Io e l'anarchismo (di Stig Dagerman)

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Stig Dagerman e Anita Björk

Testo dello scrittore anarchico Stig Dagerman pubblicato nel 1946 sul secondo numero della rivista 40-tal (Gli Anni 1940). È comparso tradotto in italiano nella rivista Voce libertaria, n°20, marzo-aprile 2012.

Io e l'anarchismo

Non tutti i detrattori dell'anarchismo hanno la stessa idea del pericolo ideologico che esso rappresenta e questa idea varia in funzione del loro grado di armamento e delle possibilità legali che hanno di farne uso. Mentre in Spagna, tra il 1936 e il 1939, l'anarchico era considerato così pericoloso per la società che conveniva sparargli addosso dai due lati (in effetti, non era esposto solo di fronte ai fucili tedeschi e italiani ma anche, alle spalle, alle pallottole degli «alleati» comunisti), l'anarchico svedese è considerato in certi ambienti radicali, ed in particolare marxisti, un romantico impenitente, una specie di idealista della politica con complessi liberali profondamente radicati. In modo più o meno cosciente, si chiudono gli occhi sul fatto, pertanto capitale, che l'ideologia anarchica, accoppiata a una teoria economica (il sindacalismo) è sfociata in Catalogna durante la guerra civile, in un sistema di produzione perfettamente funzionante, basato sull'eguaglianza economica e non sul livellamento mentale, sulla cooperazione pratica senza violenza ideologica e sulla coordinazione razionale senza eliminazione della libertà individuale: concetti contraddittori che sfortunatamente sembrano essere sempre più diffusi sotto forma di sintesi. Al fine, per iniziare, di confutare una varietà di critiche anti-anarchiche – che sovente provengono da persone che confondono la loro piccola poltrona da redattore con il barile di polvere e che, alla luce, per esempio, di qualche reportage sulla Russia, pensano di detenere il monopolio della verità sulla classe operaia e sulle sue condizioni – ho intenzione nelle righe seguenti di attardarmi su questa forma di anarchismo conosciuta, in particolare nei paesi latini, con il nome di anarcosindacalismo e che si è rivelata perfettamente efficace non solamente per la conquista delle libertà soffocate, ma anche per la conquista del pane.

Nella scelta di una ideologia politica, il percorso principale verso una società che rappresenti almeno un minimo di somiglianza con gli ideali sognati prima di accorgersi che le bussole terrestri sono disperatamente falsate, interviene quasi sempre la presa di coscienza del fallimento di altre possibilità, siano naziste, fasciste, liberali o di qualsiasi altra tendenza borghese, che non si manifesta solamente con la quantità di rovine, di morti e di infermi nei paesi direttamente colpiti dalla guerra, ma anche con la quantità di nevrosi e di casi di follia e di mancanza di equilibrio nei paesi apparentemente risparmiati come la Svezia. Il criterio di anomalia di un sistema sociale, non è solamente un'ingiustizia rivoltante nella ripartizione del cibo, degli abiti e delle possibilità d'educazione, occorre anche stabilire chiaramente che una autorità temporanea che ispira la paura ai suoi amministrati deve essere oggetto di una salutare sfiducia. I sistemi basati sul terrore, come il nazismo, rivelano certo immediatamente la loro natura con una brutalità fisica che non conosce limiti, ma una riflessione appena un po'approfondita porta presto a comprendere che gli stessi sistemi statali più democratici fanno pesare sul comune mortale una carica di angoscia che né i fantasmi né i romanzi polizieschi hanno la minima possibilità di eguagliare. Noi tutti ricordiamo i grandi titoli neri e terrificanti dei giornali all'epoca di Monaco – quante nevrosi hanno sulla coscienza! – ma la guerra dei nervi che i padroni del mondo stanno conducendo in questo momento a Londra contro la popolazione del globo, tramite l'assemblea generale dell'ONU, non è meno raffinata. Lasciamo da parte come sia inammissibile che un pugno di delegati possa giocare con il destino di un buon miliardo di esseri umani senza che nessuno trovi questo fatto rivoltante, ma chi dirà quanto è orribile e barbaro, dal punto di vista psicologico, il metodo con il quale sono regolati i destini del mondo? La violenza psichica, che sembra essere il denominatore comune della politica che conducono nazioni per altro molto diverse come l'Inghilterra e l'URSS, già basta per qualificare d'inumano i loro rispettivi regimi. Sembra che per i regimi autoritari, come per quelli democratici e quelli dittatoriali, gli interessi di Stato siano a poco a poco diventati un fine in sé di fronte ai quali lo scopo originario della politica è dovuta scomparire: favorire gli interessi di determinati gruppi umani. Disgraziatamente, la difesa dell'elemento umano nella politica è stata trasformata in slogan vuoti di significato grazie a una propaganda liberale che ha mascherato gli interessi egoistici di certi monopoli sotto il velo dei dogmi umanitari dolciastri e senza un grande contenuto idealista, ma questo non può naturalmente da solo mettere in pericolo la capacità umana di adattamento, come i propagandisti della dottrina statale vogliono farci credere.

