Giuseppe Pinelli: differenze tra le versioni

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[[Image:Pinelli3.jpg|left|thumb|300px|Le due targhe in memoria di Giuseppe Pinelli.]]
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[[File:Tp3.jpg|miniatura|500px|A sinistra l'iscrizione originaria, a destra quella del Comune di Milano.]]
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[[Image:Francobollo_Pinelli.jpg|left|150px|thumb|Il francobollo delle "Avamposte Italiane" dedicato a Pinelli.]]
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Ha suscitato polemiche la decisione del Comune di Milano di sostituire la targa dedicata a Giuseppe Pinelli, posta in Piazza Fontana. La precedente, apposta dal [[Circolo anarchico Ponte della Ghisolfa|circolo anarchico Ponte della Ghisolfa]], si riferiva a Pinelli come «'''ucciso innocente'''». Quella apposta dal Comune recita invece «'''innocente morto tragicamente'''». La targa era stata già sostituita nel [[2004]] dagli [[anarchici]] milanesi a causa dello stato di disfacimento dell'originale esposto per oltre trent'anni al clima meneghino.
Ha suscitato polemiche la decisione del Comune di Milano di sostituire la targa dedicata a Giuseppe Pinelli, posta in Piazza Fontana. La precedente, apposta dal [[Circolo anarchico Ponte della Ghisolfa|circolo anarchico Ponte della Ghisolfa]], si riferiva a Pinelli come «'''ucciso innocente'''». Quella apposta dal Comune recita invece «'''innocente morto tragicamente'''». La targa era stata già sostituita nel [[2004]] dagli [[anarchici]] milanesi a causa dello stato di disfacimento dell'originale esposto per oltre trent'anni al clima meneghino.

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Giuseppe Pinelli

Giuseppe Pinelli (Milano, 21 ottobre 1928 - 16 dicembre 1969) è stato un ferroviere ed un anarchico, animatore del Circolo anarchico Ponte della Ghisolfa. Morì, a Milano, il 16 dicembre 1969, precipitando da una finestra della questura di Milano, dove era illegalmente trattenuto per accertamenti in seguito alla strage di Piazza Fontana.

Biografia

Giuseppe Pinelli

Giuseppe Pinelli nasce a Milano, nel quartiere popolare di Porta Ticinese, il 21 ottobre 1928. Finite le elementari è "costretto" ad andare a lavorare prima come garzone, poi come magazziniere. La sua innata sete di conoscenza lo porta a colmare le sue lacune da autodidatta, attraverso la lettura di centinaia e centinaia di libri.

Nel '44-'45 partecipa alla Resistenza antifascista come staffetta delle Brigate Bruzzi e Malatesta. Dopo la fine della guerra "Pino" continua a rimanere convinto ed attivo, partecipando con entusiasmo alla crescita del movimento anarchico a Milano.

Nel 1954 vince un concorso ed entra nelle ferrovie come manovratore. L'anno successivo si sposa con Licia Rognini, incontrata ad un corso di esperanto. Nel 1963 si unisce ai giovani anarchici della Gioventù Libertaria, due anni dopo è tra i fondatori del Circolo "Sacco e Vanzetti". Nel novembre del 1966, da attivo militante anarchico, sostiene Gennaro De Miranda, Umberto Tiboni, Gunilla Hunger, Tella Ferrari e altri ragazzi del giro dei cosiddetti capelloni nella stampa delle prime copie della rivista Mondo Beat. A tale scopo utilizza la sezione anarchica "Sacco e Vanzetti" di via Murilio.

Nel 1968 uno sfratto costringe i militanti alla chiusura del circolo ma, il 1° maggio Pinelli è tra gli inauguratori di un nuovo circolo, in piazzale Lugano 31, a pochi metri dal Ponte della Ghisolfa. Al nuovo circolo si succedono cicli di conferenze e assemblee dei primi Comitati di Base Unitari (CUB), che segnano la prima ondata di sindacalismo di azione diretta, al di fuori delle organizzazioni sindacali ufficiali. "Pino" è tra i promotori della ricostruzione della sezione dell'Unione Sindacale Italiana (USI), l'organizzazione di ispirazione sindacalista-rivoluzionaria e libertaria.

Dopo gli assurdi arresti degli anarchici per le bombe esplose il 25 aprile 1969 a Milano, alla stazione centrale e alla fiera campionaria (saranno assolti nel giugno 1971), Pinelli si impegna alacramente per raccogliere pacchi di cibo, vestiario e libri da inviare ai compagni in carcere. Nell'ambito della appena costituita Croce Nera Anarchica, si impegna nella costruzione di una rete di solidarietà e di controinformazione che possa servire anche in altri casi simili.

