorganizzavano. E noi gli crediamo; ma ci domandiamo allora se Merlino, prima di metter fuori al pubblico la sua nuova tattica, non avrebbe fatto bene a mettersi un po' più a contatto coi suoi vecchi compagni. Merlino aggiunge che alla riorganizzazione non ci crede nemmeno ora - e questo è affar suo. Ai compagni tutti il dargli, coi fatti, un'eloquente smentita. Ed ora agli argomenti. Merlino scrive: "La difesa sociale (scrivete voi) dev'esser la cura di tutta la società; e se per difendersi vi fosse bisogno di armarsi, vogliamo essere armati tutti." "Così ragionando, l'amministrazione della pubblica ricchezza dev'essere la cura di tutta la società; e se per amministrarla vi fosse bisogno di far progetti, compilare statistiche, studiare scienze tecniche - ebbene quelle cose vogliamo farle tutti. "L'educazione e l'istruzione dei fanciulli dev'essere la cura di tutta la società. Chi non sa quanto sia pericoloso confidare a pochi individui la cura di educare la nuova generazione? Dunque facciamoci tutti professori. "E via di questo passo, si nega il principio della divisione del lavoro, si arriva al concetto Kropotkiniano, che il popolo in massa distribuirà le case, i viveri, il lavoro, farà tutto". Se noi dicessimo che Merlino per confutarci ci affibbia delle idee che egli dovrebbe sapere non essere le nostre, egli se ne offenderebbe - e noi non vogliamo offenderlo. Noi ammettiamo certamente la divisione del lavoro e ne apprezziamo i vantaggi; ma ne conosciamo pure i danni ed i pericoli. La divisione del lavoro è stata una fra le cause dell'assoggettamento delle masse al dominio delle caste privilegiate. E col principio della divisione del lavoro si può tentare la giustificazione di tutte le mostruosità sociali: divisione tra lavoro mentale e lavoro manuale, divisione fra il lavoro di direzione e quello di esecuzione, divisione tra il lavoro di produzione e quello di difesa dei produttori... che poi si riassumono e si concretano nella divisione tra il lavoro di mangiare e quello di produrre, tra il lavoro di bastonare e quello di farsi bastonare. Menenio Agrippa conosceva già quest'argomento. Noi crediamo che carattere essenziale, non solo dell'anarchismo ma del socialismo in genere, sia il volere che certe funzioni debbano appartenere indistintamente a tutti i membri della società, malgrado i vantaggi tecnici che vi potrebbero essere nell'affidarle ad una classe speciale. Si divida pure il lavoro fino a che si può, per aumentare la produzione e facilitare il funzionamento della vita sociale: ma sian salvi innanzi tutto l'integrale sviluppo e l'eguale libertà di tutti gli individui. Tra le funzioni che, secondo noi, non si possono affidare senza gravi inconvenienti ad una classe speciale d'individui vi sono quelle in cui potrebbe esserci bisogno di adoperare la forza fisica contro un essere umano. Così per esempio, potrebbe, non lo neghiamo, esservi un vantaggio tecnico ad avere un corpo di specialisti incaricati di diagnosticare la follia pericolosa e di portare i matti al manicomio, ma, che volete? Noi abbiam paura che quei signori dottori ed infermieri giudicherebbero matti tutti quelli che non la pensano come loro. Lombroso insegni, che ci rinchiuderebbe tutti, Merlino compreso! Per la polizia propriamente detta, peggio di peggio: addestrate un uomo a dar la caccia agli uomini ed avrete, tecnicamente parlando, un buon agente di polizia; ma nello stesso tempo avrete spento in lui ogni sentimento di simpatia umana, avrete spento l'uomo e non troverete più che lo sbirro. E non ci estendiamo sul soggetto perché, polemizzando col Merlino, noi non intendevamo discutere sui modi migliori di soddisfare ai diversi bisogni della società, ma sulla questione specifica delle elezioni e del parlamentarismo. I vari problemi che possono presentarsi nella vita sociale possono essere risoluti, bene o male, in modi diversi. La questione che trattavamo era piuttosto il modo di risolverli: autorità o libertà, delegazione di potere o delegazione di lavoro, governo parlamentare o anarchia - e su questa questione ci pare che Merlino, malgrado la protesta stizzosa che ci manda in contrario, abbia scivolato. Merlino continua: "La divergenza tra noi è sul modo d'intendere l'Anarchia." "Voi dite: l'anarchia sarà quando gli uomini sapranno vivere d'accordo. Quando?" "Io dico: l'Anarchia sarà quando gl'interessi collettivi della società saranno organizzati, non già assolutamente senza coazione; ma, sia pure con quel po' di coazione morale, economica o fisica che è inevitabile - senza quel potere costituito in mezzo alla società, armato di leggi e di baionette e arbitro della roba e della vita dei cittadini che si chiama governo". Vale a dire che Merlino non credendo possibile ora l'Anarchia completa - l'organizzazione senza coazione - vorrebbe accostarvisi il più che si può. E sta bene: noi abbiamo già detto che non essendo noi tutta l'umanità non possiamo - e appunto perché anarchici non pretendiamo - far da noi soli tutta la storia umana. L'umanità cammina secondo la risultante delle mille forze che in vari sensi la sollecitano. Noi non siamo che una di queste forze. La questione da discutersi è se, possibilizzando il nostro programma, noi otterremmo un risultato più vantaggioso, vale a dire più pronto e più vicino al nostro ideale, che combattendo per l'attuazione del programma pieno ed intero. Noi crediamo di no. Infine Merlino ritorna sulla questione di tattica, ma non fa che ripetere il già detto più volte. Noi pure non avremmo che da ripeterci, quindi preferiamo chiuder qui la polemica. Oramai i compagni e tutti coloro che si sono interessati della discussione ne hanno inteso abbastanza per farsi un'opinione propria.

PARTE SECONDA

MALATESTA, NON CONFONDIAMO

Comincia la seconda parte della polemica. Nota del Malatesta pubblicata sull'Agitazione del 18 giugno 1897 col titolo: "Non confondiamo".

Leggiamo su qualche giornale anarchico estero dei giudizi sulla "evoluzione" di Merlino, che noi riteniamo erronei per ciò che riguarda la cosa ed ingiusti per ciò che si riferisce alla persona. Merlino ha fatto una attivissima propaganda per una più larga partecipazione degli anarchici al movimento operaio ed alla vita popolare, e contro le tendenze individualiste che accennarono un momento a predominare nel campo nostro; e con questa propaganda si è attirato, da certe parti, molte antipatie e molti odii ch'egli ha coraggiosamente affrontati. Ora poi ch'egli consiglia la partecipazione alla lotta elettorale ed accetta, fino ad un certo punto, anche il parlamentarismo, coloro che con lui erano in disaccordo ne profittano per dire che la sua evoluzione era una cosa aspettata e che la partecipazione al movimento operaio ed alla "lotta pratica" non era e non poteva essere che il primo passo verso la tattica parlamentare. Noi non abbiamo bisogno di ripetere quel che pensiamo del parlamentarismo e di tutto ciò che ad esso si riferisce, e quanto deploriamo che Merlino si sia messo su quella via. Ma non per questo lasceremo che si presenti sotto una falsa luce l'influenza benefica che Merlino ha avuto sul movimento anarchico; e che, nello spiegare la sua evoluzione, si prenda per causa quello che è stato effetto e viceversa. Non è vero che Merlino abbia cercato di mettere il movimento anarchico su una via pratica perché voleva arrivare alla tattica parlamentare. Invece egli ha accettato, con più o meno riserve, questa tattica perché gli anarchici col loro esclusivismo si erano ridotti all'inazione ed all'impotenza. Merlino, di cui nessuno che lo conosce vorrà mettere in dubbio la profonda sincerità e la grande buona volontà, ha secondo noi commesso un errore grandissimo compromettendo i risultati della sua propaganda antecedente col tentativo di farci accettare la lotta elettorale. Ma non bisogna nasconderci l'errore collettivo che ha fatto sì che degli uomini di valore, vedendoci perduti nelle astrazioni e non riuscendo, così presto come avrebbero voluto, a riportarci nel mondo della realtà, han cercato altrove la via all'azione feconda... e hanno sbagliato strada. Sappiamo essere un partito vivente, sappiamo esercitare un'azione efficace sul movimento sociale, ed allora non avremo a temere altre defezioni che quelle, benvenute, dei deboli e dei traditori, e potremo sperare che coloro che ci hanno abbandonato con la speranza sincera di poter essere più utili alla causa, torneranno a combattere insieme a noi.

MALATESTA, ANARCHISMO E DEMOCRAZIA

Recensione di Malatesta dello scritto di Merlino: "Collettivismo, comunismo, democrazia socialista e anarchismo", pubblicata sull'Agitazione del 6 agosto 1897.

