Mafia e Fascismo: differenze tra le versioni

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*'''[https://web.archive.org/web/20070927234026/http://www.liberalfondazione.it/archivio/fl/numero04/verita.htm  Tutta la verità sul caso Tresca di Mauro Canali]''' <ref>Mauro Canali e fra gli autori accreditati dal SISDE per i suoi lavori che spesso ne riportano stralci sul sito]</ref>
*'''[https://web.archive.org/web/20070927234026/http://www.liberalfondazione.it/archivio/fl/numero04/verita.htm  Tutta la verità sul caso Tresca di Mauro Canali]''' <ref>Mauro Canali e fra gli autori accreditati dal SISDE per i suoi lavori che spesso ne riportano stralci sul sito]</ref>
*[http://archive.is/fSwtU Mario Scelba: padre della Repubblica o regista di trame? I documenti che qui si presentano, di cui alcuni sottratti di recente al segreto di Stato, aiutano a rispondere di Carlo Ruta]
*[http://archive.is/fSwtU Mario Scelba: padre della Repubblica o regista di trame? I documenti che qui si presentano, di cui alcuni sottratti di recente al segreto di Stato, aiutano a rispondere di Carlo Ruta]
*[http://archive.is/qzja4 Documenti statunitensi e italiani sulla banda Giuliano, la Decima Mas e il neofascismo in Sicilia di Giuseppe Casarrubea].<ref> «Dalle centinaia di documenti rinvenuti nel 1997 dallo storico Aldo Sabino Giannuli presso l'archivio dell'Ufficio Affari Riservati di Federico Umberto D'Amato (noto anche come archivio del Servizio informazioni e sicurezza, Sis), apprendiamo che negli anni 1944 - 1947 la banda di Salvatore Giuliano è direttamente collegata ai gruppi eversivi neofascisti, monarchici e antibolscevichi, in particolare romani e meridionali (cfr. Aldo Sabino Giannuli, Salvatore Giuliano, un bandito fascista, rivista Libertaria, anno 5, n. 4, ottobre - dicembre 2003, pp. 48 - 58). Sul tema, citiamo di seguito alcuni documenti: ecc.» [http://www.leinchieste.com/casarrubea_dossier_stragi.htm Documenti statunitensi e italiani sulla banda Giuliano, la XMas e il neofascismo in Sicilia] di Giuseppe Casarrubea.</ref>
*[http://archive.is/qzja4 Documenti statunitensi e italiani sulla banda Giuliano, la Decima Mas e il neofascismo in Sicilia di Giuseppe Casarrubea].<ref> «Dalle centinaia di documenti rinvenuti nel 1997 dallo storico Aldo Sabino Giannuli presso l'archivio dell'Ufficio Affari Riservati di Federico Umberto D'Amato (noto anche come archivio del Servizio informazioni e sicurezza, Sis), apprendiamo che negli anni 1944 - 1947 la banda di Salvatore Giuliano è direttamente collegata ai gruppi eversivi neofascisti, monarchici e antibolscevichi, in particolare romani e meridionali (cfr. Aldo Sabino Giannuli, Salvatore Giuliano, un bandito fascista, rivista Libertaria, anno 5, n. 4, ottobre - dicembre 2003, pp. 48 - 58). Sul tema, citiamo di seguito alcuni documenti: ecc.» [http://archive.is/qzja4 da Documenti statunitensi e italiani sulla banda Giuliano, la Decima Mas e il neofascismo in Sicilia] di Giuseppe Casarrubea.</ref>
*[http://archive.is/iEt50 Lettera di Salvatore Giuliano a "La Voce di Sicilia", 31 agosto 1947, e commento-risposta di Girolamo Li Causi]
*[http://archive.is/iEt50 Lettera di Salvatore Giuliano a "La Voce di Sicilia", 31 agosto 1947, e commento-risposta di Girolamo Li Causi]
*[https://web.archive.org/web/20070927003401/http://www.romacivica.net/anpiroma/rendina.pdf Biografia Peter Tompkins]
*[https://web.archive.org/web/20070927003401/http://www.romacivica.net/anpiroma/rendina.pdf Biografia Peter Tompkins]

Versione delle 15:47, 14 mar 2020

Don Vito Cascio Ferro

La propaganda fascista è stata da sempre abilissima nel dipingere il regime mussoliniano quale acerrimo nemico della mafia. Se è pur vero che numerosi mafiosi furono arrestati durante il fascismo (soprattutto nell'epoca del cosiddetto “Prefetto di Ferro” Cesare Mori), è vero anche che nella stragrande maggioranza dei casi si trattava di “pesci piccoli” ed è anche vero che i fascisti non ebbero scrupoli nel liberare molti di essi quando si trattò di utilizzarli in sporche operazioni contro gli antifascisti (vedi l'assassinio dell'anarchico Carlo Tresca).

I rapporti mafia-fascismo furono ben saldi prima e anche dopo l'8 settembre 1943, quando mafia, fascisti e istituzioni collaborarono col Sistema in chiave repressiva dei movimenti socialisti, comunisti e anarco-rivoluzionari che si andavano a sviluppare in Sicilia.

