Gian Pietro Lucini: differenze tra le versioni

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==Biografia <ref name="Ted">Fonte principale: [https://www.lintellettualedissidente.it/controcultura/letteratura/gian-pietro-lucini/ ''Gian Pietro Lucini''], di Cristiano Tedeschi</ref> ==
==Biografia <ref name="Ted">Fonte principale: [https://www.lintellettualedissidente.it/controcultura/letteratura/gian-pietro-lucini/ ''Gian Pietro Lucini''], di Cristiano Tedeschi</ref> ==
Gian Pietro Lucini nacque a Milano il [[30 settembre]] [[1867]]. Nel [[1891]] si trasferì a Breglia con la sua compagna, Giuditta Cattaneo, e nel [[1892]] si laureò in giurisprudenza, ma la passione prepotente per la letteratura e per la poesia lo sedusse fin dalla più tenera età. Studioso della poesia alessandrina e della letteratura latina della decadenza, diede al movimento della scapigliatura italiana, della quale fu un ultimo ed estenuato epigono, una venatura di raffinato e composito decadentismo, assecondando una estetica tardo-romantica e simbolista per alcuni aspetti vicina a quella di Gabriele D'Annunzio, di cui fu inizialmente amico e più tardi acerrimo critico ed avversario nel tentativo di costruire una soluzione alternativa al dannunzianesimo sul piano del linguaggio e su quello dell'ideologia. Iniziò come narratore, pubblicando in appendice alla «Gazzetta Agricola» di Milano nel [[1888]] ''Spirito ribelle'', che rielaborò poi in volume con il titolo di ''Gian Pietro Da Core'' ([[1895]]). I suoi ideali politici anarchico-repubblicani si congiunsero ad un raffinato e squisito [[individualismo]] estetico, che trovò espressione nelle prime due raccolte poetiche: ''Il libro delle Figurazioni Ideali'' ([[1894]]) e ''Il libro delle Imagini Terrene'' ([[1898]]). Lucini espose in questi lavori una doviziosa cultura immaginifica, soprattutto di derivazione francese. Respinte le forme metriche tradizionali, il poeta operò ancora su questa linea simbolista attraverso una serie di libretti che verranno in seguito raccolti dallo studioso e critico Glauco Viazzi ne ''I Drami delle Maschere'' ([[1973]]).
Gian Pietro Lucini nacque a Milano il [[30 settembre]] [[1867]]; dei propri genitori e dei suoi avi vantò le «determinazioni ghibelline»:
:«Fui allevato in una famiglia in cui i gigli d'argento del razionalismo fiorivano vicino alle rose purpuree della baldanza garibaldina ed agli anemoni del sacrificio mazziniano».
Nel [[1891]] si trasferì a Breglia con la sua compagna, Giuditta Cattaneo, e nel [[1892]] si laureò in giurisprudenza, ma la passione prepotente per la letteratura e per la poesia lo sedusse fin dalla più tenera età. Studioso della poesia alessandrina e della letteratura latina della decadenza, diede al movimento della scapigliatura italiana, della quale fu un ultimo ed estenuato epigono, una venatura di raffinato e composito decadentismo, assecondando una estetica tardo-romantica e simbolista per alcuni aspetti vicina a quella di Gabriele D'Annunzio, di cui fu inizialmente amico e più tardi acerrimo critico ed avversario nel tentativo di costruire una soluzione alternativa al dannunzianesimo sul piano del linguaggio e su quello dell'ideologia. Iniziò come narratore, pubblicando in appendice alla «Gazzetta Agricola» di Milano nel [[1888]] ''Spirito ribelle'', che rielaborò poi in volume con il titolo di ''Gian Pietro Da Core'' ([[1895]]). I suoi ideali politici anarchico-repubblicani si congiunsero ad un raffinato e squisito [[individualismo]] estetico, che trovò espressione nelle prime due raccolte poetiche: ''Il libro delle Figurazioni Ideali'' ([[1894]]) e ''Il libro delle Imagini Terrene'' ([[1898]]). Lucini espose in questi lavori una doviziosa cultura immaginifica, soprattutto di derivazione francese. Respinte le forme metriche tradizionali, il poeta operò ancora su questa linea simbolista attraverso una serie di libretti che verranno in seguito raccolti dallo studioso e critico Glauco Viazzi ne ''I Drami delle Maschere'' ([[1973]]).


Nel [[1901]] curò la recensione di un libro [[antimilitarista]] e venne incriminato per le tesi sostenute. Nel [[1905]] collaborò alla rivista «Poesia» di Filippo Tommaso Marinetti e fra il [[1908]] e il [[1910]] conobbe Corrado Govoni, Guido Gozzano, Umberto Notari e Paolo Buzzi, con i quali strinse amicizia.  
Nel [[1901]] curò la recensione di un libro [[antimilitarista]] e venne incriminato per le tesi sostenute. Nel [[1905]] collaborò alla rivista «Poesia» di Filippo Tommaso Marinetti e fra il [[1908]] e il [[1910]] conobbe Corrado Govoni, Guido Gozzano, Umberto Notari e Paolo Buzzi, con i quali strinse amicizia.  
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== Pensiero <ref name="Ted"></ref> ==
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[[File:Agazzi Lucini.jpg|miniatura|400px|Lucini ritratto da [[Carlo Agazzi]] nel [[1905]].]]
[[File:Agazzi Lucini.jpg|miniatura|400px|Lucini ritratto da [[Carlo Agazzi]] nel [[1905]].]]
Raffinato esponente del simbolismo italiano, vicino alle correnti più radicali delle nuove avanguardie novecentesche, nostalgico scapigliato e brillante innovatore, Lucini fu [[anarchico]] e patriottico, antimonarchico e antiborghese, un [[rivoluzionario]] inclassificabile ed [[Individualismo#Individualismo_aristocratico|aristocratico]], insofferente verso tutte le [[chiese]].


=== ''Filosofi ultimi'' ===
=== ''Filosofi ultimi'' ===
Nell'opera ''Filosofi ultimi'' Lucini si scagliò alla sua maniera sapida e caustica contro le correnti più recenti ed innovative del mondo filosofico di quegli anni: egli tentò di corrodere e tarlare, secondo una modalità che si rifaceva apertamente allo stile di [[Giovanni Papini]] e del suo lavoro ''Il Crepuscolo dei filosofi'' ([[1906]]), il neoidealismo di Benedetto Croce, il pragmatismo di William James, il contingentismo di Émile Boutroux, l'intuizionismo di Henri Bergson, il trascendentalismo di Otto Weininger; quest'ultimo in particolare, tra i nuovi filosofi, fu il più osteggiato dal poeta italiano, che apertamente lo liquidò come un folle, pur ammirandone la bellezza suadente della prosa.
Nell'opera ''Filosofi ultimi'' Lucini si scagliò alla sua maniera sapida e caustica contro le correnti più recenti ed innovative del mondo filosofico di quegli anni: egli tentò di corrodere e tarlare, secondo una modalità che si rifaceva apertamente allo stile di [[Giovanni Papini]] e del suo lavoro ''Il Crepuscolo dei filosofi'' ([[1906]]), il neoidealismo di Benedetto Croce, il pragmatismo di William James, il contingentismo di Émile Boutroux, l'intuizionismo di Henri Bergson, il trascendentalismo di Otto Weininger; quest'ultimo in particolare, tra i nuovi filosofi, fu il più osteggiato dal poeta italiano, che apertamente lo liquidò come un folle, pur ammirandone la bellezza suadente della prosa.