Con questo titolo e col sottotitolo "tentativo di conciliazione" Saverio Merlino ha pubblicato nella Revue Socialiste di Parigi un articolo, che la Direzione di quella Rivista chiama una contribuzione alla sintesi delle dottrine socialiste. E contribuzione a detta sintesi lo sarà forse, poiché ogni studio delle varie dottrine rischiara l'argomento, tende a toglier di mezzo i dissensi che non hanno ragione di essere, e può menare alla conciliazione se arriva a stabilire che differenze sostanziali non ne esistono. Ma il fine pratico che Merlino si proponeva, quello cioè di dimostrare che le dottrine dei socialisti democratici e dei socialisti anarchici, lungi dall'essere inconciliabili, si correggono e si completano a vicenda, è certamente mancato, poiché egli mette male la questione, e confonde dottrine e partiti in un modo che fa davvero meraviglia in un uomo di mente così lucida e così bene informato come è Merlino. L'articolo si divide in due parti. Nella prima Merlino parla della differenza tra comunismo e collettivismo, pigliando queste parole nel senso, diremo così, classico che esse avevano per tutti al tempo dell'Internazionale: vale a dire, Comunismo, come il sistema, in cui tutto, strumenti e prodotti di lavoro, è a disposizione di tutti, senza tener calcolo del contributo di ciascuno all'opera collettiva, conforme alla formula "da ciascuno secondo le sue forze e a ciascuno secondo i suoi bisogni"; - Collettivismo, come il sistema in cui, stabilita l'eguaglianza di condizioni, garantito a tutti l'uso delle materie prime e degli strumenti di lavoro, ciascuno è padrone del prodotto del suo lavoro. Egli sostiene che tanto il Comunismo quanto il Collettivismo, se interpretati in un modo stretto, assoluto, sono l'uno e l'altro impossibili o non soddisfacenti, e fa molte osservazioni giuste, che abbiamo fatto anche noi in questo giornale o altrove. E conchiude che col contemperamento dell'un sistema coll'altro - facendo distinzione tra relazioni sociali necessarie e fondamentali e rapporti volontari e variabili tra gl'individui - si può arrivare ad "una buona organizzazione sociale che non soffochi l'energia dell'individuo levandogli ogni iniziativa ed ogni libertà d'azione, e che nello stesso tempo assicuri il funzionamento armonico delle attività individuali", o, in altri termini, che concili la libertà individuale colla necessaria solidarietà sociale. La questione è molto interessante e può essere, ed è stata, oggetto di utile discussione; ma non ha nulla a vedere colle differenze che dividono democratici e anarchici. Vi possono essere, e vi sono stati e vi sono, anarchici collettivisti e anarchici comunisti, al pari che democratici collettivisti e democratici comunisti. Negli ultimi anni i socialisti democratici, chiamandosi insistentemente collettivisti, sono riusciti ad identificare quasi il collettivismo colla democrazia socialista; ma in questo senso il Collettivismo più che un sistema di distribuzione dei prodotti del lavoro, è il sistema della organizzazione socialista per opera dello Stato e non è più il Collettivismo di cui discute Merlino in paragone col Comunismo. Per gli anarchici, la sintesi e la conciliazione tra Collettivismo e Comunismo si può dire già un fatto compiuto, poiché nessuno più interpreta quei sistemi in un modo stretto e assoluto; e lo prova il fatto che, almeno come partito militante, essi si denominano generalmente coll'appellativo comprensivo di socialisti anarchici, lasciando alle discussioni teoriche dell'oggi ed agli esperimenti pratici di domani la scelta tra i vari modi di organizzazione del lavoro e di distribuzione dei prodotti. Nella seconda parte del suo articolo Merlino parla della necessità di un'organizzazione permanente degli interessi collettivi, e delle forme che assumerà tale organizzazione; ed arriva ad una conciliazione verbale, che in realtà lascia la questione al punto di prima. Egli parla dei grandi interessi sociali, che eccedono l'interesse e la vita stessa dell'individuo, ed a cui bisogna che provveda la collettività; cerca qual'è la forma politica che può dare una più sincera espressione della volontà collettiva e meglio evitare ogni pericolo di oppressione, e conchiude: "Nè governo centralizzato nè amministrazione diretta. L'organizzazione politica della società socialista deve consistere nel riconoscimento dei diritti e libertà intangibili dell'individuo (diritto all'uso degli strumenti collettivi del lavoro, diritto d'associazione, d'istruzione, libertà di pensiero, di parola, di stampa, di scelta di lavoro ecc.) e nell'organizzazione degli interessi collettivi per delegazione ad amministratori capaci, revocabili e responsabili, che agiscano sotto il sindacato diretto del popolo, gli sottomettano i loro atti più importanti (referendum) e restino separati ed indipendenti l'uno dall'altro, affinché non vi sia coalizione per l'esercizio di un'autorità simile all'autorità governativa attuale". "L'essenza della democrazia sta nell'assenza di una tale coalizione, e nella ricerca delle forme di amministrazione che lasciano il meno possibile all'arbitrio degli amministratori. In questo senso non v'è differenza sostanziale tra democrazia e anarchia. Governo del popolo - niente oligarchia - significa in sostanza non governo. Il governo di tutti in generale (democrazia) equivale al governo di nessuno in particolare (anarchia)". Ancora una volta Merlino è fuori della questione. Il modo di organizzare od amministrare gl'interessi collettivi è questione importantissima e troppo trascurata, come giustamente osserva il Merlino, dai socialisti di tutte le scuole. Ma se s'intende paragonare le soluzioni dei democratici a quelle degli anarchici, in vista di una possibile conciliazione, bisogna rimontare alla differenza sostanziale che divide le due scuole, e non già fermarsi a discutere sul valore relativo dei vari sistemi rappresentativi, del referendum, del diritto d'iniziativa, del governo diretto, del centralismo, del federalismo ecc. E la differenza sostanziale è questa: autorità o libertà, coazione o consenso, obbligatorietà o (ci si perdonino i neologismi) volontarietà. È su questa questione fondamentale del supremo principio regolatore dei rapporti interumani che bisogna intendersi, o almeno discutere, tra democratici e anarchici; poiché, se non vi è intesa su di essa, non vi può essere intesa sulle questioni speciali di organizzazione, e quand'anche si arrivasse ad un accordo a parole, come quello a cui arriverebbe Merlino, si scoprirebbe presto che l'accordo s'è fatto adoperando le stesse parole in sensi diversi. Scendiamo alla pratica. Supposto che domani il popolo fosse padrone di sè (non si allarmi il Fisco, poiché si tratta di semplici supposizioni) dovrà esso nominare un potere costituente, che decreterà una nuova costituzione, che farà la legge, che organizzerà la nuova società? Oppure la nuova organizzazione sociale dovrà sorgere, dal basso all'alto, per opera di tutti gli uomini di buona volontà, senza che a nessun o sia dato il diritto di comandare e d'imporre? In altri termini, per servirci della frase consacrata, bisogna conquistare, oppure abolire i pubblici poteri? Si può parteggiare per l'uno o l'altro metodo, si può anche cercare qualche cosa d'intermedio, come pare desidererebbe Merlino, ma non si può, quando ci cerca di arrivare ad una conciliazione tra democratici ed anarchici, tacere quello che è il loro dissenso fondamentale. E per oggi basta. Ritorneremo sulle dottrine e sulle tendenze di Merlino, quando ci occuperemo, in uno dei prossimi numeri, del suo libro recente: "Pro e contro il socialismo".

MERLINO, ALLA RICERCA DI UNA BASE D'INTESA

Articolo di Merlino pubblicato dall'Agitazione il 19 agosto 1897 con il titolo: "Per la conciliazione".

Forse m'inganno, ma mi pare che voi vi sforziate, involontariamente, ad esagerare il vostro dissenso dai socialisti-democratici, per paura che cessando il dissenso, cessi anche per voi ogni ragione di esistere come partito distinto. Ora, che esista o no il partito Anarchico, o qualsiasi altro partito, a me pare debba interessarci mediocremente. Tutto ciò che noi abbiamo il diritto e il dovere di desiderare è che quella parte di vero, che c'è nelle nostre dottrine, si faccia strada fra le moltitudini, e primieramente tra quelli che sono più vicini a noi, i socialisti militanti. Se domani i socialisti-democratici accettassero la parte giusta delle nostre idee, noi potremmo anche rassegnarci a morire come partito. Avremmo compiuta la nostra missione. Al postutto, i partiti non sono destinati a durare eternamente; pur troppo hanno una vita breve e precaria, servono ad affermare e divulgare certe idee, e per lo più scompaiono o si trasformano prima che quelle si attuino. Nel caso nostro, piuttosto che avere un partito che tira il socialismo da una parte, e un altro che lo tira dall'altra, facendolo a brani, esagerando entrambi e combattendosi talvolta ingiustamente, io preferirei un partito solo che rimanesse nella verità. Nè mi preoccupa quello che voi dite. Se domani i socialisti-democratici, andando al potere volessero imporsi e tiranneggiare, là, dentro il partito socialista, non fuori voi dovreste combatterli. In tal modo avreste fatto meglio che prepararvi a combattere la tirannia socialista, l'avreste prevenuta e impedita. A me insomma non garba che noi regoliamo il nostro modo di pensare e la nostra propaganda in opposizione a quello che pensano o dicono - o diranno e faranno - i socialisti-democratici; mi parrebbe di fare come quei due individui che camminassero a braccetto, e di cui l'uno zoppicasse da una gamba e l'altro credesse, per fargli equilibrio, di dover zoppicare dall'altra. Lasciamo questi giuochi di equilibrio e andiamo diritti, perdio, alla nostra mèta. Dunque esaminiamo la questione della conciliazione fra collettivismo, comunismo, democrazia socialista ed anarchismo, senza il partito preso di non riescirvi. Voi dite che la "sintesi e conciliazione tra comunismo e collettivismo, per gli anarchici si può dire un fatto compiuto", tanto vero che essi si chiamano oggi, in gran parte, anarchici-socialisti. Dunque siamo d'accordo. Io però vi fo notare che molti anarchici si chiamano oggi socialisti e non comunisti nè collettivisti, non perché siano convinti, come son convinto io, che comunismo e collettivismo non possono star da sè, ma devono completarsi a vicenda, ma piuttosto perché o sono incerti, o pur essendo comunisti e collettivisti in pectore, non credono la questione tanto importante da doverne fare un casus belli. Per essi è una questione di tolleranza reciproca: io invece parto dalla critica del collettivismo e del comunismo per arrivare ad un terzo sistema, o sistema misto. Voi vedete la differenza. Ad ogni modo voi riconoscete che la discussione che io ho fatta in proposito nell'articolo della Revue Socialiste è interessante ed utile. Ma ecco che la preoccupazione di confondervi coi socialisti-democratici vi assale, e voi soggiungete: "ma (la questione) non ha nulla a vedere colle differenze che dividono democratici ed anarchici". Come se io nel mio articolo mi fossi proposto di trattare soltanto di queste divergenze! Ma il collettivismo dei socialisti democratici - voi dite - più che un sistema di distribuzione dei prodotti del lavoro, è il sistema dell'organizzazione socialista per opera dello Stato. È un'asserzione, ne converrete con me, un po' troppo cruda, e che mette in un fascio i socialisti-democratici coi socialisti di Stato. I socialisti democratici respingono e combattono il socialismo di stato, e bisogna tener loro conto, almeno della buona intenzione. Il collettivismo per essi non è il sistema dello Stato grande capitalista e grande anzi unico proprietario; ma è il sistema in cui la società (nella sua grande capacità collettiva) amministra il patrimonio pubblico dei mezzi di produzione e forma il piano generale di produzione distribuendo i prodotti in ragione del lavoro di ciascuno. Che questo sistema possa menare, contro la volontà dei suoi sostenitori, ad una specie di socialismo di stato, è un'altra questione: dipende dalla modalità del sistema, dal modo con cui funziona questa società nella sua capacità collettiva, dal come sarà organizzata. Sarà organizzata a stato? Sarà una semplice federazione di associazioni? Quali saranno le attribuzioni e quale sarà la composizione dell'amministrazione collettiva? Qui sta la questione, ma un'amministrazione generale degli interessi collettivi e indivisibili - voi ne avete convenuto altra volta - ci ha da essere. I socialisti democratici hanno il torto, secondo me, di accreditare il sospetto che essi vogliano nè più nè meno che un grande stato - come quando dimostrano la loro gioia per ogni nuovo acquisto od intrapresa che fa lo stato. Quando una rete di ferrovie, per es. passa da una società privata allo stato, essi battono le mani; perché dicono che dallo stato alla collettività socialistica è poi breve il varco. Ora questo può essere, come io ritengo, un errore, ma è tutt'altra cosa dal dire che lo stato debba organizzare esso definitivamente la produzione e attuare il socialismo. Siamo sempre lì. Voi vi sforzate (involontariamente sempre) di far apparire i socialisti-democratici il più che potete reazionari, per accrescere la distanza tra essi e voi e poter dire che essi sono agli antipodi da voi, o almeno dovrebbero. Questo partito preso si vede anche più chiaramente nella confutazione che voi fate della seconda parte del mio articolo. Io sostenevo - e qui veramente si trattava di conciliare il socialismo democratico e l'anarchico - che insomma la libertà non può mai essere illimitata, e che un'organizzazione degli interessi collettivi ci vuole, e che in quest'organizzazione è insita sempre una certa coazione; che bisogna fare in modo che la coazione sia minima e l'organizzazione sia la più libertaria e decentrata possibile, e che i socialisti-democratici in ciò sono d'accordo con noi; quindi una vera opposizione d'idee tra essi e noi non c'è, ma dobbiamo studiare insieme i modi pratici di conciliare gl'interessi generali e indivisibili della collettività con la libertà dell'individuo. Il referendum, il sindacato pubblico e la revocabilità degli amministratori ecc. possono essere un modo di tenere gli amministratori soggetti agli amministrati, impedendo la formazione di un potere governante: studiamo dunque queste modalità e attuiamo, per così dire, l'anarchia per mezzo della democrazia. Voi anche questa volta non negate che la questione della modalità dell'organizzazione degl'interessi collettivi è importantissima e merita di essere approfondita; ma ad un tratto rivive in voi il vecchio Adamo, - l'anarchico che cerca a tutti i costi il socialista-autoritario da combattere - e voi dite che "bisogna rimontare alla differenza sostanziale che divide le due scuole... e questa è: autorità o libertà, coazione o consenso, obbligatorietà o volontarietà ". Ora io torno a quello che dissi altra volta, in certe cose d'interesse comune e indivisibile l'obbligatorietà è inevitabile. Volontarietà, libertà, consenso, sono principii incompleti, che non ci possono dare da sè soli, nè ora, nè per molti secoli avvenire, tutta l'organizzazione sociale. D'altra parte non è esatto che i socialisti-democratici siano fautori di autorità, di coazione, di obbligatorietà su tutta la linea, che non riconoscano il gran valore del principio di libertà. - Non è dunque vero che voi rappresentiate un principio e i socialisti-democratici rappresentino il principio opposto: voi tutta la libertà, essi tutta l'autorità. La questione è di più e di meno, o piuttosto dei modi di applicazione; ed ecco perché io vorrei tirarvi giù dalle empiree sfere dei principii astratti ed indurvi a discutere le modalità dell'organizzazione sociale, sicuro come sono che su questo terreno tutti i socialisti tacitamente s'intenderebbero. Ma voi ricalcitrate, perché, come ho detto fin da principio ritenete che la vostra missione è di combattere la futura tirannia socialistica, invece di prevenirla. Voi dite: supposto che il popolo domani abbia il sopravvento sul governo, i socialisti-democratici vorranno fargli nominare un potere costituente che farà la legge e organizzerà le cose a suo talento. Noi, socialisti-anarchici, dovremo, potendo, impedire tutto ciò e far sorgere la nuova organizzazione sociale "dal basso all'alto per opera di tutti gli uomini di buona volontà ". Ma anche per il periodo rivoluzionario vale la regola che ci vuole un'organizzazione, il più possibile libertaria, a base di volontà popolare, ma pur capace di dar corpo e vita all'ammasso informe di volontà, d'interessi e di desideri che si agiteranno sopratutto in tale momento. Un potere costituente dispotico non solo provocherebbe discordie e reazioni, ma neppure riuscirebbe ad organizzare la vasta e complicata economia sociale. Ma tanto meno vi riuscirebbe il popolo in massa, adunato casualmente nei clubs e per le strade. Possibile che non ci riesca di guardarci, da una parte e dall'altra, dalle esagerazioni?