«Un processo lento, che in Italia si è sviluppato per tappe e acquisizioni a partire dal riconoscimento dello status quo feudale nel sud da parte della monarchia sabauda in cambio della propria legittimazione. La mafia, dalle trattative per preparare lo sbarco alleato in Sicilia al sistema di scambio voto-favore dell'epoca democristiana, ha in seguito rappresentato un costante interlocutore per la repubblica. In tale contesto, il ruolo della capitale morale settentrionale è andato focalizzandosi sulla controparte legale, il riciclaggio di denaro. Equilibrio che si è tuttavia definitivamente infranto a cavallo degli anni '80, con lo scoppio di una sanguinosa guerra intestina. Conflitto che, con un bilancio assimilabile a una guerra civile, ha portato al prevalere dei clan più arretrati e feroci, i corleonesi, e a una tardiva reazione istituzionale.» [1]

Il periodo del prefetto di ferro: Cesare Mori

Cesare Mori

Cesare Mori, figura mitizzata dal fascismo, nel 1922 era prefetto di Bologna, inflessibile applicatore della legge, essendo fra i pochissimi rappresentanti degli "organi di repressione dello Stato" che considerassero lo squadrismo fascista al pari del "sovversivismo" di sinistra e quindi da reprimere in egual maniera. Dopo aver bloccato una spedizione punitiva di squadristi fu duramente contestato dal fascismo rampante, ormai appoggiato dalla borghesia industriale e agraria, per cui all'ascesa al potere di Mussolini Mori fu dispensato dal servizio attivo e si ritirò in pensione nel 1922 a Firenze, assieme alla moglie; medesima sorte toccò nello stesso periodo ai militari Guido Jurgens, Vincenzo Trani e Federico Fusco, tuttavia questi non ebbero altre possibilità di carriera poiché non vollero scendere a compromessi col regime fascista.

In seguito, nel 1924, Mori venne richiamato in servizio e gli fu affidato da Benito Mussolini l'incarico di repressione dei fenomeni criminali in Sicilia (vista la sua fama di inflessibilità). Qui impiegò metodi al quanto sbrigativi, arrivando perfino a prendere in ostaggio donne e bambini per raggiungere il suo scopo; a tale riguardo scrive lo storico Christopher Duggan [2] nel suo Prefetto di ferro: «I metodi brutali di Mori crearono malcontento nella popolazione, che spesso fu tentata a schierarsi dalla parte dei mafiosi, di fronte a forze di polizia che apparivano quasi come invasori stranieri, senza rispetto delle più elementari regole di legalità» [...] «Ironicamente, l'operato di Mori potrebbe aver rafforzato proprio quella diffidenza nei confronti dello Stato che, come il governo, era stato così desideroso di vincere» [...] «Mori era amico dei latifondisti. "[...]" Dal 1927 gli agrari erano di nuovo al potere, e la Sicilia ne pagò a caro prezzo la riabilitazione; e gli anni Trenta furono caratterizzati da abbandono e declino» [3].

Cesare Mori però si concentrò soprattutto sui mafiosi di piccolo calibro e ciò è evidenziato paradossalmente da un sito web dedicato a Mussolini:

«In effetti il fascismo, dopo la grande retata di "pesci piccoli" realizzata da Cesare Mori, viene a patti con l'"alta mafia", nel 1929 richiama a Roma il "Prefetto di Ferro" (verrà nominato senatore) e, in un certo senso, "restituisce" la Sicilia ai capi mafiosi ormai fascistizzati. Infatti, i condoni e le amnistie, subito concesse dal governo dopo il richiamo di Mori, hanno favorito molti pezzi da novanta che, appena tornati in libertà, si sono subito schierati fra i sostenitori del regime anche se, dopo il 1943, gabelleranno i pochi anni di carcere o di confino come prova del loro antifascismo.» [4] [5].

Quando nel 1929 Mori fu rimosso dal suo incarico (fu insignito del titolo di senatore del Regno) il regime fascista «... si preoccupò di diffondere l'idea che la Mafia, ormai, non fosse più un problema, ma essa “era tutt'altro che morta e si era anzi nuovamente istituzionalizzata”» (da Mafia e fascismo, Davide Caracciolo, InStoria, GB EditoriA 2008) [6].

L'efficacia della lotta alla mafia, prima e dopo Cesare Mori, furono quindi condizionati dai rapporti mafia e fascismo, secondo cui spesso il regime si servì della "caccia al mafioso" come strumento repressivo atto a giustificare gli attacchi agli antifascisti e\o ai fascisti non in linea con il PNF (caso Alfredo Cucco, mentre si servì di un noto capobastone mafioso per ammazzare dell'anarchico Carlo Tresca, irriducibile combattente contro fascismo e mafia ). Non a caso, dopo la rimozione di Mori, i più importanti mafiosi, collusi col fascismo, subirono pene lievi ed amnistie varie, che li consentì di ritornare ad operare sotto la copertura dei gerarchi fascisti siciliani o persino di divenire dei gerarca loro stessi. La mafia era rientrata, come accade anche attualmente, in rapporto simbiotico con i poteri dello Stato.

Considerazioni sull'attività di Cesare Mori

Definire quale fu l'operato nella realtà dei fatti del prefetto Cesare Mori non è cosa semplice; si può dire, in linea di massima, che fu congruente allo sviluppo del regime che, se da una parte era impossibilitato a prendere il potere della mafia, dall'altra doveva vincolare la mafia ad un certo "ordine di regime" in modo che la facciata fosse salva e Mori, forse anche in gran parte incolpevole, fosse lo strumento di Mussolini per arrivare a tale obiettivo [7] [8].

Si evince quindi, che è necessario ridimensionare le tesi dello scontro irriducibile fra mafia e fascismo, peraltro evidenziate da questi scritti e testimonianze sull'operato di Cesare Mori (il lettore noti le diverse opinioni riguardo al suo operato):

«Il fascismo oramai aveva il pieno appoggio della classe dominante siciliana, quella della grande proprietà terriera, soprattutto da quando furono abolite le norme di legge che limitavano il diritto dei proprietari terrieri ad elevare i canoni di affitto e a liberarsi dei mezzadri. In tale situazione la mafia non aveva motivo di esistere, visto che le contese tra latifondisti e contadini venivano regolate dallo stato fascista "[...]" Ma ciò che Mori colpì non fu altro che la bassa mafia, come lui stesso raccontò nelle sue memorie, semplici esecutori di ordini che potevano essere briganti, gabellotti e campieri. Ciò a cui egli mirava era l'alta mafia che allignava nelle città attorno ai centri del potere, ove era stretto il legame tra mafia e politica "[...]" Invece la realtà era che la mafia non era affatto morta, si era nuovamente istituzionalizzata. Se tanti briganti e piccoli delinquenti erano stati rinchiusi nelle carceri o mandati al confino, gli esponenti dell'alta mafia, se non emigrarono in America, aderirono in blocco al fascismo, sicuri di poter proseguire nei loro affari e nei loro traffici una volta che la Sicilia era stata liberata dall'incubo Mori». [9]