I processi di astrazione che ha subito il concetto di Stato nel corso degli anni è secondo me una delle convenzioni più pericolose di tutti gli intrichi di convenzioni che il poeta deve attraversare. L'adorazione del concreto, di cui Harry Martinson si è accorto nel corso del suo viaggio in URSS e che era il nucleo della dottrina statale (e che si manifestava con i ritratti Stalin di ogni dimensione e forma), era solo una scorciatoia sul cammino che portava a quella canonizzazione dell'Astratto che fa parte delle caratteristiche più spaventose del concetto di Stato. È precisamente l'astratto che, con la sua intangibilità, con la sua situazione fuori dalla sfera delle influenze, può dominare l'azione, paralizzare la volontà, intralciare l'iniziativa e trasformare l'energia in una catastrofica nevrosi della subordinazione per mezzo di una brutalità psichica che può, per un determinato periodo, garantire ai dirigenti una certa dose di pace, di comfort e di sovranità politica apparente, ma che, alla fine, può avere solo gli effetti di un boomerang sociale. Il compenso che, in una società statale, l'individuo, ad ogni elezione, si vede offrire per le possibilità d'azione di cui è privato è insufficiente e lo sarà naturalmente sempre di più nella misura in cui la sua capacità interiore di iniziativa si vedrà compressa. I legami invisibili che, al di sopra delle nubi, uniscono in una comunanza di destini complessa, ma grandiosa, lo Stato e l'alta finanza, i dirigenti con coloro che li manipolano e la politica con il denaro, instilla nella parte non iniziata dell'umanità un fatalismo che né le società statali per la costruzione di abitazioni né i romanzi-denuncia di Upton Sinclair no sono riusciti ad intaccare.

È dunque stabilito che lo Stato democratico contemporaneo rappresenta una varietà completamente nuova di inumanità che non sfigura affatto confrontata ai regimi autocratici delle epoche precedenti. Il principio «dividi ed impera» non è certo stato abbandonato ma l'angoscia risultante dalla fame l'angoscia risultante dalla sete, l'angoscia risultante dall'inquisizione sociale ha, almeno di principio, dovuto cedere il posto – in quanto mezzo di sovranità nell'ambito dello Stato provvidenza – all'angoscia, risultante dall'incertezza e dall'incapacitdi disporre dell'essenziale del proprio destino, da parte dell'individuo. Intrappolato nel blocco dello Stato, l'individuo è incessantemente in preda a un lancinante sentimento d'incertezza e di impotenza che ricorda la situazione del guscio di noce nel maelström o quella di un vagone ferroviario attaccato ad una locomotiva impazzita dotato di pensiero, ma che non possiede la possibilità di comprendere i segnali né di riconoscere gli scambi. Alcuni hanno tentato di definire l'analisi ossessiva dell'angoscia che caratterizza il mio libro Il Serpente come una specie di «romanticismo dell'angoscia», ma il romanticismo implica un'incoscienza analitica, un modo deliberato di ignorare ogni fatto che rischia di non quadrare con l'idea che ci si è fatti delle cose. Mentre il romantico dell'angoscia – preso da una gioia segreta di vedere improvvisamente concordare tutto – desidera incorporare l'insieme nel suo sistema di angoscia, l'analista dell'angoscia combatte contro questo insieme, con la sua analisi come un baluardo, mettendo a nudo con il suo stiletto tutte le ramificazioni segrete.