Il 12 dicembre 1969, dopo la strage di Piazza Fontana, Pinelli viene invitato a seguire i poliziotti in questura, anzi, a precederli col motorino. Tre giorni dopo, il corpo di Pino viene scaraventato giù dalla finestra di una stanza dell'ufficio politico, al quarto piano della questura. È la fine di una vita e l'inizio di una tragica farsa, tuttora in corso.

Un omicidio di Stato

Il 12 dicembre 1969, esplode una bomba a Piazza Fontana, Milano. Muiono sedici persone. Immediatamente mass-media e magistratura puntano l'indice contro gli anarchici, ma in realtà è una strage di Stato. Tre giorni dopo, l'anarchico Giuseppe Pinelli sarà defenestrato dal 4° piano della questura di Milano durante un interrogatorio illegale (lo stato di fermo era scaduto).

Pinelli viene fermato poche ore dopo la strage del 12 dicembre 1969 a Piazza Fontana. Viene interrogato per tre giorni e alla sera del terzo giorno viene trovato morto nel cortile della questura, dopo essere precipitato dalla finestra della stanza dell'interrogatorio che si trova al quarto piano. La versione ufficiale parla di suicidio: gli inquirenti cercano di far credere che Pinelli si sia tolto la vita perché coinvolto nell'attentato. Non è vero, così come è falsa la ricostruzione delle ultime ore di interrogatorio.

Contesto storico e precedenti

Il 1968 e il 1969 sono anni dove la contestazione operaia e studentesca sembra portare a grandi cambiamenti. Tra il gennaio e il dicembre 1969 vengono compiuti 145 attentati quasi tutti di matrice fascista.

Il 25 aprile 1969 gli anarchici sono accusati e poi assolti di vari attentati alla fiera di Milano. Un anarchico, di nome Paolo Braschi, viene invitato durante un interrogatorio dal commissario Calabresi a buttarsi dalla finestra.

I fatti e la testimonianza di Valitutti

Il 12 dicembre 1969, a Milano, nella sede della Banca Nazionale dell'Agricoltura in Piazza Fontana, alle 16,37 scoppia una bomba che causa la morte di 16 persone e il ferimento di altre 88. Nella stessa ora, a Roma, scoppiano altre bombe. Infine, nella Banca Commerciale di Milano viene trovata una borsa contenente una bomba che, in tutta fretta, viene fatta esplodere, eliminando una prova preziosa per le indagini. Immediatamente, a dimostrazione di un disegno già preordinato, le indagini, senza alcun indizio, seguono la pista anarchica. Il commissario Luigi Calabresi, già alle 19,30 (3 ore dopo la strage) ferma alcuni anarchici davanti al circolo di via Scaldasole.

Nella notte del 12 dicembre sono illegalmente fermate circa 84 persone, quasi tutte anarchiche, tra cui Giuseppe Pinelli. Il lunedì 15 dicembre viene arrestato, con l'accusa di strage, Pietro Valpreda, anarchico. Dopo più di tre anni di galera, innocente, sarà completamente assolto. I giornali partono con una campagna stampa di calunnia e denigrazioni, sposando le tesi della questura.

La sera del 15 dicembre dopo 3 giorni di continui interrogatori, muore, volando dal 4° piano della questura, Giuseppe Pinelli. Aldo Palumbo, cronista de «l'Unità», mentre cammina sul piazzale della questura sente un tonfo, poi altri due: è un corpo che cade dall'alto, che batte sul primo cornicione del muro, rimbalza su quello sottostante e infine si schianta al suolo, per metà sul selciato del cortile e per metà sulla terra soffice dell'aiuola.

Nella stanza dell'interrogatorio sono presenti il commissario Luigi Calabresi, i brigadieri Panessa, Mucilli, Mainardi, Caracutta e il tenente dei carabinieri Lograno, che saranno tutti per "meriti" elevati di grado. Il questore Marcello Guida, nel 1942 uomo di fiducia di Benito Mussolini e direttore del confino politico di Ventotene, già 20 minuti dopo, durante una conferenza a cui partecipano anche il dott. Antonino Allegra (responsabile dell'ufficio politico della questura) e il Commissario Calabresi, dichiara che «improvvisamente il Pinelli ha compiuto un balzo felino verso la finestra, che per il caldo era stata lasciata socchiusa, e si è lanciato nel vuoto». [1] Secondo alcune fonti della polizia, il ferroviere anarchico si sarebbe suicidato dopo aver gridato l'ormai celebre frase «È la fine dell'anarchia!», ammettendo di fatto una propria responsabilità che l'avrebbe portato al suicidio perché «l'alibi era crollato».

