Obščina

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Copertina della rivista contemporanea Obščina

Con il termine obščina si indica la “comune” agricola contadina russa, in opposizione alle attività  agricole individuali, che presero corpo in seguito all'abolizione nel 1861 della servitù della gleba.

L'obščina: organizzazione e gestione

L' «obščina» era un retaggio della antica agricoltura nomade, caratterizzata dallo "sfruttamento" di una determinata porzione di terreno, ad opera di una o più famiglie di contadini, che poi veniva abbandonato, giacché non si conoscevano né concimi né le rotazioni colturali in grado di ripristinare la fertilità  del terreno.

Nel popolo russo è quindi rimasto per lungo tempo un radicato senso di appartenenza alla terra, assai simile alle antiche società  gilaniche, in cui era estraneo il concetto di proprietà  privata e la terra era concepita solo come appartenente alla collettività .

Il senso dell'obščina e della proprietà  comunitaria della terra è evidenziato dalla seguente considerazione: «Il suolo appartiene alla totalità , ma se ne lascia il godimento alla comunità  [contadina]. Questa non può alienarlo né in tutto né in parte. In essa il singolo non può mai essere proprietario, sebbene ogni membro della comunità  abbia con tutti gli altri uguale diritto allo sfruttamento […]. In seno alla comunità  abbia con tutti gli altri uguale diritto allo sfruttamento […] In seno alla comunità  non vi sono che usufruttuari: quindi per il suolo non esiste diritto di eredità . Il figlio non eredita il campo paterno, e riceve la sua porzione non in forza del diritto ereditario, ma quale membro della comunità [1].

La gestione dell'obščina era in mano al cosiddetto mir, un vero e proprio organo direttivo dell'obščina; il mir non solo aveva il compito di distribuire le terre ai singoli contadini, i quali non divenivano proprietari ma usufruttuari, ma anche garantire collettivamente il versamento delle tasse, la restituzione del riscatto per l'abolizione della servitù, il reclutamento militare ecc.

La questione dell'obščina poi, all'interno della storia russa in generale, ed ancor più quindi, dopo l'implosione del sistema del capitalismo di stato più noto come comunismo, riveste un'importanza di interpretazione storiografica e ideologica ancora più notevole e purtroppo sinora del tutto disattesa, in quanto fonte di critica storiografica e ideologica notevole proprio rispetto a questa esperienza storica fallimentare di vaste dimensioni, su cui i maggiori eredi ideologici e persino i rinnegati tacciono vergognosamente.

Dibattito socio-politico intorno all'obščina

Nel complesso, in rapporto alla questione dell'obščina, dopo un periodo di discussioni accese e di meditazioni sui problemi storici del proprio paese, gli esponenti di spicco del pensiero democratico e socialista russo, la cosiddetta intellighenzia, caratterizzarono il loro pensiero attraverso un adattamento delle concezioni ideologiche occidentali con le peculiarità  della società  russa senza scadere, nella fase matura della loro riflessione in un atteggiamento mistico di impronta conservatrice romantica nei confronti del popolo.

Panslavismo e occidentalismo

Il culto per la figura del contadino, è infatti l'elemento centrale della loro riflessione così come delle istituzioni tipiche e tradizionali delle istituzioni rurali contadine e cioè il mir e l'obščina, rispettivamente l'assemblea di discussione e deliberazione del villaggio rurale russo e la comunità  stessa del villaggio intesa come unità  produttiva collettiva.

Queste due realtà  giuridiche e socioeconomiche furono oggetto di vasti dibattiti in Russia e coinvolsero gli esponenti ideologici di tutte le tendenze politiche. La vastità  e profondità  di queste discussioni e controversie politiche e storiche erano dovute alla consapevolezza da parte dell'intellettualità  russa delle profonde differenze di civiltà  tra la loro nazione retta da un regime autocratico dispotico e retrogrado e l'Europa occidentale da cui provenivano da secoli tutte le più importanti innovazioni culturali, scientifiche e storico politiche. La coscienza di questa profonda diversità  era fonte di grande frustrazione da parte degli uomini di cultura di spicco russi i quali vollero reagire in un primo tempo culturalmente accogliendo le concezioni filosofiche e politiche provenienti dall'Europa adattandole al contesto nazionale in cui essi vivevano.

Il motivo saliente di questa grande considerazione delle peculiarità  russe da parte dell'intellettualità  progressista era da ricercarsi proprio nella volontà  di far progredire il proprio vastissimo paese risparmiandogli, sulla base di quanto accaduto in Europa occidentale, tutte le sofferenze che avevano colpito le masse contadine che erano state nei paesi ad economia capitalistica avanzata, espropriati in massa nel giro di pochi decenni, di tutti i loro diritti consuetudinari che consentivano loro di vivere come i loro padri. La penetrazione dei rapporti capitalistici nelle campagne, processo storico che aveva preceduto e accompagnato la prima rivoluzione industriale, aveva immiserito le masse contadine riducendole per la massima parte al ruolo di bracciantato e spingendoli progressivamente nelle grandi città  commerciali ed industriali dove una gran parte di essi furono impiegati nelle manifatture, a lavorare cioè in condizioni abominevoli e a durissima fatica, preda di ogni possibile incidente e privi di qualunque protezione.