L'asse portante dell'opera è il concetto di decadenza moderna della filosofia, definita da Lucini come «amore della verità, studio e ricerca di quei mezzi intellettuali per cui se ne avvicina il possesso». A questo inarrestabile processo involutivo determinato dalla modernità e che contamina non solo la filosofia ma la società stessa che la ospita, l'autore contrappone «la saldezza e il valore filosofico» della triade Carlo Cattaneo – Giovanni Bovio – Giulio Lazzarini. Giovanni Bovio, filosofo repubblicano indicato dai neoidealisti come un positivista, secondo lo scrittore milanese aveva invece costruito un sistema filosofico che si autodefiniva naturalismo matematico e che aveva superato le angustie e le contraddizioni della metafisica positivistica di [[Auguste Comte]] e di [[Herbert Spencer]], raggiungendo una maggiore consapevolezza e un più robusto rigore scientifico.
L'asse portante dell'opera è il concetto di decadenza moderna della filosofia, definita da Lucini come «amore della verità, studio e ricerca di quei mezzi intellettuali per cui se ne avvicina il possesso». A questo inarrestabile processo involutivo determinato dalla modernità e che contamina non solo la filosofia ma la [[società]] stessa che la ospita, l'autore contrappone «la saldezza e il valore filosofico» della triade Carlo Cattaneo – Giovanni Bovio – Giulio Lazzarini. Giovanni Bovio, filosofo repubblicano indicato dai neoidealisti come un positivista, secondo lo scrittore milanese aveva invece costruito un sistema filosofico che si autodefiniva naturalismo matematico e che aveva superato le angustie e le contraddizioni della metafisica positivistica di [[Auguste Comte]] e di [[Herbert Spencer]], raggiungendo una maggiore consapevolezza e un più robusto rigore scientifico.


Secondo Giulio Lazzarini, dimenticato filosofo e amico personale di Lucini, autore dell'opera ''L'Etica Razionale'', raccolta in tre volumetti apparsi tra il [[1890]] e il [[1892]], Lucini «costrusse italianamente, derivato da Gian Battista Vico e da Romagnosi, un nostro pretto monismo etico, questo che oggi, corroborato di evidenze scientifiche ci torna dalla [[Francia]], patrocinato dalla biologia del Quinton e dal fenomenalismo di Le Dantec».
Secondo Giulio Lazzarini, dimenticato filosofo e amico personale di Lucini, autore dell'opera ''L'Etica Razionale'', raccolta in tre volumetti apparsi tra il [[1890]] e il [[1892]], Lucini «costrusse italianamente, derivato da Gian Battista Vico e da Romagnosi, un nostro pretto monismo etico, questo che oggi, corroborato di evidenze scientifiche ci torna dalla [[Francia]], patrocinato dalla biologia del Quinton e dal fenomenalismo di Le Dantec».
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Nonostante i suoi sforzi per liberarsi dall'ipoteca dell'immaginifico, egli riecheggiò ed ebbe sempre a modello proprio il classico eroe dannunziano; particolari affinità e contiguità, debiti e riconoscenze della immagine luciniana del Melibeo si riscontrano in Stelio Effrena, il protagonista de ''Il Fuoco'' ([[1900]]). La creazione artistica e la sensibilità estetica sono i tratti che li accomunano irrevocabilmente. Lucini ritenne, però, a differenza di D'Annunzio, che alla base della mitica figura [[nietzschiana]] di Zarathustra, ben nascosto, ci fosse il mito dell'Unico [[stirneriano]], e ne trasse profitto per elaborare l'idea simbolica del suo eroe. Questi è, infatti, il costruttore e l'iniziatore di una nuova epoca, «unico legislatore di sé stesso» alla maniera di Claudio Cantelmo, il protagonista del romanzo dannunziano ''Le Vergini delle Rocce'' ([[1896]]): l'uomo più che uomo che, in quanto artista, prefigura, nel divenire carsico della storia, l'uomo sovversivo del futuro; questi sarà lo Sconosciuto-Riconosciuto, colui che crea la vita, «quell'Io di cui i ragionamenti della metafisica hanno parlato e hanno pur oggi identificato nelle sue divine ed immateriali ragioni senza confini. L'essenza fondamentale ed insieme cosciente dell'energia divina, cioè della Vita Universale».
Nonostante i suoi sforzi per liberarsi dall'ipoteca dell'immaginifico, egli riecheggiò ed ebbe sempre a modello proprio il classico eroe dannunziano; particolari affinità e contiguità, debiti e riconoscenze della immagine luciniana del Melibeo si riscontrano in Stelio Effrena, il protagonista de ''Il Fuoco'' ([[1900]]). La creazione artistica e la sensibilità estetica sono i tratti che li accomunano irrevocabilmente. Lucini ritenne, però, a differenza di D'Annunzio, che alla base della mitica figura [[nietzschiana]] di Zarathustra, ben nascosto, ci fosse il mito dell'Unico [[stirneriano]], e ne trasse profitto per elaborare l'idea simbolica del suo eroe. Questi è, infatti, il costruttore e l'iniziatore di una nuova epoca, «unico legislatore di sé stesso» alla maniera di Claudio Cantelmo, il protagonista del romanzo dannunziano ''Le Vergini delle Rocce'' ([[1896]]): l'uomo più che uomo che, in quanto artista, prefigura, nel divenire carsico della storia, l'uomo sovversivo del futuro; questi sarà lo Sconosciuto-Riconosciuto, colui che crea la vita, «quell'Io di cui i ragionamenti della metafisica hanno parlato e hanno pur oggi identificato nelle sue divine ed immateriali ragioni senza confini. L'essenza fondamentale ed insieme cosciente dell'energia divina, cioè della Vita Universale».
=== L'ironia e l'Humorismo ===
In alcune pagine precedenti il quinto capitolo dell'''Ora Topica di Carlo Dossi'', Lucini si sofferma sul concetto di ironia:
:«Buona ironia! Rimane il miglior idealismo preservativo, ricostituente, immunizza, è una ricchezza inesauribile, perchè, coll'usarla, la si riproduce; è un giocare colla vita, per fa sul serio dell'arte; è quanto rimane alle moderne genialità, dopo le messe sanguinose pontificate dalle passioni artificiali, dopo i suicidi delle loro maschere, che sono la modalità della loro coscienza: è quanto appartiene di più suo e di più caro all'artista, questa proposta dei logaritmi dell'imaginazione sciorinata davanti all'immusonita praticaccia venale; che se ne turba, se ne spaventa e manda per gendarme della logica, pel catedrante grigio, occhialuto e feticista».
Il quinto capitolo dell'''Ora Topica di Carlo Dossi'', intitolato ''L'Humorismo lo vendica'', merita un'analisi particolare per i contenuti che Lucini esprime al suo interno e per l'attenzione che egli dedica ad un concetto davvero importante per chiunque si occupi di modernità e che inaugura esso stesso la modernità: l'umorismo.
Lucini vede nell'Humorismo l'unica difesa possibile dall'assurdità del mondo, dalla sua non corrispondenza con le aspettative dell'uomo, il ridicolo coniugato con la satira, la risata che si deforma in un ghigno, la deformazione espressionistica del reale che attrae, quasi con fascinazione ipnotica, verso il brutto e il deforme:
:«"L'Humorismo è attitudine speciale dell'intelletto e del carattere, per cui l'artista pone se stesso al posto delle cose" [citazione di Hegel]. Sostituire il fatto reale col fatto vero [...] ridere, riconfortarsi nella propria onestà; dileggiare altrui, manifestarsi lieto, non concedere al mondo la trista gioia d'esporgli le proprie sofferenze, che appunto il mondo gl'impone. [...] Questo è difendersi; questo è opporre violenza a violenza, volontà testarda a volontà incosciente; quali armi, il ridicolo, la satira, la falsa commiserazione, l'elogio a doppio taglio, come un bipenne, l'incenso affatturato da suffumigi d'ospedale, il ghigno, che sembra sorriso, la risata del disprezzo irrefrenato e convulsa, come una bestemmia!».