MALATESTA, IMPOSSIBILITÀ DI UN ACCORDO

Risposta di Malatesta, sull'Agitazione del 19 agosto 1897, con la quale viene postillato il precedente articolo del Merlino.

Abbiamo pubblicato qui sopra la risposta che Merlino ci ha mandato alla critica che noi facemmo di un suo articolo pubblicato nella Revue socialiste, perché i lettori possano più facilmente farsi un'opinione loro propria. Replicherò il più brevemente possibile, per non cominciare una nuova e lunga polemica, nè per dar fondo ad argomenti sui quali dovremo ritornare continuamente, perché sono la materia della nostra propaganda, ma semplicemente per rimettere a posto quelle cose, che Merlino, secondo noi, ha spostato. Premettiamo un'osservazione. Noi non sappiamo bene se Merlino continui o no a chiamarsi anarchico. Il certo è, e ce ne duole, che se egli si dice ancora anarchico, non intende più l'anarchia come l'intendono gli anarchici, fra cui egli militava fino a non molto tempo fa. E, perciò, il noi ed il nostro, che Merlino adopera ancora, va accolto con riserva. Avevamo creduto che Merlino sarebbe riuscito a formare un terzo partito, intermedio tra i marxisti e noi - qualche cosa come gli Allemanisti francesi; e ce ne saremmo rallegrati, poiché ciò avrebbe dato una organizzazione propria a quegli elementi che stanno a disagio nel Partito Socialista Italiano, ed avrebbe segnato un passo avanti nell'evoluzione del socialismo in Italia, mentre d'altra parte quegli anarchici che avessero potuto aderire al nuovo partito non sarebbero stati, in generale, che degl'individui già sul punto di abbandonarci e che avremmo in ogni modo perduti. Ma incominciamo a temere, per sintomi molteplici e vari, che anche questa era un'illusione. Merlino, quando avrà perduto ogni speranza di convertire gli anarchici e di far loro accettare, con delle attenuazioni che secondo noi non hanno alcun valore pratico, le idee ed il metodo dei socialisti democratici, passerà senz'altro nelle file di questi ultimi. Ed allora forse, subendo la suggestione del nuovo ambiente, dirà che gli anarchici non esistono. Vorremmo ingannarci. Ed ora rispondiamo a Merlino, cercando di seguire il suo scritto paragrafo per paragrafo. Merlino dice che noi ci sforziamo di esagerare il nostro dissenso coi socialisti-democratici. L'accusa sarebbe ben altrimenti giusta se fosse invertita. Sono i socialisti democratici che continuamente - e disonestamente - si sforzano di travisare le nostre idee, per poter poi dire che noi non siamo socialisti, e negare la parentela intellettuale e morale che li unisce a noi. Ancora l'altro giorno l'Avanti! negava ogni rapporto tra anarchismo e socialismo, e diceva di noi quello che avrebbe potuto dire di un partito di piccoli borghesi che si rivoltasse violentemente contro l'aumento delle tasse e la concorrenza dei grossi capitalisti: così che uno potrebbe prendere per anarchici i padroni macellai e fornai di Napoli e Palermo, quando protestano e resistono contro il calmiere municipale! E l'Avanti! è ancora uno degli organi meno intolleranti che vanta il partito socialista democratico! Noi vogliamo essere un Partito separato, non per il piacere di distinguerci dagli altri, ma perché realmente abbiamo idee e metodi diversi dagli altri partiti esistenti. E respingiamo assolutamente la supposizione che noi esageriamo in un senso per fare equilibrio alle esagerazioni opposte degli altri. Noi sosteniamo quel che sosteniamo, perché crediamo che sia la verità, e non per altra ragione. Se ci accorgessimo che nel nostro programma v'è una parte d'errore, noi ci affretteremmo a sbarazzarcene; e quando anche gli altri modificassero le loro idee in modo da incontrarsi con noi, allora... noi e gli altri costituiremmo naturalmente un partito solo. Ora come ora, le idee sono differenti, ed è giusto e necessario che vi siano Partiti differenti. Noi non vogliamo soltanto resistere alla possibile tirannia dei socialisti al potere: noi vogliamo far si che il popolo si rifiuti a nominare o a riconoscere dei nuovi governanti, e pensi da sé stesso ad organizzarsi localmente e federalisticamente, senza tener conto delle leggi e di decreti di un nuovo governo, e resistendo colla forza contro ciò che gli si volesse imporre per forza. E se, per mancanza di forza sufficiente, non potessimo raggiungere subito questo nostro scopo, allora in attesa di divenir più forti, eserciteremmo quell'azione, moderatrice o eccitatrice secondo i casi, che esercitano i partiti di opposizione quando non si lasciano corrompere ed assorbire. Il consiglio di Merlino, di entrare nel partito socialista democratico per poter prevenire la tirannia dei socialisti al potere equivale a quello di divenire, p. es. monarchici o repubblicani per evitare che la monarchia o la repubblica fossero troppo reazionarie. Quest'ultimo consiglio sarebbe giustificato, se dato a chi è disposto ad accomodarsi con la monarchia o la repubblica, come sarebbe giustificato quello di Merlino se noi accettassimo il principio di un governo socialista e ci dicessimo anarchici solo allo scopo di prevenire che quel governo fosse troppo autoritario. Ma quello non è il caso. Quel che dice Merlino che molti anarchici si dicono oggi genericamente socialisti e non già comunisti o collettivisti non perché vogliono un sistema misto quale lo desidera Merlino, ma perché, o sono incerti o non danno importanza alla questione, o non vogliono farne una ragione di divisione, è vero. Noi stessi siamo propriamente comunisti, alla sola condizione (sottintesa, perché senza di essa non potrebbe esserci anarchia) che il comunismo sia volontario ed organizzato in modo che ammetta la possibilità di vivere secondo altri sistemi. Ma siccome il collettivismo dei collettivisti anarchici è anch'esso (necessariamente, se no non sarebbe anarchico) sottoposto alla stessa condizione, la differenza si riduce ad una questione di organizzazione pratica che deve esser risolta mediante accordi, e non può dar luogo alla costituzione di due partiti separati ed avversi. Questo però, come dicemmo, non ha nulla da fare colle differenze tra anarchici e democratici, che sono quelle che qui c'interessano. Il "collettivismo" dei socialisti democratici, a differenza del collettivismo dell'Internazionale, non pregiudica la questione del modo di distribuzione dei prodotti, poiché vi sono molti democratici che si dicono collettivisti, e vogliono che detta distribuzione sia fatta in ragione dei bisogni. Merlino dice che noi confondiamo i socialisti democratici con i socialisti di Stato, e noi infatti crediamo che tali essi siano, quantunque non li confondiamo certo con quei borghesi che si chiamano anche socialisti di Stato e vogliono fare solamente un po' di "socialismo" a scopo fiscale, o a scopo di allontanare o scongiurare il pericolo del socialismo vero. I socialisti democratici combattono questa specie di falso socialismo; e se, per evitare equivoci, respingono (e non tutti) il nome di socialisti di Stato, ciò non toglie che essi vogliono che la nuova società sia organizzata e diretta dallo Stato, vale a dire dal governo. Merlino ha un modo curioso di conciliare le opinioni. Esprime quello che dovremmo pensar noi e quello che dovrebbero pensare i socialisti democratici, ed arriva facilmente all'accordo, poiché in realtà egli dice ciò che pensa lui secondo che si piazza da differenti punti di vista, e non già quello che pensiamo noi o i democratici. Così egli dice che "i socialisti democratici hanno il torto di accreditare il sospetto che essi vogliono nè più nè meno che un grande Stato"ecc.. Ma è proprio soltanto un sospetto? Noi ameremmo sentirlo dire dai socialisti democratici autentici. È così pure, egli dice che noi non rappresentiamo il principio di libertà, perché egli (Merlino) crede che "volontarietà, libertà, consenso sono principii incompleti che non ci possono dare da sè soli, nè ora nè per molti secoli avvenire, tutta l'organizzazione sociale". Fino a che egli dice che noi ci sbagliamo, sta bene; ma dire che noi non pensiamo in quel dato modo, che noi non rappresentiamo le idee che difendiamo, perché egli le crede sbagliate, è di una logica singolare. Il fatto è che noi crediamo appunto che tutta l'organizzazione possa e debba - ora, non tra molti secoli - uscire dalla libertà, e che quindi la differenza tra noi ed i democratici resta intera, fino a quando Merlino non ci abbia persuasi che abbiamo torto, e fatto abbandonare il programma anarchico. Per ora la differenza diminuisce solo fra Merlino ed i democratici, a misura che aumenta fra Merlino e noi. Bisogna che gl'interessi collettivi indivisibili siano collettivamente amministrati: siamo d'accordo. La questione sta nel modo come quest'amministrazione può esser condotta senza ledere il diritto eguale di ciascuno, e senza servire di pretesto e di occasione per costituire un potere che imponga a tutti la propria volontà. Per i democratici è la legge, fatta dai deputati eletti a suffragio universale, quella che deve provvedere alla necessaria amministrazione degl'interessi collettivi; per noi è il libero patto tra gl'interessati, o, all'occasione, la libera acquiescenza alle iniziative che i fatti mostrano utili a tutti. Noi non solo non vogliamo, ma non crediamo possibile un metodo di ricostruzione sociale intermedio, che non sia nè l'azione libera delle associazioni che si vanno man mano accordando e federando, nè l'azione dittatoriale di un governo forte. Ma Merlino c'invita a scendere dalle "empiree sfere dei principii astratti" e discutere le modalità della organizzazione sociale. Noi non domandiamo di meglio, e perciò volevamo cominciare dall'assodare quale deve essere praticamente il punto di partenza della nuova organizzazione: l'elezione di una Costituente, o la negazione di ogni potere costituente delegato? La "conquista dei pubblici poteri", o la loro abolizione? I socialisti democratici mirano ad un futuro Parlamento, o ad una futura dittatura, che abolisca le leggi esistenti e ne faccia delle nuove; - e perciò sono logici quando abituano la gente a considerare il voto come un mezzo onnipotente di emancipazione. Noi invece miriamo all'abolizione dei Parlamenti e di ogni altra specie di potere legislativo, e perciò vogliamo, per gli scopi attuali e per i futuri, che il popolo si rifiuti di nominare e di riconoscere dei legislatori. Se Merlino riesce a metterci d'accordo avrà fatto una fatica d'Ercole... ma noi crediamo ch'egli perda il tempo. L'accordo coi socialisti-democratici, ed anche coi semplici repubblicani, lo vorremmo anche noi, ma non nel senso di rinunziare ciascuno ad una parte delle sue idee e fondere i vari programmi in un programma intermedio. Vorremmo l'accordo in quelle cose in cui i vari partiti possono agire insieme senza rinunziare alle loro idee particolari, quali sarebbero, nel caso concreto, l'organizzazione economica, la resistenza degli operai contro i capitalisti, la resistenza popolare contro il governo. Su questo terreno Merlino ha già reso dei servizi e, se rinunciasse alla fisima di convertirsi al parlamentarismo (poiché, in fondo in fondo è sempre quella la questione) potrebbe renderne di ben più grandi.