Manifesto dell'USI-AIT in occasione del quarantennale della strage di Piazza Fontana e dell'uccisione di Giuseppe Pinelli, anarchico e militante USI.

L'ultimo compagno ad aver visto Pinelli in vita, nonché unico testimone, è Pasquale Valitutti, anch'egli presente in questura in attesa di essere interrogato. Valitutti in sede processuale dichiara che il commissario Calabresi era presente nella stanza da dove cadde Pinelli:

«Hanno riempito la questura di Milano di tantissimi anarchici e di tanto in tanto li interrogavano, li mandavano a casa, qualcuno lo mandavano a casa senza interrogarlo; arriva la sera del 15 dicembre e siamo rimasti solo io e Pino Pinelli, gli altri erano tutti andati a casa. Vediamo insieme come era il posto: l'ufficio politico della questura di Milano era un appartamento: c'era una porta di ingresso, c'era un lungo corridoio, su questo corridoio da un solo lato c'erano varie stanze. Io ero in una stanza che era più vicina alla porta d'ingresso rispetto alla stanza vicina dove poi sarebbe stato stato interrogato Pino. È sera tardi, non c'è riscaldamento, non c'è assolutamente nessuno, c'è un silenzio agghiacciante. Sono seduto al tavolo con Pino, lui è tranquillissimo, serenissimo. Lui è un compagno più grande di me e mi incoraggiava [...] Verso le 10 e mezzo vengono e portano Pino per l'interrogatorio. Erano il commissario Calabresi, altri due. Io resto solo, assolutamente solo nella stanza. Davanti a me non c'è una finestra o una porta. Ho una parete completamente aperta, con una grande apertura, con quattro finestre, molto più basse delle finestre, su un corridoio, completamente vuoto davanti a me. Da questo corridoio passano, portando Pino, Calabresi e gli altri, e vanno nella stanza vicino. Chi dice che Calabresi non era in quella stanza sta mentendo, nel più spudorato dei modi. Calabresi è entrato in quella stanza, è entrato insieme agli altri, nessuno più uscito. Io ve l'assicuro, era notte fonda, c'era un silenzio incredibile, qualunque passo, qualunque rumore rimbombava, era impossibile sbagliarsi, lui era in quella stanza. [...] Qualcosa è successo in quella stanza. Dopo circa 20 minuti ho sentito un rumore. Io non voglio fare retorica, era un rumore sordo, muto, cupo, io non sapevo cosa fosse, non sapevo proprio, neanche lontanamente avevo immaginato che cos'era quel rumore, e subito immediatamente vengono due poliziotti, mi mettono con la faccia contro la parete e mi dicono "si è buttato" allora realizzo che quel rumore era il corpo di Pino che cadeva, che moriva, un rumore sordo, cupo, bruttissimo... e nessuno è uscito da quella stanza fino a quel momento, nessuno». [2]

Le menzogne delle autorità e l'accusa degli anarchici

Nel primo mese vengono fornite 3 versioni contrastanti di come sarebbe avvenuto il suicidio. Gli anarchici accusano subito la polizia, ed in particolare il commissario Calabresi, di assassinio e i fascisti e lo Stato di essere gli autori delle stragi. Parte una campagna di controinformazione con assemblee, cortei, libri, fino ad arrivare ad un processo allo Stato.

Si scopre che a mezzanotte meno due secondi (2 minuti e 2 secondi prima della caduta di Pinelli) venne chiamata l'autoambulanza. La stanza dell'interrogatorio larga metri 3,56 x 4,40 e contenente vari armadi e scrivania e la presenza di 6 persone rende impossibile uno scatto di Pinelli verso la finestra. La stranezza è che la finestra fosse aperta, trattandosi di dicembre e di notte. L'anarchico cade scivolando lungo i cornicioni. Non si è dato quindi nessuno slancio. Egli cade senza un grido e senza portare le mani a protezione della testa, come se fosse già inanimato.

