La Cecilia

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Giovanni Rossi, fondatore della colonia

Tra il 1890 e il 1894 si realizzò l'esperienza più importante della giovane storia del movimento libertario brasiliano: l'ideazione, la nascita, lo sviluppo e poi il declino, nello Stato del Paranà , della comunità  anarchica de La Cecilia.

La comune

L'idea

L'idea di costruire una comunità  anarchica nacque dalla tenacia e intraprendenza dell'agronomo anarchico Giovanni Rossi, il cui entusiasmo riuscì a coinvolgere moltissime persone che lo aiutarono a mettere in atto il suo progetto comunista e antiautoritario [1].

Rossi, oltre che agronomo, fu giornalista, militante libertario dell'AIT e attivista instancabile sempre alla ricerca della realizzazione concreta delle idee rivoluzionarie e libertarie che circolavano in quegli anni in Italia e in Europa.

È da ricordare che Giovanni Rossi, tra il 1887 e il 1890, visse un'esperienza simile in Italia, fondando, sulla base degli stessi principi che poi esporterà  a La Cecilia, la colonia di Cittadella.

Il progetto

Il 20 febbraio 1890 la nave “Città  di Genova” salpò verso il Brasile. A bordo vi erano anarchici e socialisti, soprattutto di nazionalità  italiana, il cui scopo era quello di realizzare a Palmeira (Stato del Paranà , Brasile) una comune che si reggesse secondo i principi dell'anarco-comunismo [2].

Molti anarchici, tra cui Errico Malatesta, accusarono Giovanni Rossi di voler “rubare” militanti anarchici al movimento italiano, per condurli verso un'esperienza dai contorni non troppo chiari (difficoltà  finanziarie, competenze non eccelse, scarsa conoscenza dell'ambiente brasiliano ecc.).

Nonostante tutto, coloro che decisero di seguirlo in quest'avventura furono circa 150: medici, ingegneri, contadini, artisti, operai e semplici individualità  desiderose di mettere in pratica nuovi modi di intendere l'economia, le questioni sociali, quelle educative, quelle amorose (amore libero) e le lotte sociali per l'emancipazione proletaria.

La Comune consisteva in qualche decina di case di legno e magazzini, cucina, refettorio e stalle. I coloni oltre a coltivare la terra possedevano una piccola fabbrica di scarpe, una falegnameria, un laboratorio per la costruzione di botti ed anche una scuola strutturata sulla base di sistemi pedagogici libertari.

Difficoltà , declino e fine dell'esperienza

Nonostante tutta una serie di problemi (scarsa conoscenza del territorio, limitate competenze agricole di molti coloni, difficoltà  nel reperire macchinari), la colonia ottenne alcuni buoni risultati, ma ciò non fece altro che stimolare gli “appetiti” di alcuni immigrati polacchi che aggredirono fisicamente gli abitanti de La Cecilia con la speranza di appropriarsi della terra con la forza.

Le difficoltà  lentamente, ma inesorabilmente, andarono a sommarsi l'una con l'altra. Il colpo definitivo alle "speranze libertarie" fu dato dalle epidemie che causarono la morte di alcuni bambini e dal tradimento del tesoriere della comunità , che fuggì dopo aver rubato la "cassa" de La Cecilia (il furto non creò tanto problemi economici, quanto una forte delusione per il tradimento ricevuto da un compagno di cui si fidavano).

A quel punto la colonia fu abbandonata, molti si spostarono verso le grandi città  brasiliane in cerca di lavoro, contribuendo in maniera determinante alla nascita e allo sviluppo delle lotte operaie sindacali.

La Cecilia nel cinema

L'esperienza de «La Cecilia» e di Giovanni Rossi è stata raccontata in un film: «La Cecilia» (1976), di Jean-Louis Comolli, Francia/Italia, con Massimo Foschi, Vittorio Mezzogiorno, Maria Carta, col., 113 mm.

C'è una sottile ironia che permea di sé l'intera pellicola: il paradosso dell'Imperatore che finanzia l'esperimento della comune e la successiva nuova Repubblica che ne rinnega l'autonomia; l'accettare di lavorare nelle pietraie governative per rimborsare al Governo brasiliano il prezzo delle terre occupate; i contadini che rinfoltiscono, con le loro famiglie, la piccola società , ma che al tempo stesso pretendono di vivere quasi come borghesi (e che alla fine se ne vanno portandosi via il frutto del proprio lavoro); le critiche degli anarchici italiani, che tacciano i comunardi di assenteismo dalla lotta; l'amore libero accettato, in teoria, ma, nella pratica, vissuto con sofferenza e come qualcosa di innaturale; le discussioni e le litigate sulle diverse visioni dell'anarchia... in particolare, merita di essere ricordato lo scambio tra un compagno (A) che legge un saggio socialista e sottolinea l'importanza degli intellettuali e un compagno (B) che replica:
A: Non sono che teorie.
B: Eppure ce n'è di bisogno di teorie.
A: Ma quali teorie? Ora te la dico io la sola frase che ho imparato nei libri. Stai a sentire: per loro propria natura gli uomini di scienza sono portati a ogni sorta di perversione intellettuale e morale, e i loro principali vizi sono l'esagerazione delle proprie conoscenze e il disprezzo verso tutti coloro che non sanno; date loro il potere e diventeranno i più insopportabili tiranni.
B: E chi te l'ha dette tutte queste cretinate?
A: Bakunin.