Il giudizio su Mori espresso sul sito dei Carabinieri, a cura di Alessandro Politi [10], è in linea con quello di altri (per esempio con quello dello storico Christopher Duggan), sottolineando l'effetto che ebbe la fascistizzazione di molti e importanti capi mafiosi: «[...] La stessa politica della repressione poliziesca, per quanto efficiente, non aveva spostato di una virgola le condizioni sociali in cui stagnava la Sicilia ed alla fine il regime si accontentò del successo di facciata [11]. Tesi peraltro confermata dai dati della Commissione parlamentare Antimafia, che dà l'idea di cosa significò questo nuovo ordine sociale in Sicilia: dal 1928 al 1935 le paghe agricole, secondo le statistiche ufficiali, diminuirono del 28%.

Giovanni Raffaele, studioso della storia di Sicilia e autore de L'ambigua tessitura. Mafia e fascismo nella Sicilia degli anni Venti, ben riassume l'azione di Mori [12]:

«La conclusione è che nella zona presa di mira da Mori non vi fosse mafia in senso stretto, proprio perché i meccanismi dell'accumulazione, del consenso e del controllo politico seguivano altri canali consolidati, che della mafia - intesa come organizzazione specifica e gerarchicamente strutturata - potevano fare a meno. Dalla ricerca emergono però anche la complicità del fascismo col sistema di mafia e, per certe zone, la forza intatta di un'élite che, per il controllo sociale, di mafia non aveva bisogno. Fece infatti piazza pulita di briganti, ma quando si trattò di mettere in galera la gente di rispetto ammanigliata con Roma fu licenziato in tronco. Finì senatore, con velleità letterarie inappagate e un libro di ricordi, "Con la mafia ai ferri corti", che dette qualche grana a Mondadori. Mussolini gli scrisse garantendogli che i suoi quattro anni di Sicilia sarebbero rimasti "scolpiti nella storia della rigenerazione morale, politica e sociale dell'isola nobilissima", ma a quanto risulta la mafia ripresa indisturbata il suo cammino. Lo scalpello era moscio».

Arrigo Petacco, nel suo libro Il Prefetto di Ferro, accusa il fascismo di essersi occupato solo dei "pesci piccoli", riportando in Sicilia i capi mafiosi fascistizzati, liberati o non arrestati grazie a leggi scritte ed utilizzate ad hoc [13]: O«ra in Sicilia si ammazza e si ruba allegramente come prima. Quasi tutti i capi mafia sono tornati a casa per condono dal confino e dalle galere [...]».

In un articolo pubblicato su il Corriere della Sera, Giovanna Grazzini sostenne la tesi della "buona fede" di Cesare Mori, poi rimosso dall'incarico per via della sua intransigenza [14]: «La sua azione energica permise di distruggere quasi interamente la struttura di base della malavita organizzata siciliana e offrì a Mussolini un argomento per la sua propaganda. Ma quando Mori iniziò a diventare troppo famoso e soprattutto a indagare troppo in alto, venne messo da parte, e le tracce del suo lavoro accuratamente eliminate» [15].

Cesare Mori e il caso Alfredo Cucco

Cesari Mori non si pose alcun problema, col consenso di Benito Mussolini, di andare a colpire il fascista siciliano maggiormente in vista, Alfredo Cucco, che probabilmente in questa fase non era integrabile nella linea del PNF in Sicilia, il che giustificava il desiderio di Mussolini di allontanare dal partito (non fu risparmiato neppure l'ex ministro della Guerra, il potente generale Antonino Di Giorgio), seppur temporaneamente, individui che potevano ostacolare l'ascesa del fascismo nell'isola (Cucco era mal visto dagli agrari, molti dei quali erano mafiosi, quindi Mussolini auspicò l'allontanamento di quest'individuo allo scopo di non alienarsi la simpatia dei latifondisti).

Nel 1927 Cucco venne espulso dal PNF «per indegnità morale» e accusato, grazie alle indagini di Cesari Mori, di essere colluso con la mafia. Dopo essere stato assolto quattro anni dopo, Cucco rientrò nell'isola e riprese l'attività politica, quando, grazie anche alla sua assenza, l'insediamento nel PNF siciliano dei latifondisti dell'Isola, collusi con la mafia o essi stessi mafiosi, era oramai completato.

La personalità di Cucco è descritta da Leonardo Sciascia come una «figura del fascismo isolano, di linea radical-borghese e progressista, per come Christopher Duggan e Denis Mack Smith [16] lo definiscono, che da questo libro ottiene, credo giustamente, quella rivalutazione che vanamente sperò di ottenere dal fascismo, che soltanto durante la repubblica di Salò lo riprese e promosse nei suoi ranghi» [17].

Carlo Tresca, anarchico italo-americano che denunciò le collusioni tra mafia, fascismo e istituzioni statunitensi

Nel libro Le mafie, lo storico Paolo Pezzino [18] ipotizza che l'esautorazione di Cucco fu un particolare caso politico in quanto fascista avverso agli agrari. Infatti, Alfredo Cucco rientrò nel partito solo nel 1937; nel 1938 e fu tra i firmatari del Manifesto della razza, nell'aprile del 1943 Mussolini lo nominò vice segretario nazionale del PNF, quindi aderì alla Repubblica Sociale Italiana dove divenne Sottosegretario alla Cultura popolare. Alla fine della guerra, nonostante tali precedenti, sarà prosciolto "stranamente" da ogni accusa e diverrà un notabile del neonato MSI.