MERLINO, DICHIARAZIONE DI DISTACCO DALL'ANARCHISMO

Dichiarazione di distacco dall'anarchismo inviata da Merlino all'Agitazione e da questa pubblicato il 26 agosto 1897.

ROMA, 23 agosto.

Cari amici,

poiché voi mi domandate (e non per la prima volta) se io mi dica anarchico, sento il dovere di dichiarare che io preferisco chiamarmi "socialista libertario". S'intende che non posso impedire che molti anarchici mi ritengano dei loro, perché non sono iscritto al partito socialista democratico e non potrei sottoscriverne interamente il programma; e alcuni socialisti mi ritengano quasi dei loro, o almeno mi veggano di buon occhio, perché non sono interamente d'accordo con gli anarchici. Io mi adopero per la causa a modo mio, lieto di contribuire in qualche modo a rintuzzare in tutti lo spirito settario. Non ho l'ambizione di fondare nessun nuovo partito: quelli che ci sono, sono anche troppi, e stentano a reggersi in piedi, circondati come sono dall'apatia generale. Spero di aver soddisfatto la vostra giusta curiosità e vi stringo la mano.

PARTE TERZA

MERLINO, IL PERICOLO DELL'ASSOLUTISMO

Inizia la terza ed ultima parte della polemica. L'Italia del Popolo del 3-4 novembre 1897 pubblica un articolo del Merlino dal titolo "Il pericolo" che riproduciamo integralmente.

Notiamo il fatto, che è sintomatico: nel paese e nella stampa la corrente anti-parlamentare cresce. Si va facendo strada l'idea che senza il Parlamento si starebbe meglio. Ma si va facendo strada - anche questo va notato - nella parte più reazionaria del paese e della stampa. Anche nelle questure del regno si parla male del sistema parlamentare. E si capisce! Se non vi fosse il Parlamento la polizia non dovrebbe render conto delle sue gesta che al ministro dell'interno, e allora... bazza a chi tocca! I nostri amici dunque stiano in guardia contro il pericolo che sovrasta. In un vicino paese più facile ai mutamenti politici, noi forse avremmo avuto a quest'ora un colpo di mano imperialista o napoleonico. In Italia non si abolisce e non si abolirà il Parlamento, nè lo si degrada ufficialmente ad un tratto; ma lo si esautora poco per volta: il che fa lo stesso. La gente prima lo prende in uggia, poi lo guarda con indifferenza e finisce per voltargli le spalle. Clericali, borbonici e altri partigiani di regimi tramontati da una parte, anarchici e altri socialisti dall'altra, aiutano la demolizione, credendo di combattere il governo, e non si accorgono che lo rendono onnipotente. Quelli che non mi conoscono penseranno che, come tutti i convertiti, io voglio far mostra di zelo, difendendo la causa del parlamentarismo. Qualcuno sospetterà perfino ch'io voglia mettermi nelle grazie di questo o di quel partito e farmi largo, anch'io alla deputazione. Si ricredano costoro. Io non solo ho fatto proponimento di rimanere al mio posto di milite, ma non mi dissimulo, e son lungi dal disconoscere i vizi del sistema parlamentare: vizi del resto che, chi bene osservi, sono il riflesso della società in cui viviamo, e si rivelano perfino nelle società operaie e nelle organizzazioni di qualunque genere. Ora del parlamentarismo si ha ragione di dire tutto il male possibile; ma questo non si può negare, che esso val meglio del governo assoluto. In un governo parlamentare qualche volta il pubblico ha ragione; qualche concessione di quando in quando l'ottiene; non foss'altro si ha la soddisfazione di rendere palesi certe turpitudini e prepotenze del potere pubblico e di metterlo alla gogna. Giorni sono uno dei più noti e colti anarchici italiani mi diceva, a proposito della violenza fattaci a Siena, di obbligarci a discutere una causa per "detenzione di stampati sovversivi" a porte chiuse: - Fa fare un'interpellanza al Parlamento. - Io gli feci osservare l'incoerenza di questo suo desiderio colla sua professione di fede antiparlamentare, ed egli mi rispose confessandomi che non era poi assolutamente contrario al parlamentarismo. Dai domicili coatti giungono tutti i giorni lettere di compagni, che denunziano gli abusi di cui son vittime e sarebbero felicissimi se almeno i loro lamenti avessero una eco nel Parlamento. Insomma a me pare che, a meno di negare l'evidenza, non si possa negare che il Parlamento, se può essere ed è spesso adoperato dal governo contro il popolo, può anche essere adoperato dal popolo contro il governo. Combatterlo a priori, coi soliti luoghi comuni - che non serve a nulla, che è corrotto, che fa la volontà del governo - mi pare un errore madornale e una grave imprudenza. Domandare che sia abolito puramente e semplicemente è addirittura una follia, e significa fare il gioco della reazione. Il governo si prevale appunto del discredito in cui è caduto il Parlamento, e della propaganda che noi facciamo contro di esso, per imporvisi. Crispi non avrebbe trattato con tanta disinvoltura il Parlamento se non avesse avuto dietro di sè una parte notevole del popolo, che quasi lo incitava nella dittatura. La dittatura di Crispi ha fruttato all'Italia Abba Garima e le leggi eccezionali del 1894. Il Parlamento è, ad ogni modo, per cattivo che sia, un freno al governo. I maggiori arbitrii il governo li commette a Camera chiusa. Bisognerebbe domandare che il Parlamento non fosse mai chiuso, o che almeno fosse facoltà di un certo numero di deputati di convocarlo direttamente di urgenza, che esso si rinnovasse più spesso, che gli elettori potessero licenziare il deputato fedifrago, che su certe questioni essi fossero chiamati a deliberare direttamente ecc. ecc.. Insomma bisogna correggere i vizi del sistema ma non privarsi dei suoi vantaggi. Il sistema parlamentare è cattivo, perché è poco parlamentare, poco rappresentativo, perché in esso sopravvive ancora troppo del vecchio regime. Il deputato è un despota in faccia ai suoi elettori: il governo è un despota verso i deputati. Bisogna invertire le parti, rendere al popolo le libertà che gli sono state tolte recentemente e aggiungerne altre. Bisogna perfezionare il sistema, non distruggerlo. E badiamo specialmente in questo quarto d'ora di non lasciarci stordire dalle grida che si levano contro il parlamentarismo dalla parte più conservatrice e più reazionaria del paese. Io sono stato anti-parlamentare quando la "gente per bene" andava in visibilio per il sistema parlamentare. Oggi che essa mostra di volerlo abbandonare per tornare indietro io mi sento portato a difenderlo.

MALATESTA, LO SPETTRO DELLA REAZIONE

Lunga risposta di Malatesta sull'Agitazione dell'11 novembre 1897.