Sul piano politico, questo implica che il romantico, che accetta tutto quello che può alimentare i bracieri della sua fede, non può rimproverare nulla ad un sistema sociale basato sull'angoscia e lo fa persino suo con una gioia fatalista. Per me, che al contrario sono un analista dell'angoscia, è stato necessario, con l'aiuto di un metodo analitico di successive esclusioni, trovare una soluzione nella quale ogni macchina sociale possa funzionare senza dover ricorrere all'angoscia o alla paura come fonte di energia. Certamente questo suppone una dimensione completamente nuova che deve essere sbarazzata dalle convenzioni che abitualmente consideriamo indispensabili. La psicologia sociologica deve darsi il compito di distruggere il mito dell'«efficacia» del centralismo: la nevrosi, causata dalla mancanza di prospettive e dall'impossibilità di identificare la propria situazione nella società,non può essere controbilanciata da vantaggi materiali puramente apparenti. La frammentazione della macro-collettività in piccole unità individualiste, cooperanti tra di esse ma autonome, che preconizza l'anarcosindacalismo, è la sola soluzione psicologica possibile in un mondo nevrotico dove il peso della sovrastruttura politica fa vacillare l'individuo. L'obiezione secondo cui la cooperazione internazionale sarebbe intralciata dalla distruzione dei diversi Stati non resiste all'analisi; perché nessuno potrebbe osare sostenere che la politica estera, condotta sul piano mondiale dagli Stati, abbia contribuito ad avvicinare le nazioni le une alle altre. Più seria è l'obiezione secondo cui l'umanità non sarebbe, qualitativamente parlando, capace di far funzionare una società anarchica. È forse vero fino ad un certo punto: il riflesso del gruppo, inculcato dall'educazione, così come la paralisi dell'iniziative hanno avuto degli effetti totalmente nefasti per un pensiero politico uscito dai sentieri battuti (È per questa ragione che ho scelto di esporre le mie idee sull'anarchismo principalmente nella forma negati va). Ma dubito che l'autoritarismo e il centralismo siano innati nell'uomo. Al contrario, credo piuttosto che un nuovo pensiero che – in mancanza di meglio, chiamerò “primitivismo intellettuale” – con un'analisi molto dettagliata procederebbe ad una radiografia delle principali convenzioni lasciate da parte dal suo progenitore il primitivismo sessuale, potrebbe finire per fare proseliti tra tutti coloro i quali, al costo tra altre cose di nevrosi e di guerre mondiali, vogliono far coincidere i loro calcoli con quelli di Marx, di Adam Smith o del papa. Questo suppone forse a sua volta una nuova dimensione letteraria di cui varrebbe senza dubbio la pena di esplorare i principi.

Lo scrittore anarchico (forzatamente pessimista, poiché cosciente del fatto che il suo contributo può essere solo simbolico) può per il momento attribuirsi in buona coscienza il modesto ruolo del lombrico nell'humus culturale che, senza di lui, resterebbe sterile a causa dell'aridità delle convenzioni. Essere il politico dell'impossibile, in un mondo dove quelli del possibile sono fin troppo numerosi, è malgrado tutto un ruolo che mi soddisferebbe sia in quanto essere sociale che come individuo e come autore de Il Serpente.


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