=== Citazioni ===
=== Citazioni ===
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{{citazione|Noi li asociali disinteressati fomentiamo questo intimo vulcano, cooperiamo a questa disgregazione: sopprimere l'attuale [[gerarchia]], sostituire delle altre e razionali [[autorità]]. Non si creda con questo ad un mio [[socialismo]]: ma ad un mio anarcheggiare. Lo stato di natura, di questa natura oggi saputa colle scienze, oggi allettata colle arti, oggi raffinata colla serie evolutiva delli esseri, compresa coll'amore e colla solidarietà umana, a questo stato di natura, come [[Gian Giacomo Rousseau]] anela il mio pensiero etico-politico. È sempre una [[Utopia]]. Ho un concetto tutto mio e tutto vago di uno [[Stato]] futuro. Lo [[Stato]] dovrebbe essere quella opera pia le leggi della quale dovrebbero essere meno evidenti e meno interruttive delle energie [[individuali]]. Pochissime leggi di carattere generale, che possano, pure stabilendo dei principii di massima, seguire lo sviluppo della umanità ed evolversi come la vita stessa si evolve. Oggi il codice arresta i movimenti. Domani il [[socialismo]] livellerà tutto al minimo comun denominatore della mediocrità operaja. Vi sono due tirannie: quella delle perversità ricche e raffinate (la presente), l'altra delle ignoranze barbare, presuntuose e brutali, della sciocca onestà umana (la futura [[socialista]]). Noi usciremo dall'una per ripiombare nell'altra, e forse senza il conforto di una rivoluzione che farebbe tanto bene alla nostra arte paurosa e vile, ma per crepuscoli d'anime, di istituti, di lustri sempre più grigi, soffocanti ed annojati. Credo che la funzione dello [[Stato]] sia semplicemente di amministrazione. Promuovere e conservare alla nazione una continua atmosfera di [[libertà]] in cui si possano compartire: cibo alla mente ed alla pancia; amore e sicurezza. Il Demo futuro deve essere maestro, nutrice, proxeneta, nel buon senso della parola. Nessuna legge che imponga una eguaglianza, né un privilegio: non preferire, né disprezzare. Perché eguaglianza non v'è in natura, e tutto si bilancia con equilibrio istabile sopra la equivalenza. I cittadini del mio Demo saranno certamente equivalenti in faccia alla comunità, non mai eguali, perché le qualità ed i difetti di natura non si possono mai né togliere né colmare. Certo io non sono Antinoo: posso essere Esopo: ora codeste due forze umane si equivalgono filosofìcamente, perché sono due bellezze.|Gian Pietro Lucini (da ''Prose e canzoni amare'')}}</center>
{{citazione|Noi li asociali disinteressati fomentiamo questo intimo vulcano, cooperiamo a questa disgregazione: sopprimere l'attuale [[gerarchia]], sostituire delle altre e razionali [[autorità]]. Non si creda con questo ad un mio [[socialismo]]: ma ad un mio anarcheggiare. Lo stato di natura, di questa natura oggi saputa colle scienze, oggi allettata colle arti, oggi raffinata colla serie evolutiva delli esseri, compresa coll'amore e colla solidarietà umana, a questo stato di natura, come [[Gian Giacomo Rousseau]] anela il mio pensiero etico-politico. È sempre una [[Utopia]]. Ho un concetto tutto mio e tutto vago di uno [[Stato]] futuro. Lo [[Stato]] dovrebbe essere quella opera pia le leggi della quale dovrebbero essere meno evidenti e meno interruttive delle energie [[individuali]]. Pochissime leggi di carattere generale, che possano, pure stabilendo dei principii di massima, seguire lo sviluppo della umanità ed evolversi come la vita stessa si evolve. Oggi il codice arresta i movimenti. Domani il [[socialismo]] livellerà tutto al minimo comun denominatore della mediocrità operaja. Vi sono due tirannie: quella delle perversità ricche e raffinate (la presente), l'altra delle ignoranze barbare, presuntuose e brutali, della sciocca onestà umana (la futura [[socialista]]). Noi usciremo dall'una per ripiombare nell'altra, e forse senza il conforto di una [[rivoluzione]] che farebbe tanto bene alla nostra arte paurosa e vile, ma per crepuscoli d'anime, di istituti, di lustri sempre più grigi, soffocanti ed annojati. Credo che la funzione dello [[Stato]] sia semplicemente di amministrazione. Promuovere e conservare alla nazione una continua atmosfera di [[libertà]] in cui si possano compartire: cibo alla mente ed alla pancia; amore e sicurezza. Il Demo futuro deve essere maestro, nutrice, proxeneta, nel buon senso della parola. Nessuna legge che imponga una eguaglianza, né un privilegio: non preferire, né disprezzare. Perché eguaglianza non v'è in natura, e tutto si bilancia con equilibrio istabile sopra la equivalenza. I cittadini del mio Demo saranno certamente equivalenti in faccia alla comunità, non mai eguali, perché le qualità ed i difetti di natura non si possono mai né togliere né colmare. Certo io non sono Antinoo: posso essere Esopo: ora codeste due forze umane si equivalgono filosofìcamente, perché sono due bellezze.|Gian Pietro Lucini (da ''Prose e canzoni amare'')}}</center>
 
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{{citazione|Nella lingua comune dunque si dice [[democratico]] quanto è veramente e semplicemente [[Individualismo#Individualismo_aristocratico|aristocratico]]: l'[[anarchismo]] latente del partito repubblicano attuale è l'indice più evidente di quanto dico: in quel partito si rifugiarono tutte le intelligenze più alacri e più personali italiane: dal Bovio a Rapisardi - da Arcangelo Ghisleri al papa Leone XIII, dal Fratti al Bosdari: tutto il resto è [[socialista]]: il Re, Sonnino, il Cardinal Ferrari, Giolitti, la prostituta da cinque soldi, il contadino, l'operajo, il cenciajolo: tutto ciò è passivo, ha bisogno del dio, del padrone, della ruffiana, dell'imprenditore, delle banche, del vizio e della prostituzione: tutto ciò è l'uomo comune, moderno: li altri sono delli eroi: perciò sono asociali: distruggono perché sanno che sono capaci di rifabricare, con miglior ordine e con maggior profitto.|Gian Pietro Lucini (da ''Prose e canzoni amare'')}}</center>
 
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{{citazione|Ho notato che nella [[società]] attuale tutte le azioni umane qualunque siano sono equivalenti. Così una lirica ha lo stesso valore di un metro cubo di muratura. Tutto ciò è possibile solamente dopo
l'89 ed i grandi principii. Ma tutto ciò non significa ridur l'uomo al minimo comun denominatore? Per quanto il mio egoismo comprenda l’egoismo delli altri e si faccia in là per lasciargli posto, non vorrà certamente sacrificarsi in prò di un contadino, mi dia pure il frumento per il pane. Io sono abituato a mangiare idee: la pasta mi fa indigestione. Perché dunque questa equivalenza? - Il mio [[individualismo anarchico]] sorge da questa domanda vittorioso.|Gian Pietro Lucini (da ''Prose e canzoni amare'')}}</center>
 