Merlino ci tiene a far ammenda degli “errori” passati, sorgendo ogni giorno a difesa del Parlamentarismo. Questa volta egli ci agita innanzi lo spettro della reazione. I clericali, i borbonici, i partigiani del colpo di Stato, egli dice, combattono le istituzioni parlamentari per ritornare all'assolutismo: dunque uniamoci per difendere quelle istituzioni che, per quanto cattive, valgon sempre meglio dei governi assoluti. L'argomento non è nuovo. Per la paura di Crispi, Cavallotti ed i democratici della sua risma appoggiarono Di Rudinì, e non è ben chiaro se non lo appoggiano ancora: per la paura dei clericali tanti “liberali” avevano difeso il Crispi... Ma giusto, perché non ci mettiamo a difendere la monarchia sabauda, che i preti vogliono abbattere o per lo meno scacciare da Roma? Della Monarchia, diremo parafrasando Merlino, si ha ragione di dire tutto il male possibile: ma questo è certo che essa val meglio del governo dei preti. Con questa logica si può andare lontano; poiché non v'è istituzione reazionaria, nociva, assurda, che non trovi chi la combatte allo scopo di sostituirvene un'altra peggiore. Quindi bisognerebbe che non vi fossero nè anarchici, nè socialisti, nè repubblicani (salvo nei paesi dove esiste la repubblica), e diventassimo tutti conservatori... per salvarci del pericolo di tornare indietro. Oppure, bisognerebbe che i repubblicani difendessero la monarchia costituzionale per tema di veder tornare l'Austria ed il Papa-re; che i socialisti difendessero la borghesia per garantirsi contro un ritorno al medio evo; che gli anarchici facessero l'apologia del governo parlamentare per paura dell'assolutismo. O che cuccagna per quelli che detengono il potere politico e l'economico! Ma noi siam troppo abituati a queste insidie per restarvi presi. Quando sorse l'Intemazionale, vale a dire quando il socialismo incominciò a diventare partito popolare e militante, i “liberali” ed i repubblicani gridarono che si facevano gl'interessi dell'Impero, di Bismark o di altre monarchie; quando in Inghilterra gli operai incominciarono a costituirsi in partito indipendente, i “liberali” dissero che essi erano pagati dai conservatori - e così sempre, quando un'idea più avanzata è venuta a guastar le uova nel paniere a coloro che stanno al potere, o ne sono gli eredi presuntivi. Oggi ancora, quando i socialisti legalitari votano per uno dei loro e gli anarchici predicano l'astensione elettorale, i democratici ed i repubblicani soglion dire che si favorisce indirettamente il candidato governativo: il che può realmente essere qualche volta l'effetto immediato dell'intransigenza (?) elettorale degli uni e dell'astensionismo degli altri, ma non è ragione sufficiente per rinunziare alla propaganda delle proprie idee ed all'avvenire del proprio partito. I reazionari profittano della corruzione e dell'impotenza parlamentare per risollevare la bandiera del clericalismo e dell'assolutismo: è vero. Ma vorrebbe per questo il Merlino che ci mettessimo a tentare quest'opera, tanto impossibile quanto contraria alle nostre convinzioni ed ai nostri interessi di partito, di salvare il parlamento dal disprezzo e dall'odio popolare? Allora sì che il popolo, vedendo che il parlamento non ha altri nemici che i reazionari, si getterebbe tutto intero nelle loro braccia. Se Boulanger in Francia potè divenire un pericolo serio, fu perché gli anarchici erano pochi, e la massa dei socialisti, essendo parlamentaristi, partecipavano nel discredito in cui il parlamentarismo è giustamente caduto. La nostra missione invece è quella di mostrare al popolo che, poiché il governo parlamentare, così malefico com'è, è pur tuttavia la meno cattiva delle forme possibili di governo, IL RIMEDIO NON STA NEL CAMBIAR DI GOVERNO, MA NELL'ABOLIRE IL GOVERNO. Del resto, il miglior mezzo di salvarsi dal pericolo di un ritorno al passato è, ed è stato ognora, quello di rendere l'avvenire sempre più minaccioso per i conservatori e pei reazionari. Se in Italia non vi fossero repubblicani, socialisti ed anarchici, un colpo di stato avrebbe già spazzato via questo servitorame di deputati, per quanto piccolo sia l'incomodo che dà ai ministri; ed i clericali sarebbero ben altrimenti audaci se l'esistenza dei partiti avanzati non facesse temer loro che un'ondata popolare spazzerebbe via, con le altre cose, anche tutta la melma vaticanesca. Non esisterebbero monarchie costituzionali, se i re non avessero avuto paura della repubblica; in Francia non vi sarebbe la repubblica, se la Comune di Parigi non avesse dato da pensare ai partigiani della restaurazione; e se mai in Italia si farà la repubblica sarà quando la minaccia crescente del socialismo e dell'anarchismo indurrà la borghesia a tentare quell'ultimo mezzo per illudere e frenare il popolo. Ma tutto il detto è forse inutile per Merlino. Il “pericolo” reazionario è per lui semplicemente un'occasione ed un pretesto per difendere il parlamentarismo, non come un meno peggio, ma come un'istituzione necessaria della società. Egli conchiude infatti che “il sistema parlamentare è cattivo perché è poco parlamentare... e che bisogna perfezionare il sistema, non distruggerlo”. Questo ci porterebbe a far la critica del sistema parlamentare in sè e a dimostrare che i cattivi effetti che produce non dipendono da abusi ed errori accidentali, ma dalla natura stessa del sistema. Ma Merlino si contenta di affermare senza addurre ragioni, e a noi lo spazio non consente questa volta di tornare sulla questione, che abbiamo già replicatamente trattata. Merlino, oltre il surriferito “pericolo” ha un altro argomento in favore del parlamentarismo, e questo è ad homines, cioè diretto specialmente agli anarchici come individui. I compagni, egli dice, coatti od altri denunziano gli abusi di cui sono vittime e sarebbero felicissimi se i loro lamenti trovassero almeno un'eco nel Parlamento; e gli pare che questa sia un'incoerenza con la loro professione di fede anti-parlamentare. Ebbene, questo, quando avviene, potrebbe tutto al più dimostrare che gli uomini quando soffrono o sono sollecitati da un bisogno od una passione, van soggetti ad anteporre l'interesse immediato al vantaggio generale della causa, ed a commettere delle incoerenze. E di questo genere d'incoerenze Merlino ne troverebbe quante ne vuole, in noi, in lui stesso ed in tutti quelli che hanno aspirazioni ed ideali in contraddizione con l'ambiente in cui sono costretti a vivere. Noi non crediamo nella “giustizia” dei giudici e combattiamo l'ordinamento giudiziario nel suo principio e nelle sue forme; eppure quando ci mettono in prigione ci difendiamo, ci appelliamo e ci avvaliamo di tutti gli arzigogoli di procedura se ci giovano a venire fuori. Non ammettiamo le leggi, e quando una legge è violata a nostro danno, gridiamo all'abuso. Vogliamo illimitata libertà di stampa, e mandiamo i nostri giornali in Procura e spesso studiamo la frase per sfuggire agli artigli del Fisco. Non ammettiamo il salariato e lavoriamo per salario. Non ammettiamo la proprietà privata, e siamo contenti quando abbiamo qualche cosa; non ammettiamo la concorrenza commerciale, e dibattiamo il prezzo delle cose che compriamo o vendiamo... e potremmo continuare all'infinito. Ma è poi vero che questa contraddizione tra l'ideale ed il fatto sia effetto di incoerenza e debolezza di carattere? Merlino non crederà, speriamo (che diavolo, è tanto poco che ci ha lasciati!) che noi siamo dei rivoluzionari mistici, a modo di quei settatori russi, i quali, convinti che il bollo sia la firma del diavolo, siccome in Russia non si può vivere e muoversi senza avere in tasca un passaporto col relativo bollo, piuttosto che toccare il diabolico documento, si rifugiano nelle foreste e si condannano volontariamente ad una schiavitù peggiore di quella che loro imporrebbe il governo. Ogni istituzione, per quanto cattiva, contiene in sè un certo lato buono, un certo correttivo, che limita i suoi mali effetti; e noi ci renderemmo la vita impossibile e faremmo gl'interessi dei nostri nemici se, costretti a subire tutto il male delle istituzioni, non cercassimo di profittare di quel po'di bene relativo che se ne può cavare. Ma non per questo possiamo ritenerci impegnati a difendere quelle istituzioni ed a cessare di fare tutto il possibile per discreditarle ed abbatterle. La società, per esempio, colla sua mala organizzazione crea i malfattori, ed il governo c'impedisce di portar armi o provvedere altrimenti alla nostra difesa. Se ci accade quindi essere aggrediti la notte e di non poterci difendere saremo naturalmente contenti se due carabinieri sopraggiungono a liberarci e non diremo loro, come la moglie di Sganarello, che noi siam contenti di essere aggrediti. Ma non per questo diventeremo amici dei carabinieri e faremo pratiche per entrare nell'arma benemerita. Le autorità municipali hanno monopolizzato i servizi pubblici e colla scusa di questi servizi ci opprimono di tasse. Noi non possiamo pagar le tasse e poi essere indifferenti a quello che fa il municipio, aspettando il giorno in cui il popolo potrà badare da sè ai suoi interessi; e perciò gridiamo e cerchiamo di provocare l'indignazione popolare quando esso municipio per stupida impreveggenza e sordida spilorceria lascia inondare Ancona e tiene una biblioteca in condizioni tali che non serve a nessuno. Così è del Parlamento. Esso si è preso il diritto di far le leggi, e noi, che delle leggi siamo le vittime, dobbiamo per forza contar con esso se vogliamo che queste leggi, finchè legge vi sarà, siano il meno oppressive possibile. Ma siccome noi non crediamo nella buona volontà dei deputati e siccome aspiriamo all'abolizione del Parlamento, come di ogni altro governo, noi non ci proponiamo di nominare dei “buoni” deputati, ma di agire su quelli che vi sono, quali essi siano, agitando il popolo e facendo loro paura. E quando manchi una efficace agitazione popolare, noi faremo anche pressione sui singoli deputati perché rinfaccino al governo i suoi abusi, ma lo faremo perché, o essi si presteranno ai nostri desideri, e sarà fatta chiara la loro impotenza, o non vi si presteranno e si vedrà la loro malavoglia. Si rassicuri Merlino, se tant'è che la nostra incoerenza lo affligge. Noi ci rallegriamo se qualche deputato rinfaccia ai ministri la loro infamia; ma non cessiamo perciò di considerare il Parlamento responsabile di ciò che fa il governo, poiché se esso volesse, il ministero dovrebbe ubbidire; nè cessiamo di tenere ciascun deputato in quella mala stima che merita chiunque profitta dell'ignoranza e della pecoraggine degli elettori per farsi delegare un potere, che non può non risultare a danno del popolo.

MERLINO, TRA DUE FUOCHI

Insiste il Merlino con un articolo pubblicato da l'Avanti! il 24 novembre 1897 dal titolo: “Tra due fuochi”.

Ad un mio articolo: Il pericolo, inserito nell'Italia del 5 novembre - ha risposto da una parte Luigi Minuti (Italia del Popolo, 11 novembre) dall'altra il mio amico Malatesta (Agitazione di Ancona, n. 35). Non so resistere alla tentazione di far gustare al lettore il confronto, che è molto istruttivo, di queste due risposte. Il fatto da me messo in rilievo nell'articolo Il pericolo è che la crociata contro il parlamentarismo, che un tempo facevano gli anarchici e qualche volta anche i socialisti, oggi la fanno i Seghele, i Cesana e altre persone rispettabilissime, ma che per rimedio al mali del parlamentarismo propongono di mutilare il parlamentarismo, di tornare indietro. Non vorrei, dicevo io, che la gente abboccasse all'amo e che, perduta ogni fiducia nel sistema parlamentare, si riconciliasse col despotismo. Un Boulanger non è possibile in Italia. Al colpo di stato io non ci credo. Ma di fatto il governo, avendo gettato il discredito sul Parlamento, fa il comodo suo; e il paese quasi gli batte le mani, come le battè (come tutti ricordano) al Crispi. Questo il fatto, che il Malatesta riconosce per vero e il Minuti non smentisce. Dinanzi a questo fatto il repubblicano intransigente dice: Può darsi che la gente diventi repubblicana. L'anarchico-astensionista dice: Può darsi che diventino tutti anarchici. Ed entrambi si fregano le mani dalla contentezza. E se la gente diventasse partigiana del governo assoluto? O se divenisse ogni giorno più indifferente alla propria libertà (je m'en foutise, dicono i francesi con una parola intraducibile) e incapace ad esercitarle? Qui sta la questione. I miei contraddittori avrebbero dovuto esaminare il fatto da me rilevato e dimostrare che la propaganda reazionaria che si va facendo contro il sistema parlamentare, non costituisce un pericolo, perché il popolo è pronto a fare la repubblica o l'anarchia. Il Minuti ragiona così: Il popolo è disgustato del sistema parlamentare. Facciamo la repubblica. Bravo, e come farla se il popolo non si cura neppure di quella poca libertà che potrebbe avere m monarchia? È proprio il caso di ricordare il detto di Maria Antonietta: Manca il pane: distribuite delle brioches. Ma non sa il Minuti che con un po'd'energia questo popolo potrebbe ottenere in monarchia almeno nove decimi delle libertà che gli prometterebbe - e che non sa se gliele darebbe poi - la repubblica? Che un popolo risoluto, attivo, esperto nelle pubbliche agitazioni imporrebbe oggi al governo l'abolizione completa del domicilio coatto, il rispetto dei diritti di riunione e di associazione, il diritto di sciopero e molte altre cose? Il Parlamento non è già che possa funzionare bene nel sistema attuale; purtroppo io credo che non possa neppure funzionare bene in una repubblica capitalistica, vale a dire dove ci fossero poveri e ricchi. Ma il principio della sovranità del popolo, del diritto del popolo ad avere una volontà e a farla valere, lo si può e deve affermare fin d'ora, in tutti i modi, senza aspettare la proclamazione della repubblica. Errico Malatesta fa un ragionamento analogo a quello del Minuti. Il popolo si mostra indifferente al governo parlamentare, non si vale dei diritti che ha e potrebbe far valere verso il governo. Dunque, propugnamo l'abolizione del governo. Ecco testualmente le sue parole: “I reazionari profittano della corruzione e dell'impotenza parlamentare per risollevare la bandiera del clericalismo e dell'assolutismo: è vero. Ma vorrebbe per questo il Merlino che ci mettessimo a tentare quest'opera tanto impossibile quanto contraria alle nostre condizioni e ai nostri interessi di partito, di salvare il Parlamento dal disprezzo e dall'odio popolare? Allora sì che il popolo, vedendo che il Parlamento non ha altri nemici che i reazionari, si getterebbe tutt'intero nelle loro braccia. Se Boulanger in Francia potè divenire un pericolo serio, fu perché gli anarchici erano pochi, e la massa dei socialisti, essendo parlamentaristi, partecipavano del discredito in cui il parlamentarismo è giustamente caduto”. La verità è che parecchi anarchici passarono a militare nelle file dei boulangisti, appunto perché fuorviati dalla propaganda contro il sistema parlamentare, propaganda puramente negativa. Abolire il Parlamento, abolire il governo, e poi? E poi ognuno farà quel che vuole, e si vivrà nel migliore dei mondi possibili. “La nostra missione (degli anarchici) è quella di mostrare al popolo che, poiché il governo parlamentare, così malefico com'è, è pur tuttavia la meno cattiva delle forme possibili di governo, il rimedio non sta nel cambiar il governo, ma nell'abolire il governo”. Questo lo dite voi: ma il popolo crede che il governo di uno solo val meglio del governo di pochi, e non concepisce affatto (di questo potete star sicuri) uno stato di cose senza governo di sorta. Il popolo non è convinto che il sistema parlamentare sia la meno cattiva delle forme possibili di governo, e se non ci fosse altro argomento per farlo dubitare di ciò che voi dite, ci sarebbe la propaganda repubblicana, la quale gli suggerisce, a dire del Minuti, “un concetto di governo ove il Parlamento avrà la sua ragione di essere nel suffragio popolare, e la sua esplicazione in un'assemblea legittima, rappresentante della sovranità popolare”. Un uomo o un partito può trincerarsi dietro una frase: “Abolizione del governo”. Ma il popolo vuole sapere come si farà a vivere, a intendersi nelle cose d'interesse comune. Abolito che sia il Municipio (che è un piccolo governo), chi penserà alle strade, all'illuminazione, all'arginatura di un fiume come il Tevere e a tante altre cose d'interesse comune? Vi penseranno tutti? Ciascuno a modo suo? O non vi penserà nessuno? O si incaricheranno alcuni di provvedere a questi pubblici servizi nel pubblico interesse? E saranno questi incaricati arbitri di agire a loro posta, o saranno sottoposti al volere della popolazione? E la popolazione avrà un volere unico, o possono sorgere fra essa pareri diversi? E in questo caso si dovrà scegliere fra l'uno e l'altro? E come? Si riunirà il popolo in massa per deliberare su ciascuna questione che si presenti? Ovvero si riuniranno soltanto i rappresentanti o delegati dei vari gruppi? Malatesta non è anarchico individualista o amorfista. Egli ammette la necessità della rappresentanza e del voto di maggioranza in talune cose d'interesse comune indivisibile. Ora che cosa è questo se non il sistema parlamentare corretto e migliorato, non già abolito? Io ho un dubbio: che tutta questa guerra che si muove al parlamentarismo, sia fatta alla parola. In questo caso essa sarebbe lecita, se non fosse pericolosa. Cominciamo dal dire al popolo che si faccia vivo, che si serva dei diritti che ha (come del resto fa la Agitazione, meno non so perché, per il diritto elettorale), che ne domandi altri, che lotti, che cominci... per finire dove e come meglio si potrà.