Considerazioni sul caso Tresca

Emblematico del rapporto mafia- fascismo (che poi si intersecherà con l'intervento dei servizi segreti americani nel periodo pre, durante e post seconda guerra mondiale) è stato anche la protezione data dal regime nel 1935 a Vito Genovese [19], che si sdebiterà con la costruzione della "Casa del fascio" di Nola e l'assassinio dell'anarchico Carlo Tresca [20], personaggio scomodo che denunciava pubblicamente i falsi antifascisti. L'uccisione di Tresca permise quindi di porre un velo oscuro sugli ex-fascisti che cercavano di sbarazzarsi del loro scomodo passato e di riciclarsi come antifascisti (emblematico il caso di Generoso Pope, precedentemente sostenitore di Mussolini e poi antifascista dell'ultim'ora entrato a far parte della Mazzini Society attiva in America). Questa vicenda è riconducibile alla lotta intestina nella "Mazzini Society" (Stati Uniti) riguardo all'ammissione di alcuni italiani, trasferitisi negli USA ma con un passato di sostegno al fascismo, nei comitati di Fronte Unito Antifascista (costituito nel 1943). Nel periodo dell'assassinio di Carlo Tresca, Vito Genovese si trovava in Italia e la ricostruzione delle sue responsabilità è stata più che comprovata. Genovese fu probabilmente il mandante dell'omicidio di Tresca, mentre l'esecutore materiale fu Carmine Galante [21], poi affiliato alla famiglia di Joseph Bonanno [22]. Dopo lo sbarco alleato in Sicilia, Vito Genovese, uno dei personaggi chiave anzi citati, avrà un enorme potere in Sicilia anche nel periodo post bellico dimostrando una costante, duratura e ascendente importanza [23].

Considerazioni sul caso Vito Cascio Ferro

Per inquadrare il caso di Vito Cascio Ferro è necessario ricordare la figura del "superpoliziotto" italo-americano Joe Petrosino [24], inizialmente informatore della polizia, soprannominato «'u spione», poi "super poliziotto" protetto da Theodore Roosvelt, allora assessore alla polizia [25]. Petrosino fu impiegato in numerose operazioni contro la criminalità, ma anche contro i rivoluzionari. Tra questi «Petrosino odiava gli anarchici, li considerava delinquenti o pazzi da portare in manicomio» [26].

Joe Petrosino

Secondo quanto riportano molti storici, Petrosino fu assassinato dal boss Vito Cascio Ferro, che in gioventù era stato anarchico, attivista delle "occupazione delle terre" del 1892 e presidente dei "Fasci Sicilani" (formazione di "sinistra", quindi da non confondersi col fascismo), rifugiatosi poi in Tunisia per sfuggire alla repressione ordinata dal Ministro degli Interni Francesco Crispi. Emigrato negli USA, fu accolto a Patterson (città con folte presenze anarchiche; Gaetano Bresci vi risiedette per lungo tempo) come un compagno; in seguito divenne un capo-mafioso e l'esecutore materiale di Joe Petrosino. Si ipotizza che uno dei motivi che lo portò ad assassinare Petrosino fu il sospetto che il "superpoliziotto" avesse torturato in carcere Sophie Knieland, moglie dell'anarchico Gaetano Bresci, in modo da estorcerle qualche informazione su presunti rapporti tra la mafia americana e gli anarchici, senza riuscire nell'intento, infatti tali rapporti non sono mai stati dimostrati in alcun modo.

Non si sa bene perché Vito Cascio Ferro abbia voluto vendicare Sophie Knieland, è certo che gli fu trovato in tasca un biglietto della moglie di Gaetano Bresci, anche se s'ignora il contenuto; resta in ogni modo certo che don Vito aveva molto probabilmente mantenuto amicizie fra gli anarchici di Patterson.

Vito Cascio Ferro fu arrestato da Cesare Mori nel 1927 e condannato all'ergastolo. Detenuto in carcere, morì nel 1943 di fame e sete, dimenticato dai carcerieri che avevano fatto evacuare tutti i detenuti della prigione che era stata appena bombardata, scordandosi però di portar via Vito Cascio Ferro (Vito Genovese, ben più importante dell'anziano e fuori tempo mafioso don Vito Ferro, fu invece protetto dal fascismo).

È quindi quantomeno curioso che uno dei pochi mafiosi di "grande importanza" ad essere catturato durante l'epoca fascista fu don Vito Cascio Ferro, "amico degli anarchici" e con un passato di anarchico, lasciato poi però morire "per sbaglio".

Dallo sbarco alleato in Sicilia all'immediato dopoguerra

Il capomafia Vito Genovese, in divisa regolare da ufficiale americano, con accanto Salvatore Giuliano, il futuro responsabile della strage di Portella della Ginestra

Il rapporto che la mafia ebbe col fascismo fu quello tipico delle organizzazioni senza ideali, se non quelli "affaristici", che la portarono a seguire i propri interessi e a stringere alleanze "momentanee" col potere politico in atto in quel momento. Così, dopo lo sbarco degli alleati, Vito Genovese e Albert Anastasia diventarono stretti collaboratori di Charles Poletti, capo dell'amministrazione militare alleata in Sicilia (poi anche a Napoli e a Milano). A dimostrazione di questo è ben conosciuta una foto in cui Genovese è ritratto (vedi immagine), con la divisa dell'esercito americano in compagnia di Salvatore Giuliano [27].