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{{citazione|Ma che è il simbolismo? La risposta non è più oscura né difficile: oggi si può sbrigarsi a rispondere: Una reazione al naturalismo zoliano. Ma si può anche dire: «È la negazione d'ogni e qualunque scuola in quanto obblighi una disciplina. È quell'arte che procede per riflessi: cioè che adopera dei simboli, cioè delle imagini per rappresentare le idee, valendosi di secrete concordanze soggettive il cui valore completo e complesso sfugge alla analisi critica ma è sentito. Il simbolismo è l'arte dei sensi, per ciò deve essere assolutamente libera. È l'effervescenza di un'anima nuova che non si accontenta di vivere, ma vuol vivere forte, libera, egoarchica, e quindi [[anarchica]]. Il simbolismo è antico come la letteratura che insorge. È il grido del ribelle contro la consuetudine: è l'arte di fronte allo stampo ed alla fotografia. Ciascuno che incominci è simbolico. Noi ci siamo abituati a chiamare classico colui che fonda una scuola (cioè colui a cui nolente si aggiungono delli imitatori). In questo caso Dante, il Cav. Marino, Zola, Carducci, Michelangiolo e Cremona sono simbolici. Essi inventano: li altri ricalcano sopra i loro dettagli di tecnica».|Gian Pietro Lucini (da ''Prose e canzoni amare'')}}</center>
 
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{{citazione|Il moderno misticismo ch'io ho insieme elaborato e sopportato si compone di elementi antitetici che raramente si vedono associati e si presenta sotto un aspetto particolarmente indicativo. Misticismo [[anarchico]], fonda il concetto d'ogni realtà nella evoluzione puramente spontanea delle forze la di cui [[libertà]] è l'unico motivo d'essere: ripudia, come erose di inganni e di tare, le idee d'ordine e legge pur definite intellettualmente e con queste la gerarchia non piegandosi al monito od alla istruzione di una rivelazione e tanto meno di una tradizione positiva. In questo modo non accampa una fede esclusiva e certa. – D'altra parte è misticismo scientifico, ragionatore, per quanto a suo modo antirazionalista: conserva per ciò un contatto permanente colla scienza e la logica delle quali si serve onde render più potenti e più facili e più ordinati i mezzi di esprimersi e di farsi comprendere, cioè le proprie discipline intellettuali.|Gian Pietro Lucini (da ''Prose e canzoni amare'')}}</center>
 
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Io sono un [[rivoluzionario]] [[Individualismo#Individualismo_aristocratico|aristocratico]] che vuole ben divisa la propria responsabilità anche nel fatto della [[rivoluzione]]: accetto la così detta [[società]] delli uomini spesso come uno spettacolo più o meno divertente, più di rado come la materia con cui posso plasmare le mie ideologie; e schiavi ancora esistono perché possano costruire per me,
che me ne intendo, il Colosseo, dove andranno a combattersi ed a morire, ma non mi giovò mai far l'attore. Altro che [[Futurismo]]! Sono un codino, mio caro, perciò ho scritto le ''Revolverate''! Voi tutti, i miei così detti ammiratori, mi avete compreso molto male; hanno fatto così anche i recensori di [[Nietzsche]]; ed egli ha dovuto scrivere ''Ecce Homo'': ed anch'io ho scritto il ''Verso libero''. Questo vi ha già dato tutte le risposte possibili in merito; tornate a rileggerlo e tornerà a rispondervi a battuta, sempre: No: No: No.|Gian Pietro Lucini (da una lettera a Marinetti del 14 febbrao 1909)}}</center>


==Note==
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[[Categoria:Antimilitaristi|Lucini, Gian Pietro]]
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[[Categoria:Umoristi|Lucini, Gian Pietro]]
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[[Categoria:Scrittori]]
[[Categoria:Poeti|Lucini, Gian Pietro]]
[[Categoria:Scrittori italiani]]
[[Categoria:Poeti italiani|Lucini, Gian Pietro]]
[[Categoria:Scrittori|Lucini, Gian Pietro]]
[[Categoria:Scrittori italiani|Lucini, Gian Pietro]]

Versione delle 16:16, 25 gen 2021

Gian Pietro Lucini alla sua scrivania.

Gian Pietro Lucini, pseudonimo di Pieter Lucini [1] (Milano, 30 settembre 1867 – Breglia, 13 luglio 1914), è stato un poeta, scrittore e critico letterario anarchico italiano.

Biografia [2]

Gian Pietro Lucini nacque a Milano il 30 settembre 1867; dei propri genitori e dei suoi avi vantò le «determinazioni ghibelline»:

«Fui allevato in una famiglia in cui i gigli d'argento del razionalismo fiorivano vicino alle rose purpuree della baldanza garibaldina ed agli anemoni del sacrificio mazziniano».

Nel 1891 si trasferì a Breglia con la sua compagna, Giuditta Cattaneo, e nel 1892 si laureò in giurisprudenza, ma la passione prepotente per la letteratura e per la poesia lo sedusse fin dalla più tenera età. Studioso della poesia alessandrina e della letteratura latina della decadenza, diede al movimento della scapigliatura italiana, della quale fu un ultimo ed estenuato epigono, una venatura di raffinato e composito decadentismo, assecondando una estetica tardo-romantica e simbolista per alcuni aspetti vicina a quella di Gabriele D'Annunzio, di cui fu inizialmente amico e più tardi acerrimo critico ed avversario nel tentativo di costruire una soluzione alternativa al dannunzianesimo sul piano del linguaggio e su quello dell'ideologia. Iniziò come narratore, pubblicando in appendice alla «Gazzetta Agricola» di Milano nel 1888 Spirito ribelle, che rielaborò poi in volume con il titolo di Gian Pietro Da Core (1895). I suoi ideali politici anarchico-repubblicani si congiunsero ad un raffinato e squisito individualismo estetico, che trovò espressione nelle prime due raccolte poetiche: Il libro delle Figurazioni Ideali (1894) e Il libro delle Imagini Terrene (1898). Lucini espose in questi lavori una doviziosa cultura immaginifica, soprattutto di derivazione francese. Respinte le forme metriche tradizionali, il poeta operò ancora su questa linea simbolista attraverso una serie di libretti che verranno in seguito raccolti dallo studioso e critico Glauco Viazzi ne I Drami delle Maschere (1973).

Nel 1901 curò la recensione di un libro antimilitarista e venne incriminato per le tesi sostenute. Nel 1905 collaborò alla rivista «Poesia» di Filippo Tommaso Marinetti e fra il 1908 e il 1910 conobbe Corrado Govoni, Guido Gozzano, Umberto Notari e Paolo Buzzi, con i quali strinse amicizia.

Una definizione critica e una ricostruzione del proprio itinerario venne offerta da Lucini stesso nel folto volume Ragion Poetica e Programma del Verso Libero (1908), che apparve nelle edizioni di «Poesia», con una dedica a Marinetti, alla vigilia del primo manifesto del futurismo. La polemica letteraria luciniana si sviluppò in stretta contiguità con una accesa battaglia politico-civile egualmente implacabile «contro il trono e contro l'altare»: gli esiti più alti, di feroce satira antiborghese e antimilitarista, furono raggiunti nelle Revolverate (1909), pubblicate per le edizioni di «Poesia» con una Prefazione futurista di Marinetti. In essa quest'ultimo riconobbe il notevole valore del poeta lombardo, senza negare le divergenze tra Lucini e la propria dottrina; egli ne sottolineò peraltro anche le paradossali assonanze:

«Del Futurismo, Gian Pietro Lucini è il più strano avversario, ma anche, involontariamente, il più strenuo difensore. Il suo spirito socratico, la sua cultura enorme, il suo isolamento doloroso dagli esseri e dai frangenti reali ne fanno un uomo che serba tenace gli amori per molte varie propaggini del Passato. Egli ha dichiarato di non essere un settatore del Futurismo. E sia. Ma se non tali i suoi amori, tutti i suoi odi sono i nostri. L'intera sua mirabile azione letteraria si risolve in un'avversione implacabile delle formule cieche ed impure onde così spesso la Poesia italiana, anche celebratissima, è andata rivestendosi, specie in questi ultimi anni di equivoca fortuna, e il Lucini ha strenuamente combattuto queste viete forme consunte, nella sua opera magistrale: Il Verso libero, che è senza dubbio una delle più alte, delle più sfolgoranti vette del pensiero umano».