MALATESTA, ANCORA DEL PARLAMENTARISMO

Risposta del Malatesta: l'Agitazione del 2 dicembre 1897 pubblica un articolo dal titolo: “Ancora del parlamentarismo”.

Saverio Merlino ha replicato sull'Avanti! all'articolo che pubblicò l'Agitazione n. 35 in risposta alla difesa ch'egli fece del parlamentarismo sull'Italia del Popolo. L'articolo dell'Agitazione non era firmato, ma Merlino, ben apponendosi, lo attribuisce a me, e ciò m'induce a rispondergli in nome mio, quantunque su questa questione siamo tutti concordi, non solo noi della redazione, ma tutti quegli anarchici che si vanno costituendo in partito organizzato, e sperano di poter mostrare coi fatti come si può sostituire una feconda ed educatrice azione popolare all'azione parlamentare, che, a parer nostro, abitua il popolo ad aspettare dall'alto la propria emancipazione, e lo prepara così alla schiavitù. Merlino, ricordando ch'io convengo nell'esistenza del pericolo clericale e reazionario, dice che io rispondo che può darsi che la gente diventi anarchica. Niente affatto: io dico che il rimedio contro quel pericolo sta nel suscitare nel popolo il sentimento della ribellione e della resistenza, nell'ispirargli la coscienza dei suoi diritti e della sua forza, nell'abituarlo a fare da sè, a pretendere, a conquistare colla forza sua quanta più libertà, quanto più benessere è possibile - e non già nel rifare una verginità al sistema parlamentare, che poi ripercorrerebbe ancora la stessa parabola di decadenza che ha già percorsa una volta. E perciò bisogna lavorare a che la gente diventi anarchica, o almeno che il numero e la potenza d'azione degli anarchici aumentino, ed i sentimenti e le idee del pubblico si accostino quanto più è possibile ai sentimenti ed alle idee degli anarchici. E ancora: Merlino dice che il popolo non è convinto che bisogna abolire il governo. E chi pretende il contrario? Se il popolo ne fosse convinto, l'anarchia sarebbe un fatto. Ma noi che ne siamo convinti, abbiamo interesse e dovere di cercare di convincerne anche gli altri. Il popolo non è convinto, per esempio che il cattolicismo è un ammasso di superstizioni, che i preti ed i borghesi lo sostengono perché ottimo strumento di regno; il popolo non è convinto che si può fare a meno dei padroni; ma non per questo Merlino ci consiglierebbe di metterci a predicare, anziché la distruzione, la riforma del cattolicismo e del capitalismo. A parte quest'errore d'interpretazione, col quale mi si fa dare come un fatto quello che io dico che si deve fare, Merlino non risponde agli argomenti del mio articolo, ed io non ho che da rimandare i lettori a quell'articolo. E invece egli insiste sulla necessità di una forma di governo e di parlamento, perché la società possa vivere e funzionare. “Abolito il municipio, che è un piccolo governo”, egli dice, “chi penserà alle strade, all'illuminazione, all'arginatura dei fiumi ed a tante altre opere d'interesse comune?”. “Vi penseranno tutti? Ciascuno a modo suo? O non vi penserà nessuno? O s'incaricheranno alcuni di provvedere a questi pubblici servizi nel pubblico interesse? E saranno questi incaricati arbitri di agire a loro modo o saranno sottoposti al volere della popolazione? E la popolazione avrà un volere unico o possono sorgere fra essa pareri diversi? Ed in questo caso si dovrà scegliere tra l'uno e l'altro? E come? Si riunirà il popolo in massa per deliberare su ciascuna questione che si presenti? Ovvero si riuniranno soltanto i rappresentanti o delegati di vari gruppi?”. Ecco: io credo che gl'incaricati dei pubblici servizi saranno le associazioni di coloro che lavorano in ciascun servizio; che queste associazioni dovranno badare nello stesso tempo al benessere dei loro membri ed al comodo del pubblico, e che saranno impossibilitate a prevaricare dal controllo dell'opinione pubblica, dai legami di dipendenza reciproca colle altre associazioni e dal diritto di tutti ad entrare nelle singole associazioni ed usare dei mezzi di produzione che esse adoperano. Credo che non vi sarà divisione fissa tra chi dirige e chi esegue, e che la direzione del lavoro spetterà di diritto e di fatto ai lavoratori, i quali per ciascun lavoro si organizzeranno e si divideranno le funzioni nel modo che stimano migliore. Credo che dove v'è bisogno di delegare degl'individui per una data funzione, si darà loro un mandato determinato, limitato, soggetto sempre al controllo ed all'approvazione del pubblico, e sopratutto che non si darà mai loro una forza per obbligare la gente, e per compiere il loro mandato contro la volontà di una frazione qualsiasi del pubblico: il diritto di adoperare la violenza, quando se ne presentasse la dura necessità, dovendo restare sempre a tutto il popolo e non mai esser delegato. Credo che quando sopra una cosa da fare si hanno pareri diversi, se è possibile e conveniente si farà in modi diversi, e se ciò non è possibile o non è conveniente, si farà come vuole la maggioranza, salvo tutte le garanzie possibili in favore della minoranza - garanzie che si darebbero sul serio, perché, non avendo la maggioranza nè il diritto nè la forza di costringere la minoranza all'ubbidienza, bisognerà bene che guadagni la sua acquiescenza a mezzo di condiscendenze e prove di buona volontà... E poi credo, anzi son sicuro, che io non ho nè la capacità nè la missione di fare il profeta. Io voglio combattere perché il popolo si metta in condizione di fare come vuole: ed ho fiducia ch'esso, pur facendo mille spropositi e dovendo spesso ritornare sui suoi passi, e sperimentando contemporaneamente e successivamente mille forme diverse, preferirà sempre quelle soluzioni che l'esperienza gli mostrerà più facili e più vantaggiose. Merlino dubita che in fondo si tratti di una questione di parole. Egli si sarebbe accostato più alla verità (forse gliel'ho avvertito altre volte) se avesse detto che è una questione di metodo. Quali saranno le forme sociali, dell'avvenire nessuno può precisare - e facilmente ci troveremmo d'accordo sui concetti generali che dovranno guidare una società di liberi e di eguali... dopo che essa sarà costituita. La questione è del modo come si può arrivare a costituirla. Gli autoritari vogliono imporre dall'alto, per mezzo di leggi, quello che essi credono bene. Gli anarchici invece vogliono, colla propaganda distruggere il principio d'autorità nelle coscienze, e colla rivoluzione distruggere ogni forza organizzata che possa costringere gli uomini ad agire contrariamente alla loro volontà. A proposito, vorrà Merlino rispondere ad una domanda alla quale nessun socialista democratico ha voluto darmi una risposta esplicita? Io vorrei sapere, se, nell'opinione sua, quel tale governo o parlamento che egli crede necessario alla vita sociale, dovrà avere a sua disposizione una forza armata. Nel caso che no, allora davvero che la differenza fra noi sarebbe poca cosa, poiché io sopporterei di buona grazia un governo... che non potrebbe obbligarmi a nulla. Merlino non sa comprendere perché l'Agitazione, che dice al popolo di farsi vivo e di servirsi dei diritti che ha, fa un'eccezione per il diritto elettorale. Noi ne abbiamo spiegato le ragioni varie volte. Il “diritto” elettorale è il diritto di rinunziare ai propri diritti, e quindi è contrario allo scopo di noi, che vogliamo che il popolo s'abitui a combattere ed a vincere direttamente, colle proprie forze. È stato detto che il diritto elettorale è il diritto di scegliersi il proprio padrone. In realtà non è nemmeno questo: ma è il diritto di concorrere per una parte minima alla nomina di una particella del proprio padrone, e di dirsi poi e credersi sovrano. Noi che vogliamo che il popolo sia sovrano davvero, abbiamo ogni interesse ad impedire ch'esso prenda sul serio una sovranità da burla e s'acqueti in essa.

MERLINO, USO ED ABUSO DELLA FORZA

Controbatte il Merlino con una lettera che l'Agitazione pubblica il 16 dicembre 1897.

Roma, 5 Dicembre.

Cari amici,

Mi dispiace di usurpare il vostro spazio, ma devo rispondere alla domanda che mi rivolge E. Malatesta: “A proposito, vorrà M. rispondere ad una dimanda, alla quale nessun socialista-democratico ha voluto darmi una risposta esplicita? Io vorrei sapere se, nell'opinione sua, quel tale governo o parlamento che egli crede necessario alla vita sociale, dovrà avere a sua disposizione una forza armata”. Risponderò come rispose a me altra volta Malatesta. Se la gente sarà abbastanza ragionevole, non sarà necessario usar la forza, se no, ci si ricorrerà. Beninteso l'uso della forza dovrà esser riservato ai casi estremi e non dovrà essere ad arbitrio di un Governo o di un Parlamento di adoperarla contro i cittadini recalcitranti ad un dato provvedimento, anzi non dovrà essere adoperata contro i cittadini, come son oggi l'esercito e la polizia, ma solamente i cittadini stessi potranno essere chiamati in casi straordinari, come già usa in Inghilterra e negli Stati Uniti. Insomma bisogna regolare l'uso della forza, limitarne i casi, toglierlo all'arbitrio di un'amministrazione o autorità centrale qualsiasi: ma non si può escludere a priori la necessità che la collettività adoperi la forza contro l'individuo o contro la minoranza, nei casi in cui vi sia veramente conflitto di volontà e d'interessi e la secessione non sia possibile e non riesca un compromesso. Cioè, si può a parole promettere l'Arcadia, l'Eldorado e la pace perpetua, ma si manterrebbe poi la promessa? Ecco come io rispondo a Malatesta, e a mia volta gli faccio una domanda: Gl'individui useranno mai la forza l'uno contro l'altro? Se altri mi dà uno schiaffo, devo reagire o presentargli l'altra guancia? La risposta sua, la prevedo, è che devo reagire. E se sono debole? Accorrerà la gente a difendermi. E come farà la gente accorrendo, durante una rissa, a sapere da quale parte sta la ragione, per mettersi da quella? Ci sarà probabilmente chi piglia parte per l'uno, chi per l'altro dei contendenti. Quindi il popolo dev'essere tutto in armi a ogni disputa, che si accende tra due individui, e si dividerà in fazioni, proprio come ai tempi dei Cerchi e dei Donati, dei Bianchi e dei Neri. Io ho detto e ripeto che questo modo d'intendere l'Anarchia può esser passato per un momento per la mente di qualcuno, ma non è sostenibile: e più presto lo correggiamo, meglio è. Malatesta dice che non fa il mestiere del profeta. Così dicono anche i socialisti democratici, quando si tenta di dimostrare loro gl'inconvenienti del Collettivismo. Dunque demoliamo, e non ci curiamo d'altro. Ma si può demolire, senza sapere che cosa realmente si deve demolire, e perché? Si può andar innanzi alla cieca? No - tanto vero, che Malatesta ha le sue idee. Egli sa o crede che “incaricate dei pubblici servizi saranno le Associazioni di coloro che lavorano in ciascun servizio; le quali dovranno badare nello stesso tempo al benessere dei loro membri e al comodo del pubblico”. Dovranno - perché lo dite voi? Ma voi che spesso notate, e giustamente, che l'Amministrazione collettivistica sarebbe portata ad abusare della sua autorità, e non potrebbe restar democratica, voi dovete anche sapere che un'Associazione incaricata di un pubblico servizio baderebbe prima al proprio interesse e al comodo dei suoi membri, e poi, se mai, a quello del pubblico. Le vostre Associazioni diverrebbero altrettanti corpi burocratici; e come mai potete voi credere che sarebbero nientemeno “impossibilitate a prevaricare dal controllo dell'opinione pubblica”? Come si eserciterebbe questo controllo? Quali forme assumerebbe? Quella forse di un'insurrezione popolare contro ogni Amministrazione che non obbedisse al volere del pubblico? Mettiamo che l'Associazione ferroviaria si rifiutasse di far correre un direttissimo tra Roma e Ancona: sarebbe chiamata a dovere dal popolo tumultuante? E se l'opinione pubblica fosse divisa? Se tutte le località percorse dal treno ne domandassero la fermata? Se l'Associazione fomentasse ad arte la discordia? Ci sarebbero, aggiunge Malatesta “i legami di dipendenza reciproca tra le Associazioni”. Quali legami? E di che specie? Patti, obbligazioni, deliberazioni collettive, Comitati federali, Congressi? Che vi abbia ad essere un Parlamento? E da ultimo ci sarebbe “il diritto di tutti ad entrare nelle singole Associazioni ed usare dei mezzi di produzione, che esse adoperano”. Questo poi renderebbe impossibile alle Associazioni di funzionare un'ora sola. Immaginiamo un cantiere, dove si sta fabbricando una nave, invaso da gente che vuol metter le mani dappertutto e sostituirsi a quelli che lavorano - per essere, forse l'indomani lasciato deserto. Figuriamoci una farmacia in cui si presentano a lavorare dei dilettanti farmacisti - e via discorrendo. A me pare che noi dobbiamo intenderci sugli elementi del Socialismo - prima ancora di discutere dei metodi.