Giuliano godeva della protezione di Genovese quando questi passò con gli statunitensi ma, dai documenti desecretati dall'OSS, risulta che fu appoggiato sia da fascisti che dagli agenti segreti americani. Secondo quanto riportato dagli storici, risulterebbero alte probabilità che il bandito Giuliano sia addirittura stato un fascista della X MAS. È ancora da rimarcare che i capi mafiosi riciclati dagli americani assolvettero compiti polizieschi, ovvero quelli di eliminare i gruppi criminosi che lavoravano in modo autonomo, cosa che peraltro fecero con zelo. Di questa situazione di cambio di campo, o quantomeno di riciclaggio dei mafiosi amici o meno del fascismo, uno dei principali registi fu Lucky Luciano [28]: «Lucky Luciano, il noto boss rinchiuso nelle carceri americane, passò i nomi di 850 persone su cui “contare" e gli ufficiali dell'OSS, che dirigeranno sul campo "l'operazione sbarco", saranno Max Corvo, Victor Anfuso e Vincent Scamporino [29]. Il loro gruppo sarà conosciuto come il "cerchio della mafia". Tra gli americani, in divisa dell'esercito, c'erano Albert Anastasia (ucciso nel dopoguerra in un negozio di barbiere) e don Vito Genovese, (il don Vito Corleone del film "Il padrino"), stretti collaboratori di Charles Poletti. Scrivono Roberto Faenza e Marco Fini “Gli americani in Italia”: "È così che quando nel 1943 gli americani sbarcheranno in Sicilia, la prima azione dell'OSS sarà [...] restituire la libertà ai mafiosi imprigionati dal regime fascista». [30]"

Sempre dalla stessa fonte viene precisato gli scopi delle inchieste USA sulla criminalità organizzata italiana erano tutt'altri che quelli di cacciare dei criminali:

«Quando, nel 1951, la Commissione americana si occupò degli italiani è evidente che ne approfittò per liberarsi di alcune componenti anarchiche. Perché allora la componente anarchica era molto presente tra gli italiani negli Stati Uniti: penso a gente come Nicola Sacco, Bartolomeo Vanzetti e Carlo Tresca» [31]'

In un'intervista al regista Pasquale Scimeca, questi afferma:

«I mafiosi che erano sfuggiti alla repressione del Prefetto Mori, emigrando in America, avevano fatto fortuna, esercitavano una rispettabile influenza e disponevano di non poche entrature in vari ambienti come quelli militari, dove prestavano il loro ausilio come interpreti, o strani accompagnatori. Alcuni di loro furono addirittura arruolati direttamente nei servizi segreti della Marina Americana. Illustrissimi, del calibro di Joe Profacy, Vincent Mangano, Nick Gentile, Vito Genovese e l'immancabile Lucky Luciano, si resero disponibili ad offrire la loro preziosa consulenza sfruttando gli antichi legami mai interrotti con la terra natia. Per portarsi avanti, nel contempo, L'OSS (Office Strategic Service) mandò Max Corvo e Vincent Scamporino, il capo del settore italiano del secret intelligence, a Favignana dove erano rinchiusi i mafiosi “perseguitati” dal Prefetto di ferro e li fece liberare» [32] "

Così scrive Giorgio Bongiovanni direttore di Antimafia 2000[33]:

«Dopo lo sbarco il loro primo incarico fu quello di mettere ordine, chi poteva farlo meglio di coloro che avevano sempre avuto un controllo serrato del territorio? In pochissimo tempo i padrini ripresero il comando e eliminarono con accanita sistematicità le decine di bande che infestavano l'isola, tutte tranne una: quella di Salvatore Giuliano, ricondotta sotto l'egida della famiglia di Montelepre, che controllava da giusta distanza la mitica azione rivoluzionaria del bandito. In men che non si dica venne a crearsi in Sicilia una catena di persone e personaggi, in numero sempre crescente, disposti a mettersi dalla parte dei vincitori. I capimafia di fatto si sentirono nobilitati e vennero elevati al grado di “liberatori”. Ma la vera legittimazione venne con l'assegnazione dei comuni ai vecchi boss che si ritrovarono di nuovo padroni dei loro feudi e con la fascia tricolore posta di traverso sul petto: Don Calò (Calogero Vizzini) divenne sindaco di Villalba, Salvatore Malta di Vallelunga, Genco Russo (Giuseppe Genco Russo) sovrintendente agli Affari Civili di Mussomeli e altri rivestirono incarichi ufficiali in diversi ambiti» [34]

Tutto ciò si collocò nell'ambito di rivolte sociali messe in atto dagli strati meno abbienti della popolazione siciliana, che portarono ad un gran numero di caduti in piazza. I morti fra i manifestanti furono circa 80, a fronte di due appartenenti agli organi di polizia dello Stato (rapporto di circa 40 ad 1) [35].

Rapporti tra Salvatore Giuliano, mafia e fascismo

Exquisite-kfind.png Vedi Salvatore Giuliano, un bandito fascista.

Salvatore Giuliano è stato spesso dipinto come una sorta di Robin Hood, in realtà è certa la sua relazione con gli ambienti fascisti e mafiosi antecedenti e seguenti l'8 settembre 1943.

Per inquadrare la sua storia si può partire dal rapporto statunitense intitolato I mafiosi (18 luglio 1943), che riferisce: «Ispettori della Milizia fascista sono stati inviati a Palermo e a Sciacca per aprire negoziati con esponenti mafiosi in prigione da lungo tempo. Ai mafiosi internati è fatta la seguente promessa: se contribuiranno a difendere la Sicilia, saranno allestiti nuovi processi per provare la loro innocenza». Infatti, più o meno un mese dopo, Giuliano cominciò il suo assalto alle caserme, uccise diversi carabinieri e soprattutto organizzò l'evasione di massa dei detenuti dalle carceri di Monreale (suo paese natale), nel quale soggiornavano numerosi mafiosi, non senza che la famiglia mafiosa dei Miceli desse la propria “benedizione” alle sue azioni.