Per Marinetti, dunque, Lucini era:

«Non distruttore, ma edificatore barbarico. Non distruttore, ma edificatore barbarico. Non settatore, sia pure: ma futurista bellissimamente perverso, suo malgrado [...]. Le nostre affinità sono grandissime. S'egli le nega ha torto: noi abbiamo ragione [...]. Egli, per noi, resta, ancora oggi, come significazione ideale, la più misteriosa e provata figura guerriera della Poesia italiana scaraventatasi a mischi dopo il Foscolo».

L'annessione marinettiana al futurismo di Gian Pietro Lucini era motivata anche dalla comune prospettiva politica; la rivendicazione venne espressa con estrema temerarietà:

«Noi abbiamo comuni con lui, oltre a tante ribellioni estetiche, le rabbie che oggi maggiormente urgono nelle nostre vene, e cioè l'odio per ogni forma di politica pacifista e l'esecrazione dell'Austria. Volgono anni di diplomazia vigliacca. Serva è più che mai l'Italia al Pangermanismo, che cova gli eventi per calare, orrendamente barbaro, contro l'anima sfolgorante degli italiani vivi. E noi, con sulle labbra i versi esplosivi di Gian Pietro Lucini, affrettiamo l'ora divina in cui potremo, ancora giovani, scagliarci sulle orme eterne di Garibaldi alle balze del Tirolo, e, a costo della vita, accender fiamme di bandiere spiegate, su cataste di cadaveri austriaci, rovesciati nel sangue, giù dalla montagna».

Ma il sodalizio con il padre del futurismo crollò sotto l'urto della Guerra di Libia (1911-1912): se, in un primo momento, Lucini fu infatuato dalle sue provocanti e peccaminose forme e la giudicò con favore, ritenendola «il primo passo verso una guerra contro l'impero asburgico» per riprendere Trento e Trieste, ben presto, però, l'incantesimo si spezzò ed essa gli apparve nelle sue oscene sembianze di feroce depredamento coloniale e si guadagnò così la definizione di «bruttissima e sanguinosa realtà tripolina». In una lettera inviata il 6 gennaio 1916 a Luigi Donati, Marinetti commenterà cosi la fine del rapporto col Lucini:

«Fummo divisi dal mio entusiasmo per la guerra di Tripoli, che egli invece copriva di bestemmie. L'odio irrefrenabile che egli nutriva per la Dinastia di Savoia gli vietava d'amare completamente l'Italia e di seguirci nel nostro feroce istinto patriottico».

Lucini manterrà comunque buoni rapporti con Aldo Palazzeschi, Giovanni Papini e Giuseppe Prezzolini.

Anarchico di formazione, Lucini ammise successivamente di avere pur sentito il fascino degli ideali nazionalisti che animavano i futuristi. Scrive in uno dei suoi libri più noti:

«C'era in me la stoffa di un perfetto nazionalista, avanti lettera e scoperta dei Scipio Sighele, degli Enrico Corradini, dei Giulio De Frenzi, se la filosofia e il 1898 non mi avessero tonalizzato a dovere con le argomentazioni di Max Stirner, col sangue concittadino sparso senza parsimonia dai plurimi e immedagliati Fiorenzo Bava Beccaris, solennemente premiati».

Dallo stirnerismo inteso ed interpretato in chiave materialista, Gian Pietro Lucini prenderà le mosse nello scrivere la sua più importante opera filosofica, Filosofi ultimi (1913).

Consumato dalla tubercolosi ossea (gli era stata anche amputata una gamba), che lo colpì fin dalla giovinezza, Lucini visse gli ultimi suoi anni nella villa che possedeva a Breglia, sul Lago di Como, e vi morì il 13 luglio 1914, forse avvertendo in lontananza l'eco del crepitio di uno sparo a Sarajevo e presagendo la catastrofe che avrebbe sconvolto l'Europa, gettando nel tumulto, nella disperazione e nel dolore le enormi masse quasi ignare dell'elettrizzante entusiasmo e dei sogni sublimi, eroici e pindarici delle minoranze rivoluzionarie più sfrontate, desiderose di spazzare via un mondo cinico e calcolatore con la sola passione dei loro cuori generosi. I bagliori della guerra generale europea auspicata da Ernest Coeurderoy erano in procinto di sprigionarsi, il fuoco era ormai attizzato e avrebbe ben presto fatto balenare le proprie avvolgenti fiamme:

«Accorre delirando l'Epoca nella crisi, divina realtà;
s'inghirlanda di fiamme e rimbomba,
porpora e sangue sventola dal gonfalone,
T'onora imperialmente in sulla fresca tomba,
Poeta, nel tuo nome.
Ritte, sul bianco cippo, Ti attestano in vittoria,
incense di passione, con accento italiano le Camene
nostro Ti riconsacrano, sulla Rivoluzione,
pel Giorno che verrà».

Antimilitarismo fu l'ultima opera di Lucini, rimasta in bozze a causa della sua prematura scomparsa.

Pensiero [2]

Lucini ritratto da Carlo Agazzi nel 1905.

Raffinato esponente del simbolismo italiano, vicino alle correnti più radicali delle nuove avanguardie novecentesche, nostalgico scapigliato e brillante innovatore, Lucini fu anarchico e patriottico, antimonarchico e antiborghese, un rivoluzionario inclassificabile ed aristocratico, insofferente verso tutte le chiese.

Filosofi ultimi

Nell'opera Filosofi ultimi Lucini si scagliò alla sua maniera sapida e caustica contro le correnti più recenti ed innovative del mondo filosofico di quegli anni: egli tentò di corrodere e tarlare, secondo una modalità che si rifaceva apertamente allo stile di Giovanni Papini e del suo lavoro Il Crepuscolo dei filosofi (1906), il neoidealismo di Benedetto Croce, il pragmatismo di William James, il contingentismo di Émile Boutroux, l'intuizionismo di Henri Bergson, il trascendentalismo di Otto Weininger; quest'ultimo in particolare, tra i nuovi filosofi, fu il più osteggiato dal poeta italiano, che apertamente lo liquidò come un folle, pur ammirandone la bellezza suadente della prosa.

L'asse portante dell'opera è il concetto di decadenza moderna della filosofia, definita da Lucini come «amore della verità, studio e ricerca di quei mezzi intellettuali per cui se ne avvicina il possesso». A questo inarrestabile processo involutivo determinato dalla modernità e che contamina non solo la filosofia ma la società stessa che la ospita, l'autore contrappone «la saldezza e il valore filosofico» della triade Carlo Cattaneo – Giovanni Bovio – Giulio Lazzarini. Giovanni Bovio, filosofo repubblicano indicato dai neoidealisti come un positivista, secondo lo scrittore milanese aveva invece costruito un sistema filosofico che si autodefiniva naturalismo matematico e che aveva superato le angustie e le contraddizioni della metafisica positivistica di Auguste Comte e di Herbert Spencer, raggiungendo una maggiore consapevolezza e un più robusto rigore scientifico.