MALATESTA, PROBLEMI DI OGGI E DI DOMANI

Replica del Malatesta sull'Agitazione del 23 dicembre 1897 con un articolo dal titolo: “Anarchia... contro che cosa?”.

Io so che Merlino, esempio raro tra i polemisti e gli uomini di parte, non mira nelle discussioni a mettere nell'imbarazzo l'avversario con artifici retorici, ma si sforza di portar luce sulla materia in questione; so ch'egli si propone sempre di cercare la verità e di propagare quello ch'egli è giunto a creder vero - e perciò sono stato molto meravigliato dell'ultimo articolo che ci ha inviato, nel quale, mentre si propone di rispondere ad una domanda da me fatta nella speranza reale di apprendere meglio quali sono le sue idee, egli gira attorno alla questione, cerca d'impressionare il lettore con una certa apparenza di spirito pratico e... mi lascia più perplesso di prima. Io domandavo se, a senso suo, quel qualsiasi governo, o parlamento ch'egli crede necessario al buon andamento della società dovrà avere a sua disposizione una forza armata. E Merlino mi risponde che “l'uso della forza dovrà essere riservato ai casi estremi e non dovrà essere ad arbitrio di un Governo o di un Parlamento di adoperarla contro i Cittadini ricalcitranti ad un dato provvedimento”. Io non ci capisco nulla. Se il Governo non ha il diritto di costringere i cittadini ad ubbidire alle leggi, allora non è più un governo, nel senso comune della parola e noi non avremmo più a domandarne l'abolizione: ci basterebbe di fare a modo nostro quando quello che esso vuole non ci conviene. Non vi deve essere una forza armata permanente, dice Merlino, ma i cittadini stessi potranno esser chiamati in casi straordinari, come già si usa in Inghilterra e negli Stati Uniti. Ma chiamati da chi? Dal Governo? E saranno obbligati ad accorrere alla chiamata? In Inghilterra e negli Stati Uniti vi è una polizia; e le milizie che il governo chiama in casi straordinari servono, salvo che non si ribellino, agli scopi del governo, tra cui è sempre primo quello di tenere a freno ed all'occasione di massacrare il popolo. E quello il regime politico che vagheggia Merlino? Ma l'uso della forza va regolato e tolto all'arbitrio di un'amministrazione centrale qualsiasi, dice Merlino. Che si tratti dunque di uno Statuto che dovrà fissare i diritti rispettivi del Cittadino e quelli del Governo e che sarà rispettato... come lo sono sempre stati gli Statuti! Noi vogliamo che tutti i cittadini abbiano diritto uguale di essere armati e di correre alle armi quando se ne presenti la necessità, senza che nessuno possa costringerli a marciare o a non marciare. Vogliamo che la difesa sociale, interesse di tutti, sia affidata a tutti, senza che nessuno faccia il mestiere di difensore dell'ordine pubblico e viva di esso. Ma, dice Merlino, se io sono attaccato da uno più forte di me, come farò a difendermi? Accorrerà la gente ad aiutarmi? E accorrendo, come farà a giudicare da che parte sta la ragione? E siccome probabilmente si produrranno opinioni diverse, si avrà dunque per ogni disputa una guerra civile? E i carabinieri, rispondo io, sono sempre presenti per difendere chi è attaccato? Ed è sicuro ch'essi non si mettano mai dalla parte di chi ha torto? E il giudizio dei magistrati offre forse più garanzie di giustizia di quello della folla? E la tirannia è forse preferibile alla guerra civile? Merlino ragiona come fanno i conservatori. Egli mette innanzi tutti gl'inconvenienti, tutti i conflitti possibili nella vita sociale, e se ne serve per dire impossibili ed assurdi gl'ideali nostri - dimenticando però di dirci come a quegli inconvenienti ed a quei conflitti si ripara nel sistema suo. Merlino teme la guerra civile; ma che cosa è un regime autoritario se non uno stato di guerra, in cui una delle parti è stata vinta e si trova soggetta? Merlino dirà che egli è libertario e non già autoritario; ma se qualcuno, individuo o collettività, minoranza o maggioranza può imporre agli altri la propria volontà, la libertà è una menzogna, o non esiste se non per chi dispone della forza. Io non ho mai detto che l'Anarchia, specie nei primi tempi sarà l'Arcadia o l'Eldorado. Vi saranno purtroppo guai e difficoltà inerenti all'imperfezione ed al disaccordo degli uomini; ma se v'è probabilità che i mali siano minori che in qualsiasi regime autoritario, ciò mi basta per essere anarchico. Il benessere e la libertà di tutti, l'abolizione della tirannia e della schiavitù non si possono avere se non quando gli uomini si sforzino di armonizzare i loro interessi e si pieghino volontariamente alle necessità sociali. Ed io credo che, abolita la proprietà individuale ed il governo, distrutta cioè la possibilità di sfruttare ed opprimere gli altri sotto l'egida delle leggi e della forza sociale, gli uomini avranno interesse, e quindi volontà, di accordarsi e risolvere i possibili conflitti pacificamente, senza ricorrere alla forza. Se ciò non fosse, evidentemente l'anarchia sarebbe impossibile; ma sarebbero anche impossibili la pace e la libertà. Merlino non è persuaso quando gli dico che contro il volere degli uomini l'anarchia non si fa. Ma sa egli concepire un regime che si regga senza e contro la volontà degli uomini, o almeno di coloro tra gli uomini che pensano e vogliono? E conosce egli un regime che valga più di quel che valgono gli uomini che lo accettano? Tutto dipende dalla volontà degli uomini. Cerchiamo dunque di educarli a volere la libertà e la giustizia per tutti, e a cacciare dal loro spirito il pregiudizio della necessità del gendarme. Io dissi che non sono profeta, e Merlino trova che io rispondo come fanno i socialisti democratici quando si tenta di dimostrar loro gl'inconvenienti del Collettivismo. Il caso non è eguale. I socialisti democratici vogliono che il popolo li mandi al potere, a far le leggi, ad organizzare la nuova società, e quindi dovrebbero almeno dirci che uso farebbero di questo potere, e a quali leggi ci sottoporrebbero. Noi anarchici invece vogliamo che il popolo conquisti la libertà e... faccia quello che vuole. Avere fin da ora delle idee e dei progetti pratici è necessario, poiché la vita sociale non ammette interruzione, ed il popolo dovrà, il giorno stesso in cui si sarà sbarazzato del governo e dei padroni, provvedere alle necessità della vita. Ma queste idee potranno essere varie nei vari paesi e nelle varie branche della produzione, e se anche fossero sbagliate il male non sarebbe grande, poiché, non essendovi un potere conservatore che obblighi a perseverare negli errori, nè una classe costituita che di questi errori profitti, si potrà sempre cambiare e migliorare quello che alla prova non riesce bene. L'anarchia è, in un certo senso, il sistema sperimentale applicato all'arte del viver civile. E poi, io non sono che un individuo, e io e tutti gli anarchici attuali non siamo che una frazione del popolo, e quindi potremmo dire tutto al più quel che vorremmo, ma non mai quel che sarà: il fatto dovendo essere necessariamente modificato dal concorso di tante altre volontà che oggi non sappiamo quali saranno. D'altronde, pur non avendo nessuna inclinazione per l'arte profetica, io espressi alcuna delle mie idee sulla futura organizzazione sociale - e Merlino le ha confutate... alquanto puerilmente. Io dissi, per esempio, che i servizi pubblici saranno fatti dalle associazioni dei lavoratori dei diversi rami e che queste associazioni baderanno nello stesso tempo al benessere dei loro membri ed al comodo del pubblico. E Merlino dice che queste associazioni, al pari dei corpi governanti, baderebbero prima al comodo dei propri membri e poi, se mai, a quello del pubblico. Può darsi benissimo: ma siccome ogni lavoratore da una parte è membro di un'associazione di produzione e dall'altra è parte del pubblico, è probabile che si accorgerebbe presto che al giuoco di tirare ognuno al proprio vantaggio, ci si perde tutti, e perciò penserebbe che vale meglio accordarsi e lavorare tutti di buona voglia per il bene generale. Tutt'altra è invece la posizione del governante, il quale impone agli altri le regole di lavoro e può accomodar tutto a profitto suo e dei suoi amici. Io dissi che l'opinione pubblica impedirebbe alle associazioni di prevaricare; e Merlino mi domanda se vi sarà un'insurrezione popolare contro ogni Amministrazione che non obbedisse al volare del popolo. Eppure non è molti giorni che Merlino ha scritto, ed a ragione, che se il popolo sapesse volere potrebbe, anche nel regime attuale, nonostante le ricchezze ed i soldati di cui dispongono le classi dominanti, impedire moltissimi abusi ed imporre il rispetto di molte libertà! La tesi che sostiene Merlino deve essere davvero molto cattiva, giacchè egli si vede costretto a ricorrere alle barzellette dei reazionari. Io parlai dei legami di dipendenza reciproca tra le Associazioni, e Merlino non intende di che legami io parlo. Ma non è chiaro che il fornaio, per esempio, ha bisogno del mugnaio che gli fornisce la farina, del contadino che fornisce il grano, del muratore che gli fa la casa, del sarto che lo veste e così all'infinito? Non è chiaro che tutti hanno interesse e bisogno di mettersi d'accordo con tutti? Ma come si stabiliranno questi accordi? domanda Merlino. Mediante patti, obbligazioni, Comitati federali, Congressi? Con questi o con altri mezzi, ma non certo, se i lavoratori ci terranno ad esser liberi, mediante Parlamenti che faccian la legge e che la impongano a tutti colla forza. Io reclamavo infine, come garanzia contro il costituirsi di monopoli a danno del pubblico, il diritto di tutti ad entrare nelle singole Associazioni ed usare dei mezzi di produzione che esse adoperano. E Merlino risponde immaginando un cantiere invaso da gente che vuol mettere le mani dappertutto, o una farmacia dove dei dilettanti vadano a rimestare e confondere tutto. Non sembra proprio di sentire un parruccone il quale, volendo combattere la proposta di aprire al pubblico un giardino, dicesse che tutta la popolazione vorrebbe entrare contemporaneamente nel giardino e morrebbe pigiata e soffocata? In pratica poi risulta che quando si apre un pubblico giardino il diritto per tutti di andarci a passeggiare basta per impedire il monopolio, ma non produce niente affatto un affollamento che distruggerebbe il piacere di passeggiare. Il mio concetto era chiaro: io parlavo del diritto che deve avere la gente di provvedere da sè ad un dato lavoro, quando coloro i quali lo fanno volessero servirsene come mezzo per sfruttare ed opprimere gli altri; e non già del diritto degli sfaccendati di andare a disturbare chi lavora. Ma insomma, le idee mie possono essere sbagliate, e, come ho detto, non sarebbe gran male, perché io non voglio imporle a nessuno. Merlino però, il quale si lamenta che noi non vogliamo fare i profeti e non definiamo abbastanza le nostre idee sull'avvenire, dovrebbe dirci lui che cosa è che vuole. Non crede nell'”amministrazione” dei socialisti democratici, non nelle associazioni degli anarchici, e tampoco vuole egli demolire il presente senza preoccuparsi dell'avvenire. Che cosa vuole egli dunque? Criticare le idee degli altri è ottima cosa, ma non basta. Noi sappiamo che tutti i sistemi hanno i loro lati deboli: il nostro come quelli degli altri. Ma per rinunziare al nostro bisognerebbe che ce se ne proponesse uno che abbia meno inconvenienti. Tutto è relativo. Noi siamo anarchici perché l'Anarchia, nel senso che noi diamo alla parola, ci pare la migliore soluzione del problema sociale. Se Merlino conosce qualche cosa di meglio, ce lo insegni subito.