Con queste parole gli anarchici sintetizzavano la loro accusa nei confronti dello Stato e dei suoi apparati, la cui natura intrinsecamente criminale e violenta appariva evidente:

«Noi accusiamo la polizia di essere responsabile della morte di Giuseppe Pinelli, arrestato violando per ben due volte gli stessi regolamenti del codice fascista. Accusiamo il questore e i dirigenti della polizia di Milano di aver dichiarato alla stampa che il suicidio di Pinelli era la prova della sua colpevolezza, e di aver volontariamente nascosto il suo alibi dichiarando che «era caduto». Gli stessi inquisitori hanno dichiarato di non aver redatto alcun verbale di interrogatorio di Pinelli, pertanto ogni eventuale verbale che venisse in seguito tirato fuori è da considerarsi falso. Accusiamo la polizia italiana di aver deliberatamente impedito che l'inchiesta si svolgesse sotto il controllo di un magistrato con la partecipazione degli avvocati della difesa. Accusiamo i magistrati e la polizia di aver ripetutamente violato il segreto istruttorio diffondendo voci e accuse tendenti a diffamare di fronte all'opinione pubblica un uomo assolutamente innocente, ma per loro colpevole di essere anarchico. Noi accusiamo lo Stato italiano di cospirazione criminale nei confronti dell'anarchico Pietro Valpreda, da mesi sottoposto ad un feroce linciaggio morale e fisico, mentre le prove che gli inquirenti credono di avere contro di lui, si smantellano da sole una per una».

Le indagini e i processi

L'assassinio di Giuseppe Pinelli comportò l'apertura di una prima inchiesta che si concluse con una archiviazione. Il 24 giugno 1971 la vedova di Pinelli presentò una nuova denuncia, che comportò l'apertura di una nuova inchiesta assegnata al giudice Gerardo D'Ambrosio.

Intanto, gli ambienti anarchici e della sinistra portarono avanti avanti una campagna mediatica contro il commissario. Calabresi fu assassinato il 17 maggio 1972. L'assassinio del Commissario incise anche nelle indagini sulla strage di Piazza Fontana.

Il 27 ottobre 1975 si concluse l'istruttoria iniziata 4 anni prima: nonostante le evidenti prove, l'assenza del commissario dalla stanza al momento della caduta di Pinelli fu ritenuta credibile [3] e l'unico testimone, Pasquale Valitutti, non venne mai ascoltato. Tutti gli indagati (il commissario Calabresi, i poliziotti Vito Panessa, Giuseppe Caracuta, Carlo Mainardi, Piero Mucilli ed il tenente dei carabinieri Savino Lo Grano) vennero prosciolti da ogni accusa:

«Una sentenza passata alla storia. Pinelli, sostenne D'Ambrosio, non si era suicidato ma nemmeno era stato assassinato. “Verosimilmente”, a causa di un “malore attivo” e dall'“improvvisa alterazione del centro di equilibrio” fu violentemente spinto fuori dalla finestra. Giuseppe Pinelli alto 1,67, sentendosi male, invece di accasciarsi sul pavimento come ogni altro essere mortale, con un balzò inconsulto e involontario si ritrovò invece a scavalcare una finestra di 97 centimetri, spalancando al contempo, quasi in volo, le imposte socchiuse della finestra. Una tesi senza precedenti nella storia del diritto e rimasta ancor oggi unica nel suo genere». [4] [5]

Il ricordo di Pinelli

Giuseppe Pinelli durante una conferenza.

La figura di Pinelli è stata presa a simbolo dell'opposizione al potere costituito in genere ed in particolare al potere poliziesco.

Negli anni sono infatti state composte diverse canzoni su Pinelli, come La ballata del Pinelli, scritta da G. Barozzi, F. Lazzarini, U. Zavanella (giovani anarchici mantovani) la sera stessa dei funerali e successivamente rielaborata, ampliata e musicata da Joe Fallisi. Ogni anno, a Milano, si organizzano diverse manifestazioni per non dimenticare Pinelli e la strage di piazza Fontana, nel cui luogo è stata apposta una lapide che recita: «A Giuseppe Pinelli, ferroviere anarchico ucciso innocente nei locali della questura di Milano».

Alla vicenda di Pinelli si è ispirata anche un'opera teatrale di Dario Fo: Morte accidentale di un anarchico (in realtà il riferimento quasi esplicito è ad Andrea Salsedo). L'opera pittorica di Enrico Baj, che doveva essere esposta a Milano lo stesso giorno dell'omicidio Calabresi, intitolata I Funerali dell'anarachico Pinelli, si ispira anch'essa a questi eventi.