Dell'esistenza di una “banda Giuliano” ne fecce cenno la spia calabrese dell'RSI Pasquale Sidari (arrestato nel marzo 1945):

«In Sicilia opera armata capeggiata da Giuliani [Salvatore Giuliano spesso si firmava come “Giuliani”]. Ogni milite arruolato percepisce 50000 Lire all'ingaggio e 6000 Lire come salario mensile [cifra straordinaria per l'epoca]. Questa ed altre bande operarono segretamente: Bande armate che funzionino segretamente [...] che esercitino in tutto il Paese il brigantaggio, che si mescolino alle manifestazioni popolari per suscitare torbidi. Ma soprattutto mimetizzati, penetrare nei partiti antifascisti e introdurvi fascisti a valanga, propugnare le tesi più spudoratamente radicali e il più insano rivoluzionarismo, sabotare e screditare l'opera del governo e soffiare a più non posso sul malcontento inevitabile. Così, seminando sciagure su sciagure, suscitare il rimpianto del fascismo e, al momento opportuno, riacciuffare il potere» (documento di grande attualità rintracciato dallo storico Aldo Giannuli nell'Archivio centrale dello Stato, Rapporto Gamba, fondo Polizia militare di sicurezza, busta n. 2). [36]

Il tutto fu orchestrato dall'Internazionale Nera, che smistava i soldi grazie alla collaborazione della Banca dell'Agricoltura e che dopo la guerra poté godere anche della collaborazione dei Peron (Juan ed Evita Peron). [37]

Infatti nel febbraio 1944 Giuliano si infiltrò a Taranto nella X Mas badogliana per conto della rete fascista di Pignatelli. Quando a Taranto poi giunsero i fascisti Cecacci e Bertucci, si spostò con loro a Penne dove incontrò i fratelli Console di Partinico, che in seguito costituiranno una cellula clandestina dell'RSI proprio a Partinico ed in stretta relazione con la banda Giuliano e con Selene Corbellino, spia della banda Kock e coordinatrice dei nazifascisti meridionali.

I rapporti della banda Giuliano con la mafia sono inoltre testimoniati dal documento Sis del 25 giugno 1947: dal '43 agiva sotto il controllo dei vari capifamiglia delle zona in cui operava: Vincenzo Rimi (Alcamo), Santo Fleres (Partinico), Domenico Albano (Borgetto), Salvatore Celeste (San Cipirello), Giuseppe Troia (San Giuseppe Jato), don Ciccio Cuccia (Piana degli Albanesi), don Calcedonio Miceli (Monreale). Furono proprio loro a determinare la fine delle altre bande criminali della zona e a voler partecipare all'elaborazione di strategie antidemocratiche:

«Mormini del Fronte - si legge in un lungo rapporto del Sis) - avrebbe dovuto raggiungere in Sicilia la banda Giuliano, a contatto anche con la mafia locale in parte a disposizione del suo gruppo».

Non è chiaro chi sia questo Mormini, ma il documento riportava che egli lavorava per il Fronte antibolscevico nell'isola, cioè per il “Nuovo comando generale” neofascista. Questa strategia antidemocratica e stragista sfocerà in vili sovversioni bombarole come la strage di Portella della Ginestra, di cui Giuliano fu il principale responsabile; il suo rapporto con i fascisti e con le forze reazionarie del paese è ben esemplificato dal rapporto SIS (25 luglio 1947): “Salvatore Giuliano, un bandito fascista”.

Il ruolo della mafia nel tentato "golpe Borghese"

Le dichiarazioni del boss Antonino Calderone, divenuto in seguito collaboratore di giustizia, protagonista della guerra di mafia con la famiglia di Nitto Santapaola, dopo il suo arresto, avvenuto a Nizza nel 1986, gettarono nuova luce sul “Golpe Borghese” (si sarebbe dovuto realizzare la notte tra il 7 e l'8 dicembre 1970), sino allora considerato come un evento quasi folkloristico messo in atto da vecchi nostalgici ex-fascisti. Calderone spiegò per bene sia il meccanismo che regolava la commissione interprovinciale di Cosa Nostra e sia i rapporti tra mafia e neofascisti:

... Mentre Liggio si nascondeva a Catania, ricevette la visita di due capi dello spessore di Sa«lvatore Greco e Tommaso Buscetta... dovevano discutere della partecipazione della mafia a un colpo di Stato, il cosiddetto Golpe Borghese... si trattava di aderire ad un golpe militare che sarebbe partito da Roma... e il ruolo della mafia era di partecipare alle operazioni in Sicilia. Al momento stabilito, i mafiosi dovevano accompagnare nelle diverse prefetture della Sicilia, un personaggio che si sarebbe sostituito al prefetto. Il tramite con i golpisti era un mafioso palermitano... un certo Carlo Morana... un tipo un po'pazzo molto amico di Giuseppe Di Cristina... Si concluse di aderire al colpo di Stato... Mio fratello Giuseppe andò a Roma per incontrare il principe Valerio Borghese... Questi disse a mio fratello che voleva degli uomini per occupare le prefetture siciliane e imporre nuovi prefetti... e se qualcuno avesse fatto resistenza lo avrebbero dovuto immediatamente arrestare... Pippo ascoltò pazientemente ma quando il principe arrivò a parlare degli arresti ebbe un sussulto. Giuseppe replicò scandalizzato che noi mafiosi non ci mettiamo a fare arresti... che cose di polizia non le facciamo... noi non arrestiamo nessuno... Se dobbiamo ammazzare qualcuno va bene, ma servizi di polizia non se ne fanno. Valerio Borghese convenne che gli uomini d'onore non avrebbero fatto arresti... avrebbero appoggiato le azioni di forza necessarie, affiancando i giovani fascisti catanesi, palermitani e di altre città, che già sapevano cosa dovevano fare». [38]

Borghese aveva offerto in cambio la revisione dei processi in atto, riferendosi soprattutto al processo Rimi[39] (che aveva già visto la condanna di Filippo e Vincenzo Rimi), proprio per questo si cercò di coinvolgere anche Gaetano Badalamenti, che aveva a cuore la sorte dei due Rimi Salvatore Greco “Cicchiteddu”, Salvatore Riina, Gerlando Alberti e Giuseppe Calderone incontrarono a Milano Badalamenti spiegando quanto loro proposto dai fascisti di Borghese.