MERLINO, CONTRASTO PERSONALE

Nota secca di Merlino apparsa sull'Agitazione del 30 dicembre 1897.

Credevo che, non fosse che per l'amicizia che ci lega, Malatesta e io avessimo potuto polemizzare senza darci del farabutto e del mascalzone l'uno all'altro. Ma mi sono ingannato. La polemica appassiona e un uomo appassionato non riesce, fosse anche Catone in persona, a mantenersi giusto ed equanime. Malatesta poi è uomo di parte, è immerso dalla gioventù nelle lotte politiche, difende il suo passato, crede forse che sia in giuoco nella polemica tra noi impegnata, la sua posizione di capo morale del partito anarchico italiano, e quindi gli riesce meno che ad altri di discutere serenamente. Il sistema da lui prescelto per combattermi e il seguente. Mi dice un mondo di cortesie: io sono un uomo che cerco la verità, che rifuggo da'cavilli, che non ricorro ad artifici retorici per mettere in imbarazzo l'avversario ecc. ecc.. Ma poi si meraviglia che io giro attorno alla questione, che cerco di impressionare il lettore con una certa apparenza di spirito pratico, e mi dà del reazionario a tutto pasto. “Merlino ragiona come fanno i conservatori”. “M. si vede costretto a ricorrere alle barzellette dei reazionari”. “Sembra proprio di udire un parruccone” ecc. ecc.. Queste invettive si capisce bene a che servono - Un proverbio dice: dà ad uno del cane e potrai sparargli addosso. Malatesta non lo fa ad arte, ma sente che se riesce a farmi credere reazionario da'lettori del suo giornale, egli toglie ogni credito ai miei argomenti, e se anche io ho ragione ed egli torto, tutti daranno torto a me e ragione a lui. Egli quindi mi gratifica ad ogni pie'sospinto dell'epiteto di reazionario. A forza di sentirlo dire e ridire, il lettore si abitua all'idea che io sono diventato un difensore accanito dell'attuale ordine di cose, e finisce per crederci fermamente e per appassionarsi contro di me in guisa tale da non potere più apprezzare serenamente i miei argomenti. Io potrei valermi, verso Malatesta, dello stesso metodo: potrei, se volessi, valendomi di certe recenti sue dichiarazioni intorno alla necessità di lottare per i miglioramenti attualmente possibili, prendermi il gusto di dipingerlo agli occhi dei suoi amici per un reazionario, od almeno per un rivoluzionario che si avvia a diventare reazionario. Preferisco di chiudere la polemica - rimandando il lettore, che abbia la curiosità di conoscere quale sia la soluzione, non collettivista-autoritaria, nè anarchico-amorfista, che io propongo al problema sociale, ad un volumetto che verrà pubblicato fra giorni dal Treves. [Si tratta de L'Utopia collettivista - N.d.r.] Quanto al Malatesta, lo avverto che la prima volta che egli pensando con la sua testa dissentirà da'suoi amici, questi lo tratteranno, se già taluni non lo trattano, come egli tratta me; ed e gli non potrà dolersi di loro, perché saranno stati educati alla sua scuola.

MALATESTA, CHIARIFICAZIONE SULLA POLEMICA

Risposta di Malatesta: Agitazione del 30 dicembre 1897.

Mi duole che Merlino, si sia offeso della mia risposta; ma a me non pare di essere andato oltre i limiti permessi in una polemica cortese tra persone che si stimano. Notai la somiglianza tra alcuni suoi argomenti e quelli addotti ordinariamente dai conservatori e dai reazionari, così come egli aveva detto che io rispondevo come fanno i socialisti-democratici. È offensivo questo? Per me non v'è mai offesa quando non si dubita della sincerità del contraddittore. In ogni modo, poiché Merlino vuol troncarla, io non insisterò; e aspetterò il suo nuovo volume per giudicare la soluzione ch'egli propone al problema sociale. Di una sola cosa vorrei fosse sicuro il Merlino, ed è che se egli o chiunque altro mi convincesse che sono in errore, io lo confesserei subito, malgrado il mio passato ed il mio presente.

MALATESTA, CONCLUSIONE

Conclusione della polemica pochi giorni prima dello arresto del Malatesta. L'articolo è pubblicato dalla Agitazione del 13 gennaio 1898 e prende spunto da un'allusione alla polemica contenuta in un articolo che Merlino aveva pubblicato sulla Rivista Popolare diretta dal Colajanni.

Per una deferenza personale, che qualcuno ha voluto rimproverarci e di cui non ci pentiamo, e per l'onesto desiderio di far udire ai nostri lettori le due campane e metterli in grado di poter giudicare con piena cognizione, noi aprimmo a Merlino le nostre colonne. Egli preferì dichiararsi offeso della critica del Malatesta e troncar la polemica... per andarci poi ad attaccare, incidentalmente, in nota ad un suo articolo pubblicato nella rivista del Colajanni. E questo è nel suo diritto. Egli può attaccarci e criticarci quando e dove gli pare; ma però non dovrebbe credersi in diritto di falsare le nostre idee, che egli conosce, poiché non è ancora molto tempo che insieme a noi le professava e difendeva. Nella nota sopraccennata egli dice: “Solo qualche anarchico amorfista può dire con Malatesta: Noi anarchici vogliamo che il popolo conquisti la libertà e faccia quello che vuole”. Lasciamo stare, perché non importa alla questione, se si tratta di qualche o di molti o di tutti gli anarchici. Ma perché mai Merlino ci chiama amorfisti? Storicamente, questa parola è stata adoperata o per indicare un modo speciale di concepire le relazioni tra uomini e donne, o, più comunemente, per distinguere i partigiani di certe concezioni individualistiche della vita sociale, che ebbero voga negli anni scorsi fra anarchici e che a noi sembrarono, d'accordo allora col Merlino, delle aberrazioni. E in quel senso l'appellativo di amorfisti, in bocca a Merlino e diretto a noi non è che un gratuito insulto. Etimologicamente poi, amorfista vuol dire che non ammette forme. Che cosa autorizza il Merlino a pensare che noi abbiam perduto il ben dell'intelletto al punto di creder possibile l'esistenza di una società, di una cosa qualunque, che non abbia una qualsiasi forma? Amorfisti, perché vogliamo che le forme che assumerà la vita sociale siano il risultato della volontà popolare, della volontà di tutti gl'interessati? Ma dunque il Merlino vuole che qualcuno le imponga al popolo contro o senza la volontà del popolo stesso? E le conservi con la forza anche quando avran cessato di rispondere ai bisogni ed al volere degl'interessati? Discutiamo fin da ora dei vari problemi che possono presentarsi nella vita sociale e delle varie soluzioni possibili; facciam pure dei progetti sul modo di amministrare gl'interessi generali ed indivisibili del consorzio umano; prepariamo nelle associazioni e federazioni operaie gli elementi della riorganizzazione futura: tutto questo è utile, è indispensabile, perché il popolo abbia una volontà illuminata e possa attuarla. Ma insistiamo perché la riorganizzazione sociale si faccia dal basso all'alto, per il concorso attivo di tutti gl'interessati, senza che nessuno, individuo o gruppo, minoranza o maggioranza, despota o rappresentante, possa imporre con la forza alla gente quello che la gente non vuole accettare. Merlino ci presenta una specie di schema di costituzione politica. “Bisogna distinguere” egli dice, “le faccende più importanti e di cui tutti più o meno s'intendono, e, queste farle decidere direttamente dal popolo nei Clubs o Associazioni, i cui delegati si riunirebbero, come nelle Convenzioni americane, unicamente per concretare la soluzione definitiva in conformità dei mandati ricevuti. Per faccende meno importanti e per quelle che richiedono speciali cognizioni, costituire Amministrazioni speciali - senza legame gerarchico tra loro - soggette al sindacato popolare”. “Avanti tutto il popolo deve concorrere alla nomina degli amministratori pubblici; poi questi devono offrire guarentigie di capacità, inoltre vi devono essere regole di amministrazione che impediscano gli arbitrii e i favoritismi; gli amministratori devono rimanere uguali a tutti gli altri cittadini e ricevere in compenso delle loro fatiche un trattamento approssimativamente uguale a quello che i cittadini tutti ricavano dal loro lavoro; infine gl'interessati devono potersi opporre agli atti ingiusti degli amministratori pubblici e chiamare questi ultimi a render conto pubblicamente dell'opera loro”. “Bisogna, sulla base dell'uguaglianza delle condizioni economiche, elevare un sistema di amministrazione pubblica emanante direttamente dal popolo e non soggetto a nessun centro di governo”. Ma come si deve arrivare a questa e a qualsiasi altro modo di amministrazione degl'interessi collettivi? Ecco per noi la questione importante. Deve la nuova costituzione sociale esser formulata di getto da una costituente nazionale o internazionale, ed imposta a tutti? O deve essere il risultato graduale, sempre modificabile, della vita stessa di una società d'individui economicamente e politicamente eguali e liberi? Deve il popolo, dopo abbattuto il governo, nominarne un altro, il qual poi dovrebbe, secondo l'utopia dei socialisti democratici, eliminare sé stesso; o deve distruggere completamente il meccanismo autoritario dello Stato e formare un regime libero per mezzo della libertà? Questo Merlino non dice, e questo è il punto di divisione tra socialisti democratici e socialisti anarchici. Nella sua conferenza di domenica a Roma, Merlino avrebbe, secondo il resoconto dell'Avanti! combattuto gli anarchici liberisti assoluti (ecco ancora degli appellativi di sapore equivoco), “perché col loro sistema i prepotenti avrebbero modo di schiacciare i più deboli ed i più docili”. Dunque Merlino per mettere un freno ai prepotenti vorrebbe... mandarli al potere! O crede egli che al potere vi andrebbero i più deboli, ed i più docili? O santa ingenuità!


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