Secondo Giulio Lazzarini, dimenticato filosofo e amico personale di Lucini, autore dell'opera L'Etica Razionale, raccolta in tre volumetti apparsi tra il 1890 e il 1892, Lucini «costrusse italianamente, derivato da Gian Battista Vico e da Romagnosi, un nostro pretto monismo etico, questo che oggi, corroborato di evidenze scientifiche ci torna dalla Francia, patrocinato dalla biologia del Quinton e dal fenomenalismo di Le Dantec».

La filosofia scientista di Lucini può essere egregiamente compendiata nel seguente assunto:

«Le forme individue della Verità ricercata e spiegata con le formule racchiudono la catena trionfante dello scibile conquistato e rivelato. Se la Religione è la sintesi del Problema e del Mistero, se la Scienza ne è la rivelazione, verrà giorno in cui Scienza e Religione avranno un solo nome: Scienza Integrale».

Il poeta milanese definì la sua dottrina filosofica «sincerismo critico» [3], titolo di uno dei paragrafi conclusivi del suo libro. In buona sostanza, le affinità elettive più autentiche di Gian Pietro Lucini risalivano ai compagni dell'ultima fase della nostra scapigliatura e soprattutto agli amici Carlo Dossi [4] e Camillo Boito, che già ai tempi della Comune di Parigi, avevano esordito nell'allora irrequieto mondo milanese e che ora nel nuovo secolo, sradicati ed incerti, ne restavano unici superstiti e testimoni, titubanti e spaesati nel nuovo clima culturale affermatosi. Legato ad una stagione ormai trascorsa, Gian Pietro Lucini provò un profondo disagio nei confronti della modernità in ogni campo e fu in quegli anni d'inizio Novecento una sorta di principe di Salina della cultura italiana, a cavallo tra due epoche e forse a disagio in ambedue. Per di più il suo carattere duro e diffidente ne condizionò spesso i rapporti con le nuove avanguardie artistiche e con le sopraggiungenti generazioni sovversive, persino con gli anarchici pur a lui così affini, che così egli ironicamente descrisse:

«Venivano a me, lusingandomi, i libertari determinati e vanamente braccati, invano castigati dal fisco, dalla riprovazione, dall'isolamento, cercandomi compagno e combattente. Mandavano letterine femminili profumate ed eccitative, su cui, tra i rabeschi dello stil nuovo inglese, mi si pregava di collaborare e si cercava investigare le mie idee più a dentro ch'io non lo permettessi. Ed io ringraziava a quelle sollecitudini femminili di entusiaste, a quel bisogno di espandersi e di apostoleggiare; ma rifiutava. Tanto valeva ritornare al gregge, donde era uscito per sempre, se doveva mettermi a servizio di una schiera, combattesse pure per il trionfo di molte libertà oppure della Libertà indiscussa a me tanto cara».

L'IperUomo

Una delle più affascinanti ed immaginifiche figurazioni della poesia luciniana è l'IperUomo o l'Artista più che Artista. Gian Pietro Lucini, formulandola, rivendicò a sé, alla propria individualità, intesa come estrema incarnazione dell'Unico stirneriano, una completa ed effettiva libertà di azione morale, politica, artistica nei confronti di ogni istituzione ed organizzazione, fosse anche espressione dei nemici stessi delle istituzioni borghesi. L'individualismo di Lucini non accettò d'integrarsi in un percorso comune agli altri neppure nella sovversione e nella lotta al sistema. L'esperienza di Lucini si concluse consequenziariamente nell'autoisolamento, nel silenzio del delirio: un deliberato ed angoscioso silenzio che marchiò il suo animo come la notte. L'artista milanese vagheggiò vanamente la necessità di tendere con tutte le proprie forze verso una sintesi che potesse ricomporre in unità la molteplicità delle manifestazioni dello spirito. Per Georges Sorel, differentemente da Lucini, questa sintesi unitaria è possibile ed è data dal mito, dall'idea-forza, giacché essa simbolizza ed evoca nello stesso tempo le forze nascoste dell'inconscio ed orienta in modo potente il di-per-se-stesso caotico ed anti-teleologico corso della storia verso la rivoluzione.

L'artista, anch'egli irretito dal mito rivoluzionario, ma scettico verso il sindacalismo filosofico – così qualificò il pensiero soreliano – non riuscì dal canto suo a superare la dimensione antisociale in cui si era confinato e si rivolse piuttosto all'esempio dell'alchimia per esaltare il proprio egotismo; il procedimento alchemico fu da lui stesso assunto come determinazione del fare per ripetuti esperimenti, poiché in esso il processo di distillazione degli elementi tende a ricomporre l'unità in una sintesi superiore, l'Opus [5], l'Aurum non vulgi [6], esaltante ed opima di esperienze spirituali liberate, individuali ed incomunicabili. Con Friedrich Nietzsche altresì si insinuò nella coscienza dell'intellettuale l'idea di poter definitivamente superare l'arte nella vita. Egli dunque sporse lo sguardo al di là dell'arte, al divino Zarathustra, il mitico eroe eternamente teso, attraverso l'esperimento e l'avventura, al superamento del conformismo. Su queste basi nacque per l'appunto la visione luciniana dell'IperUomo, espressa nell'opera postuma La gnosi del Melibeo (1930). L'IperUomo Anarchico, in quanto artista della totalità, esercita una sorta di «imperio e schiavitù morale» sulle masse atomizzate dal potere, nel prometeico e al contempo sisifeo tentativo di redimerle e renderle degne del regno degli uomini.

Nonostante i suoi sforzi per liberarsi dall'ipoteca dell'immaginifico, egli riecheggiò ed ebbe sempre a modello proprio il classico eroe dannunziano; particolari affinità e contiguità, debiti e riconoscenze della immagine luciniana del Melibeo si riscontrano in Stelio Effrena, il protagonista de Il Fuoco (1900). La creazione artistica e la sensibilità estetica sono i tratti che li accomunano irrevocabilmente. Lucini ritenne, però, a differenza di D'Annunzio, che alla base della mitica figura nietzschiana di Zarathustra, ben nascosto, ci fosse il mito dell'Unico stirneriano, e ne trasse profitto per elaborare l'idea simbolica del suo eroe. Questi è, infatti, il costruttore e l'iniziatore di una nuova epoca, «unico legislatore di sé stesso» alla maniera di Claudio Cantelmo, il protagonista del romanzo dannunziano Le Vergini delle Rocce (1896): l'uomo più che uomo che, in quanto artista, prefigura, nel divenire carsico della storia, l'uomo sovversivo del futuro; questi sarà lo Sconosciuto-Riconosciuto, colui che crea la vita, «quell'Io di cui i ragionamenti della metafisica hanno parlato e hanno pur oggi identificato nelle sue divine ed immateriali ragioni senza confini. L'essenza fondamentale ed insieme cosciente dell'energia divina, cioè della Vita Universale».

L'ironia e l'Humorismo

In alcune pagine precedenti il quinto capitolo dell'Ora Topica di Carlo Dossi, Lucini si sofferma sul concetto di ironia:

«Buona ironia! Rimane il miglior idealismo preservativo, ricostituente, immunizza, è una ricchezza inesauribile, perchè, coll'usarla, la si riproduce; è un giocare colla vita, per fa sul serio dell'arte; è quanto rimane alle moderne genialità, dopo le messe sanguinose pontificate dalle passioni artificiali, dopo i suicidi delle loro maschere, che sono la modalità della loro coscienza: è quanto appartiene di più suo e di più caro all'artista, questa proposta dei logaritmi dell'imaginazione sciorinata davanti all'immusonita praticaccia venale; che se ne turba, se ne spaventa e manda per gendarme della logica, pel catedrante grigio, occhialuto e feticista».