Al termine dell'incontro la mafia decise di rifiutare l'offerta ma la famiglia mafiosa di Alcamo si interessò autonomamente del progetto di “golpe”, tanto che Natale Rimi, figlio di Vincenzo Rimi, a cui importava la revisione del processo a carico del padre e del fratello, era tra coloro che nella notte tra il 7 e l'8 dicembre 1970 si recarono a prendere le armi in una caserma militare di Roma (dettaglio stato riferito a Buscetta da Gaetano Badalamenti). Nonostante il “golpe” non fu mai messo in atto, le circostanze esposte da Buscetta coincidono con quelle di Antonino Calderone.

Dalle testimonianze di altri pentiti, per esempio Tommaso Buscetta (in sintonia con quelle di Antonio Calderone), emerse come la Sicilia, anche in quel periodo fu teatro di un intensi rapporti tra la Massoneria (es. l'allora Capitano dei Carabinieri Giuseppe Russo, massone,avrebbe avuto il compito di arrestare il Prefetto di Palermo), la mafia (gran parte dei nomi coinvolti nel tentato Golpe erano iscritti alla loggia massonica “P2” di Licio Gelli) e i neofascisti, tutti accomunati da un viscerale odio per i comunisti.

In questo contesto si inserì anche l'assassinio del giornalista Mauro De Mauro (16 settembre 1970), colpevole di aver scoperto l'alleanza (tentata) tra i boss mafiosi e i golpisti, oltre ad una serie di sporchi affari che vedeva protagonisti alcuni insospettabili uomini delle istituzioni italiane [40] [41].

Il dossier Casarrubea Cereghino

Il dossier pubblicato dagli storici Casarrubea e Cereghino [42] dimostra che esiste un filo logico che lega numerosi oscuri episodi verificatori dall'8 settembre 1943 in poi. Episodi troppo a lungo trascurati sia dalla "sinistra" italiana che da molti storici.

Note

  1. da Antistato totalitario e antistato mafioso di Massimo Annibale Rossi
  2. Breve biografia non esauriente su Christopher Duggan
  3. Si legga l'articolo Il "prefetto di ferro"
  4. da il ilduce.net
  5. I fascisti di codesto sito ammettono con poche righe sia l'inefficienza dell'azione di Mori che la collusione mafia-fascismo. In seguito i rapporti tra mafia e neofascisti si incrinarono, soprattutto dopo il tentato golpe dei Junio Valerio Borghese, e la mafia privilegiò le alleanze con la DC di Giulio Andreotti. È a questo che si deve forse l'acredine dei neofascisti contro la mafia, anche se vi è altresì da dire che il suddetto sito web in seguito si è dissociato dalle critiche a Mori, addebitando lo scritto all'azione di un qualche anonimo (N.d.R)
  6. Lo stato italiano e la guerra civile contro la camorra
  7. Approfondimenti: Mafia e Fascismo L'operazione incompiuta del prefetto Mori, di Davide Caracciolo
  8. Il "prefetto di ferro"
  9. Mafia e Fascismo, L'operazione incompiuta del prefetto Moridi Davide Caracciolo
  10. Analisi strategica
  11. Arma [...] Le statistiche testimoniavano il crollo di reati come abigeati, rapine, estorsioni, omicidi, danneggiamenti ed incendi dolosi, ma i pezzi grossi restavano ancora in giro. E attuavano un disegno classico della mafia. Abbandonavano lo scontro frontale per scegliere la strada della connivenza, cercando di instaurare rapporti con i vertici del fascismo. Mori, alla fine, sarà promosso per essere rimosso quando i danni avrebbero potuto essere irreparabili per i mafiosi. La stessa politica della repressione poliziesca, per quanto efficiente, non aveva spostato di una virgola le condizioni sociali in cui stagnava la Sicilia ed alla fine il regime si accontentò del successo di facciata»
  12. Scheda libro
  13. Stralcio di una lettera di un avvocato siciliano indirizzato a Mori, tratta do Arrigo Petacco, Il prefetto di ferro, 1975, Mondadori
  14. da articolo di Giovanni Grazzini, Il Corriere della Sera, 2 ottobre 1977
  15. da Recensione libro
  16. breve biografia non esauriente di Denis Mack Smith
  17. Scritto di Leonardo Sciascia
  18. breve biografia di Paolo Pezzino
  19. biografia inesauriente ma indicativa di Vito Genovese
  20. Tutta la Verità sul caso Tresca, di Mauro Canali
  21. da Wikipedia inglese: Carmine Galante
  22. Leggere tutta la verità sul caso Tresca di Mauro Canali (l'autore e fra quelli accreditati dal SISDE per i suoi lavori che spesso ne riportano stralci sul sito)]
  23. Approfondimenti: Ipotesi sull'assassinio di Carlo Tresca
  24. su Petrosino pubblicato su Wikipedia
  25. da tesi su rapporti fra mafia e fascismo
  26. Tesi sui rapporti mafia-fascismo
  27. Il bandito Giuliano e lo stato
  28. "Come anello di collegamento fra la criminalità siciliana, in particolare Salvatore Giuliano, e l'intelligence Usa, sulla base di numerosi indizi e riscontri, si avanza in queste pagine il nome di Mike Stern. Questi potrebbe aver gestito l'afflusso in Sicilia di ex repubblichini, sia per salvarli da eventuali vendette post-Liberazione, sia per far fronte all'avanzata rossa capitanata da Li Causi e Montalbano. Tra le pieghe di una situazione politica poco limpida, si muovevano del resto anche molte vecchie conoscenze del mondo della criminalità organizzata. Fra il gennaio e il giugno 1947, ossia in prossimità della strage di Portella delle Ginestre (che Casarrubea giudica un lontano prodromo della strategia della tensione), mentre Giuliano veniva avvicinato da una serie di personaggi legati ai servizi, al Fronte antibolscevico e al neofascismo, molto attivo in Sicilia risultava anche Lucky Luciano". Recensione di Come nasce la Repubblica. La mafia, il Vaticano e il neofascismo nei documenti americani e italiani 1943-1947 di Tranfaglia Nicola
  29. "Ma Scamporino è anche il legale dei sindacati controllati da Cosa Nostra. In Sicilia, prima dello sbarco, le missioni degli agenti di Scamporino si avvalgono di una fitta rete di protezione mafiosa, che oltre a dare riparo e assistenza, fornisce loro ogni genere d'informazione di valore militare". Si legga anche: da Italia Sociale
  30. da "Corsa infinita" (sito dei bersaglieri)
  31. da "Trombealvento"
  32. da Una storia di stragi e misteri, di Giorgio Bongiovanni
  33. Antimafia 2000
  34. da Una storia di stragi e misteri di Giorgio Bongiovanni, direttore di Antimafia 2000
  35. Cronologia rivolte siciliane del secondo dopo guerra
  36. da Montagna-longa.noblogs.org
  37. da "Montagna-longa.noblogs.org"
  38. Il golpe borghese
  39. da www.senzamemoria.com
  40. Repubblica.it
  41. Il caso De Mauro
  42. Dossier Casarrubea Cereghino