Per Herzen (nell'immagine) l'obščina non fu altro che il "seme della futura società  socialista

Questa consapevolezza dell'arretratezza nazionale, quindi, era, per l'intellighenzia russa progressista, paradossalmente ritenuto un punto di forza a vantaggio della nazione russa nel suo complesso che avrebbe potuto procedere a delle riforme profonde senza andare incontro a tutti gli inconvenienti che la rivoluzione francese sul piano politico e quella industriale sul piano economico avevano causato e causavano in Europa occidentale. 'I pensatori conservatori videro ovviamente in queste istituzioni peculiari russe, una superiorità  morale del popolo russo rispetto all'Occidente europeo o più in generale della componente slava europea, dando vita così alla concezione panslavista della storia e della politica, cioè una versione etnocentrica delle teorie romantiche basate sul concetto di Volkstum e a cui i teorici panslavisti replicarono con quello di narodnost ("popolo").

Il mir e l'obščina concepite come strutture concrete che lo spirito russo aveva saputo creare per alleviare le condizioni materiali delle masse contadine, chiara dimostrazione della superiorità  del sentimento religioso greco ortodosso rispetto al cattolicesimo ed al protestantesimo, ma soprattutto la realizzazione storica tangibile della solidarietà  di tutte le classi l'una rispetto alle altre in una concezione improntata ad armonia e collaborazione sociale. Questa concezione organica della società  russa, sedusse a lungo molti intellettuali, però gli esponenti delle nuove generazioni (populisti, anarchici, nichilisti ecc.)alla fine la ritennero semplicemente una visione quietistica dei rapporti sociali non idonea a risolvere gli immensi problemi nazionali russi.

Per gli esponenti del liberalismo russo (occidentalisti), votati oramai in quest'epoca al massimo della moderazione e della legalità , le istituzioni arcaiche rurali russe andavano semplicemente eliminate, liberando i contadini dai loro obblighi e trasformandoli in semplici braccianti. Essi miravano semplicemente a ripetere nel loro paese l'esperienza che si era verificata nell'Europa occidentale, come poi infatti sarebbe poi accaduto con l'abolizione dei servi della gleba.

L'obščina dall'Illuminismo alla collettivizzazione forzata

Apparentemente la questione della realtà  dell'obščina può sembrare una questione di puro esercizio storiografico, invece, soprattutto per la sua centralità  nei dibattiti storici, politici e ideologici, essa rappresentava, a secondo di come si voleva prospettare il suo futuro dopo un'eventuale riforma istituzionale, una questione drammaticamente importante per la Russia zarista e per i contadini in primo luogo che in quanto rappresentanti alla quasi totalità  della popolazione dello sterminato impero russo, ne sarebbero stati i primi beneficiari o vittime.

La questione dell'obščina, anche in seguito all'ambiguo esito della riforma della servitù della gleba del 1861 e ai tentativi di assorbire la manodopera contadina liberata dalla terra nei grandi complessi industriali di proprietà  dello stato zarista, ricopre un peso notevole, soprattutto per gli esiti drammatici a cui andò incontro la classe contadina nel suo complesso con la prima guerra mondiale prima e poi, soprattutto, durante la rivoluzione bolscevica. Quest'ultima, infatti, portò alla distruzione dell'obščina e del mir, prima con la NEP e poi con la politica della collettivizzazione forzata delle campagne elaborata nei piani quinquennali dal nuovo Stato che si voleva comunista, cioè fondato sull'alleanza della classe operaia e contadina, ma che in realtà  proseguì sulle direttrici elaborate dall'antico Stato zarista di proletarizzazione delle masse contadine.

L'imitazione del capitalismo monopolistico da parte della dirigenza bolscevica fu infatti alla base della mancata realizzazione di un socialismo agrario dal basso e dell'approfondimento del mancato dialogo con le masse in generale a livello istituzionale e quindi dell'edificazione di un regime totalitario modellato in un primo tempo sui provvedimenti zaristi di industrializzazione dall'alto e poi di competizione con il capitalismo avanzato. Gli elementi di continuità  oggettiva con lo zarismo può inoltre avvalersi anche su di una corretta valutazione di ciò che fu in termini storici questo sistema sociale che più che un regime assolutistico sul modello occidentale deve essere più correttamente concepito invece nel quadro di Stato patrimoniale, come lo divenne poi l'Unione Sovietica a seguito delle sue drammatiche sperimentazioni sociali in Russia: un apparato statale centralizzato, proprietario dei mezzi di produzioni fondamentali che esso da in gestione ad un'élite costituita da uomini (burocrati), tratti dall'apparato stesso e nominati per gestire e portare a termini precisi incarichi e dotati di ampi poteri e revocabili unicamente dal centro stesso.

Note

  1. Storia e storiografia Vol II, Antonio Desideri

Voci correlate

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