Della vicenda Pinelli si occupò lungamente Camilla Cederna, giornalista di fama che pubblicò la sua testimonianza in un libro intitolato Pinelli. La finestra sulla strage, edito nel 1971 e ripubblicato nel 2004. Eccone un estratto (lettera di Giuseppe Gozzini, il primo obiettore di coscienza cattolico, amico di Pinelli):

«Aveva seguito gli sviluppi del mio processo negli ambienti cattolici (soprattutto fiorentini) ed era come affascinato dal tipo di testimonianza. Conosceva, e non per sentito dire, movimenti e gruppi che si ispiravano alla non-violenza e voleva discutere con me sulle possibilità che la non-violenza diventasse strumento d'azione politica e l'obiezione di coscienza stile di vita, impegno sociale permanente. Io gli parlavo di società basata sull'egoismo istituzionalizzato, di disordine costituito, di lotta di classe e lui mi riportava oltre le formule, alla radice dei problemi, incrollabile nella sua fede nell'uomo e nella necessità di edificare l'uomo nuovo, lavorando dal basso. Poi ci vedemmo in molte altre occasioni e i punti fermi della nostra amicizia divennero don Primo Mazzolari e don Lorenzo Milani, due preti scomodi, che hanno lasciato il segno e non solo nella chiesa. Viveva del suo lavoro, povero come gli uccelli dell'aria, solido negli affetti, assetato di amicizia, e gli amici li scuoteva con la sua inesauribile carica umana. Le etichette non mi sono mai piaciute. Quella che hanno appioppato a Pinelli: anarchico individualista, è melensa, per non dire sconcia. Si è sempre battuto infatti contro l'individualismo delle coscienze addomesticate: lui, ateo, aiutava i cristiani a credere (e lo possono testimoniare tanti miei amici cattolici); lui, operaio, insegnava agli intellettuali a pensare, finalmente liberi da schemi asfittici. Non ignorava le radici sociali dell'ingiustizia, ma non aveva fiducia nei mutamenti radicali, nelle "rivoluzioni" che lasciano gli uomini come prima. Paziente, candido, scoperto nel suo quotidiano impegno, era lontano dagli estremismi alla moda, dalle ideologie che riempiono la testa ma lasciano vuoto il cuore. Stavo bene con lui, anche per questo».

Il poeta anarchico genovese Riccardo Mannerini ha scritto la canzone Ballata per un ferroviere, che i media hanno rifiutato di trasmettere, in cui si può leggere:

«Un ferroviere era quel tale che per morire scelse Natale. Da una finestra entrò nella storia che parla di fame, non certo di gloria [...] All'alba non muore soltanto la notte, muore anche l'uomo e il suo divenire, e il sangue caldo che bagna il selciato è un discorso appena iniziato [...] Ma quando la sorte è puntigliosa arriva la morte in forma curiosa che gli procura, umano aeroplano un volo notturno da un quarto piano e lo riduce in quattro e quattr'otto in un mucchio di cenci, di ossa un fagotto».

Un'altra opera importante in ricordo di "Pino" è stato il film Documenti su Giuseppe Pinelli, un lungometraggio del 1970 composto da due parti: la prima, diretta da Elio Petri, intitolata Ipotesi su Giuseppe Pinelli o Tre ipotesi sulla morte di Giuseppe Pinelli, la seconda, diretta da Nelo Risi, intitolata Giuseppe Pinelli.

Il Teatro Pinelli

A Messina, un gruppo di cittadini riunitisi sotto il nome di Assemblea Antifascista, ha occupato il vecchio Teatro in Fiera, abbandonato da 17 anni, e lo ha intitolato alla memoria di Giuseppe Pinelli. L'occupazione è avvenuta proprio il 15 dicembre 2012, dunque nella giornata in cui si commemora la sua morte, per contrastare una manifestazione regionale, in realtà fallita, dei fascisti di Forza Nuova. Dopo lo sgombero del teatro, avvenuto il 14 febbraio 2013, il Teatro Pinelli è diventato itinerante, iniziando a scorazzare per la città di Messina, denunciando l'abbandono e l'incuria dei beni comuni. Dal 25 aprile, altra data simbolica, il Teatro Pinelli ha trovato una sua nuova sede, La Casa del Portuale.

La questione della targa

Le due targhe in memoria di Giuseppe Pinelli.
A sinistra l'iscrizione originaria, a destra quella del Comune di Milano.
Targa del Comune di Milano del 2019.
Il francobollo delle "Avamposte Italiane" dedicato a Pinelli.