Bibliografia

  • Ezio Taddei, Il "caso" Tresca, 2006
  • Italia Gualtieri, Carlo Tresca: vita e morte di un anarchico italiano in America 1999 - 71 pagine
  • "Regione Abruzzo, Centro servizi culturali di Sulmona, Circolo cultura & societa. Giornata della memoria, 20 maggio 1994"
  • Carlo Tresca, L'attentato a Mussolini: ovvero, Il segreto di PulcinellaNew York, 4 edizioni, l'ultimo per tempo, editore Alexandria, Va., 1987
  • Gabriella Facondo, Socialismo italiano esule negli USA (1930-1942), Federazione italiana delle associazioni partigiane, 1993, Bastogi
  • Piero Calamandrei, Il Ponte, 1945 La Nuova Italia
  • Fiandaca G.-Costantino S., La mafia, le mafie tra detti e nuovi paradigmi, Laterza, Bari, 1994
  • Paolo Pezzino, Mafia, Stato e società nella Sicilia contemporanea: secoli XIX e XX
  • Nicola Tranfaglia, Mafia, politica, affari nell'Italia repubblicana, 1943-91, Laterza, Bari, 1992
  • Arrigo Petacco, Il prefetto di ferro, Mondadori, Milano, 1976
  • Cesare Mori, Con la mafia ai ferri corti, Pagano, Napoli, 1993
  • Salvatore Lupo, Storia della mafia, Roma, Donzelli, 1994
  • Monte S. Finkelstein, Separatism, the Allies and the Mafia: The Struggle for Sicilian Independence 1943-1948 (Separatismo, gli alleati e la mafia: La lotta per indipendenza siciliana 1943-1948), Lehigh Univ Pr
  • Giovanni Raffaele, L'ambigua tessitura. Mafia e fascismo nella Sicilia degli anni Venti, Angeli, Milano, 1993
  • Christopher Duggan, La mafia durante il Fascismo 1987, Rubbettino, con Prefazione di Denis Mack Smith
Giuseppe Casarrubea padre sindacalista ucciso dai mafiosi collusi con i fascisti davanti alla Camera del Lavoro di Partinico

Bibliografia specifica inerente il Dossier Casarrubea Cereghino

Per ulteriori approfondimenti, si rinvia alle seguenti opere:

Giuseppe Casarrubea:

  • Portella della Ginestra. Microstoria di una strage di Stato, Milano, Franco Angeli, 1997
  • Fra'Diavolo e il governo nero. Doppio Stato e stragi nella Sicilia del dopoguerra, Milano, Franco Angeli, 1998
  • Provincia Regionale di Palermo, Comune di Piana degli Albanesi, Biblioteca comunale “G. Schirò”
  • Portella della Ginestra. 50 anni dopo (1947 - 1997), Caltanissetta - Roma, Salvatore Sciascia Editore, 1999, vol. I (atti del Convegno); vol. II (documenti raccolti, annotati e introdotti da Giuseppe Casarrubea); vol. III (documenti raccolti, scelti e introdotti da Giuseppe Casarrubea, 2001)
  • Salvatore Giuliano. Morte di un capobanda e dei suoi luogotenenti, Milano, Franco Angeli, 2001
  • Storia segreta della Sicilia. Dallo sbarco alleato a Portella della Ginestra, Milano, Bompiani, 2005
  • Morte di un agente segreto, Roma, Nuova Iniziativa Editoriale, 2006

Nicola Tranfaglia:

  • Come nasce la repubblica. La mafia, il Vaticano e il neofascismo nei documenti americani e italiani, 1943 - 1947, Milano, Bompiani, 2004

Giuseppe Casarrubea - Mario J. Cereghino:

  • Tango Connection. L'oro nazifascista, l'America latina e la guerra al comunismo in Italia. 1943 -1947, Milano, Bompiani, 2007

Voci correlate

Collegamenti esterni

Note
  1. Mauro Canali e fra gli autori accreditati dal SISDE per i suoi lavori che spesso ne riportano stralci sul sito]
  2. «Dalle centinaia di documenti rinvenuti nel 1997 dallo storico Aldo Sabino Giannuli presso l'archivio dell'Ufficio Affari Riservati di Federico Umberto D'Amato (noto anche come archivio del Servizio informazioni e sicurezza, Sis), apprendiamo che negli anni 1944 - 1947 la banda di Salvatore Giuliano è direttamente collegata ai gruppi eversivi neofascisti, monarchici e antibolscevichi, in particolare romani e meridionali (cfr. Aldo Sabino Giannuli, Salvatore Giuliano, un bandito fascista, rivista Libertaria, anno 5, n. 4, ottobre - dicembre 2003, pp. 48 - 58). Sul tema, citiamo di seguito alcuni documenti: ecc.» da Documenti statunitensi e italiani sulla banda Giuliano, la Decima Mas e il neofascismo in Sicilia di Giuseppe Casarrubea.