Note

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Bibliografia

  • C. De Mello Neto, O anarquismo experimental de Giovanni Rossi. De Poggio al Mare à  Colônia Cecília, 2 ed., Ponta Grossa, Editora UEPG, 1998.
  • R. Gosi, Il socialismo utopistico. Giovanni Rossi e la colonia anarchica Cecilia, Milano, Moizzi Editore, 1977.
  • M. L. Betri, Cittadella e Cecilia. Due esperimenti di colonia agricola socialista. Carte inedite a cura di Luisa Betri e un saggio introduttivo su l'utopia contadina, Milano, Edizioni del Gallo, giugno 1971.
  • R. Zecca, Il positivismo anarchico di Giovanni Rossi. L'esperimento di una comune libertaria nel Brasile della fine del XIX secolo, Università  degli Studi di Milano, Tesi di Laurea, 2008.

Voci correlate

Collegamenti esterni

  1. Secondo quanto riportato da svariate fonti (La cecilia: una vita in una comune [Storia illustrata, 1973], Documento, Wikipedia portoghese ecc.) sarebbe stato l'imperatore del Brasile, Don Pedro II, a concedere in dono la terra su cui sarebbe nata La Cecilia. Tale decisione sarebbe nata in seguito all'incontro avvenuto a Milano tra Rossi e Don Pedro. Il dramma fu, sempre secondo queste fonti, che i coloni si misero in viaggio senza essere al corrente della caduta della monarchia e dell'avvento della repubblica, la quale poi non ritenne più valido il patto stipulato tra Rossi e l'ex-imperatore. Per questo i coloni sarebbero stati quindi costretti a pagare ingenti tasse per poter restare in quelle terre, creando loro enormi difficoltà  di tipo economico. Tuttavia, la teoria della partecipazione imperiale, lanciata da Alfonso Schmitd e ripresa da Zelia Gattai in un racconto sicuramente suggestivo ma sostanzialmente privo di interesse storiografico, è fortemente contestata: Rosellina Gosi, nel 1977, ha iniziato a evidenziare come la tesi si basasse sostanzialmente su poco più che il nulla, e Isabelle Felici (che ha curato il tema anche in una tesi di dottorato presso l'Université de la Sorbonne Nouvelle-Paris III nel 1994) in un breve saggio pubblicato dalla Rivista Storica dell'Anarchismo nel 1996 (numero 2, secondo semestre) ha definitivamente smontato la teoria di Schmitd (è stato anche sottolineato, per tramite di una attenta indagine storiografica, come molto probabilmente mai Cardias incontrò Pedro II).
  2. Secondo quanto riportato da svariate fonti (La cecilia: una vita in una comune [Storia illustrata, 1973], Documento, Wikipedia portoghese ecc.) sarebbe stato l'imperatore del Brasile, Don Pedro II, a concedere in dono la terra su cui sarebbe nata La Cecilia. Tale decisione sarebbe nata in seguito all'incontro avvenuto a Milano tra Rossi e Don Pedro. Il dramma fu, sempre secondo queste fonti, che i coloni si misero in viaggio senza essere al corrente della caduta della monarchia e dell'avvento della repubblica, la quale poi non ritenne più valido il patto stipulato tra Rossi e l'ex-imperatore. Per questo i coloni sarebbero stati quindi costretti a pagare ingenti tasse per poter restare in quelle terre, creando loro enormi difficoltà  di tipo economico. Tuttavia, la teoria della partecipazione imperiale, lanciata da Alfonso Schmitd e ripresa da Zelia Gattai in un racconto sicuramente suggestivo ma sostanzialmente privo di interesse storiografico, è fortemente contestata: Rosellina Gosi, nel 1977, ha iniziato a evidenziare come la tesi si basasse sostanzialmente su poco più che il nulla; Isabelle Felici (che ha curato il tema anche in una tesi di dottorato presso l'Université de la Sorbonne Nouvelle-Paris III nel 1994) in un breve saggio pubblicato dalla Rivista Storica dell'Anarchismo nel 1996 (numero 2, secondo semestre) ha definitivamente smontato la teoria di Schmitd (è stato anche sottolineato, per tramite di una attenta indagine storiografica, come molto probabilmente mai Cardias incontrò Pedro II). D'altronde la stessa figlia di Cardias, Ebe Cecilia Rossi, in un'intervista rilasciata all'Istituto Ernesto De Martino a Pisa nel 1974, ha espreso forti dubbi sulla veridicità  di tale teoria. Si legga inoltre: Discussione:Giovanni Rossi