Il quinto capitolo dell'Ora Topica di Carlo Dossi, intitolato L'Humorismo lo vendica, merita un'analisi particolare per i contenuti che Lucini esprime al suo interno e per l'attenzione che egli dedica ad un concetto davvero importante per chiunque si occupi di modernità e che inaugura esso stesso la modernità: l'umorismo. Lucini vede nell'Humorismo l'unica difesa possibile dall'assurdità del mondo, dalla sua non corrispondenza con le aspettative dell'uomo, il ridicolo coniugato con la satira, la risata che si deforma in un ghigno, la deformazione espressionistica del reale che attrae, quasi con fascinazione ipnotica, verso il brutto e il deforme:

«"L'Humorismo è attitudine speciale dell'intelletto e del carattere, per cui l'artista pone se stesso al posto delle cose" [citazione di Hegel]. Sostituire il fatto reale col fatto vero [...] ridere, riconfortarsi nella propria onestà; dileggiare altrui, manifestarsi lieto, non concedere al mondo la trista gioia d'esporgli le proprie sofferenze, che appunto il mondo gl'impone. [...] Questo è difendersi; questo è opporre violenza a violenza, volontà testarda a volontà incosciente; quali armi, il ridicolo, la satira, la falsa commiserazione, l'elogio a doppio taglio, come un bipenne, l'incenso affatturato da suffumigi d'ospedale, il ghigno, che sembra sorriso, la risata del disprezzo irrefrenato e convulsa, come una bestemmia!».

Citazioni

« Ma chi potrà imputarmi / il cieco delitto della incoscienza, / della bombarda scoppiata pazza, / d'odio, d'entusiasmo e frenesia / in mezzo alla folla ed in mezzo alla piazza? / Sciocchezza anarchica, / sacrificatasi co' suoi nemici, non fa per me. / No; l'arme ch'io impugno è perfetta; / l'arte la volle cosí; / brunita e rabescata, saggiata dal perito, / di calibro grosso, per bestie grosse; / e il mio bersaglio è scelto e lucido. »

~ Gian Pietro Lucini (da Congedo le Revolverate)

« Noi li asociali disinteressati fomentiamo questo intimo vulcano, cooperiamo a questa disgregazione: sopprimere l'attuale gerarchia, sostituire delle altre e razionali autorità. Non si creda con questo ad un mio socialismo: ma ad un mio anarcheggiare. Lo stato di natura, di questa natura oggi saputa colle scienze, oggi allettata colle arti, oggi raffinata colla serie evolutiva delli esseri, compresa coll'amore e colla solidarietà umana, a questo stato di natura, come Gian Giacomo Rousseau anela il mio pensiero etico-politico. È sempre una Utopia. Ho un concetto tutto mio e tutto vago di uno Stato futuro. Lo Stato dovrebbe essere quella opera pia le leggi della quale dovrebbero essere meno evidenti e meno interruttive delle energie individuali. Pochissime leggi di carattere generale, che possano, pure stabilendo dei principii di massima, seguire lo sviluppo della umanità ed evolversi come la vita stessa si evolve. Oggi il codice arresta i movimenti. Domani il socialismo livellerà tutto al minimo comun denominatore della mediocrità operaja. Vi sono due tirannie: quella delle perversità ricche e raffinate (la presente), l'altra delle ignoranze barbare, presuntuose e brutali, della sciocca onestà umana (la futura socialista). Noi usciremo dall'una per ripiombare nell'altra, e forse senza il conforto di una rivoluzione che farebbe tanto bene alla nostra arte paurosa e vile, ma per crepuscoli d'anime, di istituti, di lustri sempre più grigi, soffocanti ed annojati. Credo che la funzione dello Stato sia semplicemente di amministrazione. Promuovere e conservare alla nazione una continua atmosfera di libertà in cui si possano compartire: cibo alla mente ed alla pancia; amore e sicurezza. Il Demo futuro deve essere maestro, nutrice, proxeneta, nel buon senso della parola. Nessuna legge che imponga una eguaglianza, né un privilegio: non preferire, né disprezzare. Perché eguaglianza non v'è in natura, e tutto si bilancia con equilibrio istabile sopra la equivalenza. I cittadini del mio Demo saranno certamente equivalenti in faccia alla comunità, non mai eguali, perché le qualità ed i difetti di natura non si possono mai né togliere né colmare. Certo io non sono Antinoo: posso essere Esopo: ora codeste due forze umane si equivalgono filosofìcamente, perché sono due bellezze. »

~ Gian Pietro Lucini (da Prose e canzoni amare)

« Nella lingua comune dunque si dice democratico quanto è veramente e semplicemente aristocratico: l'anarchismo latente del partito repubblicano attuale è l'indice più evidente di quanto dico: in quel partito si rifugiarono tutte le intelligenze più alacri e più personali italiane: dal Bovio a Rapisardi - da Arcangelo Ghisleri al papa Leone XIII, dal Fratti al Bosdari: tutto il resto è socialista: il Re, Sonnino, il Cardinal Ferrari, Giolitti, la prostituta da cinque soldi, il contadino, l'operajo, il cenciajolo: tutto ciò è passivo, ha bisogno del dio, del padrone, della ruffiana, dell'imprenditore, delle banche, del vizio e della prostituzione: tutto ciò è l'uomo comune, moderno: li altri sono delli eroi: perciò sono asociali: distruggono perché sanno che sono capaci di rifabricare, con miglior ordine e con maggior profitto. »

~ Gian Pietro Lucini (da Prose e canzoni amare)

« Ho notato che nella società attuale tutte le azioni umane qualunque siano sono equivalenti. Così una lirica ha lo stesso valore di un metro cubo di muratura. Tutto ciò è possibile solamente dopo l'89 ed i grandi principii. Ma tutto ciò non significa ridur l'uomo al minimo comun denominatore? Per quanto il mio egoismo comprenda l’egoismo delli altri e si faccia in là per lasciargli posto, non vorrà certamente sacrificarsi in prò di un contadino, mi dia pure il frumento per il pane. Io sono abituato a mangiare idee: la pasta mi fa indigestione. Perché dunque questa equivalenza? - Il mio individualismo anarchico sorge da questa domanda vittorioso. »

~ Gian Pietro Lucini (da Prose e canzoni amare)

« Ma che è il simbolismo? La risposta non è più oscura né difficile: oggi si può sbrigarsi a rispondere: Una reazione al naturalismo zoliano. Ma si può anche dire: «È la negazione d'ogni e qualunque scuola in quanto obblighi una disciplina. È quell'arte che procede per riflessi: cioè che adopera dei simboli, cioè delle imagini per rappresentare le idee, valendosi di secrete concordanze soggettive il cui valore completo e complesso sfugge alla analisi critica ma è sentito. Il simbolismo è l'arte dei sensi, per ciò deve essere assolutamente libera. È l'effervescenza di un'anima nuova che non si accontenta di vivere, ma vuol vivere forte, libera, egoarchica, e quindi anarchica. Il simbolismo è antico come la letteratura che insorge. È il grido del ribelle contro la consuetudine: è l'arte di fronte allo stampo ed alla fotografia. Ciascuno che incominci è simbolico. Noi ci siamo abituati a chiamare classico colui che fonda una scuola (cioè colui a cui nolente si aggiungono delli imitatori). In questo caso Dante, il Cav. Marino, Zola, Carducci, Michelangiolo e Cremona sono simbolici. Essi inventano: li altri ricalcano sopra i loro dettagli di tecnica». »

~ Gian Pietro Lucini (da Prose e canzoni amare)

