Moti per il riso del 1918 (Giappone)

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La sede della Suzuki Shoten a Kobe, completamente bruciata durante i moti per il riso dell'11 agosto 1918.

Con il nome di moti per il riso (米騒動, kome sōdō) si indica una serie di tumulti ed episodi insurrezionali che si verificarono in Giappone durante l'estate del 1918.

Il contesto

I 13 anni che vanno dal 1905 al 1918 vengono definiti l'Era della Violenza Popolare (民衆騒擾期, minshū sōjō ki): in questo lasso di tempo, infatti, il Giappone venne attraversato da rivolte popolari di ogni tipo e intensità , puntualmente represse dal governo. Tra questi episodi vanno ricordati per lo meno l'Incendio di Hibiya a Tokyo del 1905 e l'insurrezione di Nagoya del 1914[1].

I moti per il riso scoppiarono quindi a conclusione di quel lungo periodo insurrezionale e affondano le loro cause nella struttura economico-politica dell'Impero giapponese. Gli zaibatsu, i commercianti di riso che operavano nelle colonie, imponevano prezzi elevatissimi che colpirono vasti strati della popolazione: il sottoproletariato agricolo, che lavorava proprio quel riso, si ritrovò ulteriormente in condizioni di sussistenza e assoluta precarietà ; il proletariato urbano venne invece colpito dalla riduzione dei salari e allo stesso tempo da un aumento generale dei costi.[2] Il governo giapponese, sostenitore e difensore della politica economica degli zaibatsu, aggravò la situazione requisendo grandi quantità  di riso per inviarle alle truppe impegnate sul fronte siberiano, il che ovviamente comportò un ulteriore incremento del prezzo del riso.

I moti

Sakae Ōsugi: l'anarchico prese parte ai moti per il riso di Osaka

I moti del 1918 furono un caso senza precedenti nell'Impero del crisantemo, per durata, dimensioni e intensità  della rivolta. Almeno 700.000 persone presero parte attiva ai moti, che tuttavia arrivarono a coinvolgere indirettamente almeno 10.000.000 di giapponesi.[2] A settembre si contarono 623 episodi di rivolta, scoppiati in 38 grandi città  e 330 tra villaggi e paesi. Gli insorti, dopo un pacifico tentativo di petizione diretta alle istituzioni, adoperarono diversissime pratiche d'attacco diretto: scioperi, attacchi incendiari, blocchi stradali... Da un punto di vista economico, il calmieraggio dei prezzi venne effettuato dal basso per mezzo di una costante pratica di autoriduzione che prevedeva il pagamento del riso secondo le tariffe precedenti ai super-aumenti degli zaibatsu.

Il primo episodio di questi moti si verificò il 22 luglio a Toyama, un piccolo villaggio sostenuto dalla pesca e dall'agricoltura. Le mogli dei pescatori tentarono di bloccare l'esportazione del frumento con una sollevazione tipica dei villaggi nipponici, detta murakata ikki, tragicamente diffusa nel periodo Meiji. Più che dalla polizia, i moti di Toyama vennero soppressi dalla concessione di sconti sul prezzo del riso. Ma di lì a poco l'esempio delle mogli dei pescatori si estese ad altre aree, come la prefettura di Oyayama.

Il 9 agosto, a Nagoya, più di 500 persone si radunarono senza autorizzazione al parco Tsurumai per protestare contro chi speculava sul prezzo del Riso e contro i nariken, ovvero i "nuovi ricchi" del Giappone. Il giorno seguente, un altro raduno non autorizzato vide in piazza circa 30.000 persone, che vennero allontanate dalla polizia. I maggiori scontri avvennero il 12 agosto, quando 50.000 persone attaccarono i locali dei mercanti di riso e le forze dell'ordine. La sola Nagoya vide almeno 130.000 persone coinvolte negli scontri, cifra considerevole se si pensa che al tempo la sua popolazione ammontava a 437.000 persone.[1]

I moti nelle aree industriali

L'11 agosto si verificarono episodi di rivolta in tutta la regione di Kansai: Osaka, Kobe, Kure e Hiroshima vennero attraversate da scontri che di lì a pochi giorni sarebbero culminati a Tokyo. Le rivolte si prolungarono per settimane nelle aree maggiormente industralizzate delle regioni di Kansai e Kanto.

Altri avamposti della rivolta popolare furono i cantieri e le fabbriche: più di 26.000 operai specializzati parteciparono agli scioperi d'agosto. La maggior parte di questi scioperi furono illegali, né poterono contare sul sostegno di strutture del movimento operaio come i sindacati, che erano stati proibiti dal governo: ne nacquero ogni volta scontri molto violenti, come quelli al cantiere Mitsubishi della città  di Kōbe[1]. Il limite maggiore di queste proteste fu l'incapacità  di "uscire" dai cantieri per collegarsi alle rivolte che imperversavano nelle strade, alle quali prendevano parte soggetti sociali che eccedevano il proletariato industriale (sottoproletari, contadini...).

Gli anarchici di fronte ai moti per il riso

Il governo accusò gli anarchici e i socialisti di aver fomentato la rivolta, sull'onda della rivoluzione russa; molti compagni e compagne vennero arrestate per i fatti dell'estate del 1918. In realtà , l'influenza degli anarchici e dei socialisti sul movimento insurrezionale fu davvero minima. Molto spesso gli insorti inneggiavano all'Imperatore perché punisse le forze dell'ordine e i commercianti. Certo, anarchici come Sakae Ōsugi, Kanasaki Domei, Iwade Kinjiru, Yoshimura Otoya e Yamazaki Shojiro[3] parteciparono attivamente ai moti di protesta, ma non riuscirono a (né, probabilmente, vollero) influire sull'organizzazione e sull'evoluzione degli eventi. Sakae, che partecipò ai moti da libertario lavorando particolarmente nella zona di Osaka, diede in seguito questo giudizio dei moti per il riso:

«[La rivolta per il riso] aveva aperto la strada ad un nuovo slancio del movimento popolare; qualunque fosse stata la reazione delle autorità , il popolo era ormai indistruttibile; il suo movimento aveva scoperto, per la prima volta, la sua forza; noi per primi avremmo dovuto cominciare a lavorare seriamente, stare ancora di più tra la gente di quanto avessimo fatto prima ed essere in prima linea nella lotta[3]

Note

  1. 1,0 1,1 1,2 1918: Rice riots and strikes in Japan, libcom.org
  2. 2,0 2,1 F. Gatti, Storia del Giappone contemporaneo, Mondadori, 2002
  3. 3,0 3,1 Sakae, Osugi, 1885-1923, libcom.org