Ha suscitato polemiche la decisione del Comune di Milano di sostituire la targa dedicata a Giuseppe Pinelli, posta in Piazza Fontana. La precedente, apposta dal circolo anarchico Ponte della Ghisolfa, si riferiva a Pinelli come «ucciso innocente». Quella apposta dal Comune recita invece «innocente morto tragicamente». La targa era stata già sostituita nel 2004 dagli anarchici milanesi a causa dello stato di disfacimento dell'originale esposto per oltre trent'anni al clima meneghino.

La sostituzione della targa, avvenuta improvvisamente e di notte (ufficialmente per evitare gli incidenti che una sostituzione annunciata avrebbe potuto procurare) è stata considerata da alcuni esponenti del mondo anarchico e della sinistra come un'operazione elettorale dovuta alle imminenti elezioni politiche ed elezioni amministrative per il sindaco, il quale aveva tuttavia promesso alla vedova Calabresi di sostituire la targa prima della fine del suo mandato.

Il 23 Marzo 2006, gli anarchici del Ponte della Ghisolfa hanno ricollocato in Piazza Fontana la loro targa, completa della dicitura originale. Per tanto, ora in quel luogo vi sono due targhe che commemorano Giuseppe Pinelli.

Il sindaco Albertini, dopo questa ricollocazione, ha chiesto alla giustizia civile di far rimuovere nuovamente la targa degli anarchici, sostenendo che, per decenni «è stata tollerata una targa che occupava abusivamente il suolo pubblico», negando la possibilità di mediazione sul testo presente sulla lapide del Comune.

Nel marzo del 2019 l'assessore del Comune di Milano De Corato ha rinnovato la richiesta di rimozione della targa degli anarchici. [6]

Nel dicembre dello stesso anno, in occasione del cinquantenario della morte di Pinelli, il Comune di Milano ha inaugurato una nuova targa (contestualmente alla cerimonia di piantumazione di un albero nel suo quartiere, San Siro), in cui non si fa cenno al luogo della morte dell'anarchico, definito, più genericamente, «18^ Vittima innocente in seguito alla Strage di Piazza Fontana».

Il francobollo dedicato a Pinelli

Contemporaneamente con il francobollo da 0,44 Euro dedicato al famigerato commissario di PS Luigi Calabresi, le Avamposte Italiane diffondono un francobollo adesivo da 0,00 Euro per "Giuseppe Pinelli, defenestrato dalla questura di Milano 16-12-1969", nel corso dell'interrogatorio condotto dallo stesso commissario Calabresi, alla ricerca di colpevoli anarchici per la strage di Piazza Fontana.

Note

  1. Colpo di scena: un fermato si uccide in questura., Corriere della Sera, 16 dicembre 1969
  2. Testimonianza di Valitutti, Testimonianza audio di Valitutti
  3. Il magistrato Gerardo D'Ambrosio scrisse nella sentenza: «L'istruttoria lascia tranquillamente ritenere che il commissario Calabresi non era nel suo ufficio al momento della morte di Pinelli».
  4. Il malore attivo dell'anarchico Pinelli: quando la verità volò fuori dalal finestra, di Saverio Ferrari
  5. Testo della sentenza di D'Ambrosio, in cui il magistrato così ricostruisce la caduta di Pinelli: «Pinelli accende la sigaretta che gli offre Mainardi. L'aria della stanza è greve, insopportabile. Apre il balcone, si avvicina alla ringhiera per respirare una boccata d'aria fresca, una improvvisa vertigine, un atto di difesa in direzione sbagliata, il corpo ruota sulla ringhiera e precipita nel vuoto. Tutti gli elementi raccolti depongono per questa ipotesi».
  6. Milano, De Corato: togliere lapide “abusiva” che ricorda Pinelli

Bibliografia

  • Eduardo M. Di Giovanni, Marco Ligini, Edgardo Pellegrini. La strage di Stato. Controinchiesta. Odradek, 2006 (edizione originale: Samonà e Savelli, 1970).
  • Camilla Cederna, Pinelli. Una finestra sulla strage, Il Saggiatore, 2004 (edizione originale 1971).
  • Adriano Sofri, Il malore attivo dell'anarchico Pinelli, Palermo, Sellerio, 1996.
  • Corrado Stajano, Pier Carlo Masini, Amedeo Bertolo, Pinelli. La diciassettesima vittima, BFS edizioni, 2007.
  • Adriano Sofri, La notte che Pinelli, Palermo, Sellerio, 2009.
  • Licia Pinelli, Piero Scaramucci, Una storia quasi soltanto mia, Feltrinelli, 2009.

Voci correlate

Collegamenti esterni