« Il moderno misticismo ch'io ho insieme elaborato e sopportato si compone di elementi antitetici che raramente si vedono associati e si presenta sotto un aspetto particolarmente indicativo. Misticismo anarchico, fonda il concetto d'ogni realtà nella evoluzione puramente spontanea delle forze la di cui libertà è l'unico motivo d'essere: ripudia, come erose di inganni e di tare, le idee d'ordine e legge pur definite intellettualmente e con queste la gerarchia non piegandosi al monito od alla istruzione di una rivelazione e tanto meno di una tradizione positiva. In questo modo non accampa una fede esclusiva e certa. – D'altra parte è misticismo scientifico, ragionatore, per quanto a suo modo antirazionalista: conserva per ciò un contatto permanente colla scienza e la logica delle quali si serve onde render più potenti e più facili e più ordinati i mezzi di esprimersi e di farsi comprendere, cioè le proprie discipline intellettuali. »

~ Gian Pietro Lucini (da Prose e canzoni amare)

« Io sono un rivoluzionario aristocratico che vuole ben divisa la propria responsabilità anche nel fatto della rivoluzione: accetto la così detta società delli uomini spesso come uno spettacolo più o meno divertente, più di rado come la materia con cui posso plasmare le mie ideologie; e schiavi ancora esistono perché possano costruire per me, che me ne intendo, il Colosseo, dove andranno a combattersi ed a morire, ma non mi giovò mai far l'attore. Altro che Futurismo! Sono un codino, mio caro, perciò ho scritto le Revolverate! Voi tutti, i miei così detti ammiratori, mi avete compreso molto male; hanno fatto così anche i recensori di Nietzsche; ed egli ha dovuto scrivere Ecce Homo: ed anch'io ho scritto il Verso libero. Questo vi ha già dato tutte le risposte possibili in merito; tornate a rileggerlo e tornerà a rispondervi a battuta, sempre: No: No: No. »

~ Gian Pietro Lucini (da una lettera a Marinetti del 14 febbrao 1909)

Note

  1. Così appare identificato nei registri cimiteriali milanesi consultabili tramite l'applicazione per dispositivi mobili Not 2 4get.
  2. 2,0 2,1 Fonte principale: Gian Pietro Lucini, di Cristiano Tedeschi
  3. Lucini così sintetizza la sua attività filosofica: «Stoicismo anarchico (autognosi sperimentale, sincerismo critico). Riflesso della mia vita di dolori fisici sopra l'osservazione del mondo. Quindi una grande indulgenza per li altri, per trovare una severità contro l'inganno e la menzogna. Desiderio assoluto della libertà, cooperare all'avvento di tutte le libertà. Sostituzione della fede scientifica alla fede cieca. Misticismo scientifico. Ammettere la scoperta dell'Inconoscibile (Dio). Ammettere che l'Uomo sta per divenire Dio: che cioè Dio è l'ultimo gradino di una evoluzione biologica in cui culmineranno tutte le Energheje umane in espressione ed in potenza».
  4. Così Dossi, scrittore, diplomatico, ministro del governo Crispi, descrive Lucini (ritratto inciso in una colonna del Portico dell'Amicizia nella sua villa “Il Dosso”, che da Cardina sovrasta Como):
    «Deforme come Socrate ed Esopo ne ebbe il genio.
    Nessun animo piú euritmico del suo:
    nessuna intelligenza piú squisitamente colta.
    Mirava a fondere, in una sola armonia,
    il trionfo della individualità personale
    con quello della universale fraternità.
    La sua poesia era verità;
    la sua anarchia, onestà.
    Pochi lo compresero.
    Gli mancò l'arte del ciarlatano».
  5. Procedimento alchemico che porta alla creazione della Pietra Filosofale.
  6. Aurum nostrum non est aurum vulgi: il nostro oro non è l'oro del volgo (espressione contenuta nel Rosarium philosophorum, detto anche Rosario dei filosofi, un testo alchemico del XIII secolo, tradizionalmente attribuito ad Arnaldo da Villanova, ma in realtà di autore anonimo della fine del XIV secolo.

Opere

Poesia

  • Il libro delle figurazioni ideali, Milano, 1894
  • Il libro delle immagini terrene, Milano, 1898
  • La nenia al bimbo di un Ci-Devant, Milano, 1898
  • Il monologo di Florindo, Milano, 1898
  • Il monologo di Rosaura, Milano, 1898
  • I monologhi di Pierrot, Milano, 1898
  • L'intermezzo dell'Arlecchinata, Milano, 1898
  • La ballata di Carmen Monarchia corifea di Café Chantant, Milano, 1900
  • Elogio di Varazze, Varazze, 1907
  • Per una vecchia croce di ferro (tre liriche con disegni di Carlo Agazzi), Milano, 1908
  • Revolverate (con una prefazione futurista di Filippo Tommaso Marinetti), Milano, Edizioni di "Poesia", 1909
  • Carme di angoscia e di Speranza, Milano, 1909
  • La solita canzone di Melibeo, Milano, 1910
  • Parade, seguito da un dialogo notturno tra il passante e la passante (inediti a cura di Terenzio Grandi), Milano, 1967
  • Le antitesi e le perversità (a cura di Glauco Viazzi), Parma, 1970
  • Revolverate e Nuove Revolverate (a cura di Edoardo Sanguineti), Torino, 1975
  • Esperienze d'amore del Melibeo (a cura di Terenzio Grandi), Alberto Tallone Editore, 1976

Narrativa e prose varie

  • Gian Pietro da Core, Storia della Evoluzione della Idea (preceduto da Il Commiato), Milano, 1895
  • Epistola apologetica a Le Ballate d'Amore e di Dolore di Luigi Donati, Milano, 1897
  • La prima ora dell'Accademia, Milano - Napoli - Salerno, 1902
  • Appunti stendhaliani, Saluzzo, 1903
  • Ai Mani gloriosi di Giosuè Carducci, Varazze, 1907
  • Ragion poetica e Programma del Verso Libero. Grammatica, ricordi e confidenze per servire alla Storia delle Lettere contemporanee, Milano, 1908 [1]
  • L'ora topica di Carlo Dossi, saggio di critica integrale, Varese, 1911
  • Giosuè Carducci, Varese, 1912
  • Filosofi ultimi, rassegna a volo d'aquila del Melibeo, contributo ad una storia della filosofia contemporanea, Roma, 1913
  • Il tempio della gloria. Tre ore sceniche della Russia contemporanea con Prefazioni ed Appendici, Ancona, 1913
  • Antidannunziana. D'Annunzio al vaglio della critica, Milano, 1914
  • La piccola Chelidonio, Milano, 1922
  • La gnosi del Melibeo ossia i suoi filosofici svaghi, raccolti e glossati da Gian Pietro Lucini (a cura di Terenzio Grandi), Torino, 1930
  • Libri e cose scritte (a cura di Glauco Viazzi), Napoli, 1971
  • Per una poetica del simbolismo (a cura di Glauco Viazzi), Napoli 1971
  • Scritti critici (a cura di Luciana Martinelli), Bari, 1971
  • Prose e Canzoni amare (a cura di Isabella Ghidetti, prefazione di Giorgio Luti), Firenze, 1971
  • I Drammi delle Maschere (a cura di Glauco Viazzi), Parma 1973
  • Marinetti Futurismo Futuristi. Saggi e interventi (a cura di Mario Artioli; in appendice Lettere a Aldo Palazzeschi), Bologna, 1975
  • D'Annunzio al vaglio dell'Humorismo (a cura di Edoardo Sanguineti), Genova, Costa & Nolan, 1989
Note bibliografiche
  1. Ristampato nel 2008 dalle Edizioni Interlinea di Novara col titolo Il verso libero. Proposta, a cura di Pier Luigi Ferro.

Voci correlate

Collegamenti esterni