Fasci Siciliani

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Il movimento dei fasci siciliani dei lavoratori di Onofrio e Minico Ducato (1995)

I Fasci Siciliani (detti anche Fasci siciliani dei lavoratori) sono stati un movimento popolare di ispirazione democratica e socialista, diffusosi in Sicilia dal 1891 al 1893, anche se il primo fascio fu costituito a Messina sin dal 18 marzo 1889.

Il movimento dei fasci fece presa soprattutto tra operai, braccianti, piccoli contadini e minatori (zolfatari), i quali decisero di unire le forze (il fascio simboleggia proprio l'unità degli sfruttati) contro l'arroganza e il potere coercitivo dei ceti dominanti.

I fasci siciliani, in cui furono attivi sia uomini che donne, subirono la dura repressione del governo Crispi, che nel gennaio 1894 dichiarò lo stato d'emergenza e spedì ingenti forze militari a sciogliere le organizzazioni dei lavoratori, arrestare i leader e ridimensionare notevolmente le loro rivendicazioni (più terra ai contadini, salari più alti per braccianti, minatori e operai). Anche la mafia agì di concerto con le istituzioni, visto che l'ordine latifondistico favoriva la loro organizzazione criminale.

Contesto storico

Il periodo risorgimentale e l'unità d'Italia, che avevano promesso alle masse una maggiore giustizia sociale, in realtà in Sicilia non stravolse per nulla l'antica tradizione feudataria imperniata sul latifondo. Nonostante i deboli tentativi dei governi nazionali di distruggere i feudi e favorire la nascita di piccoli e medi proprietari, i grandi proprietari continuarono a dominare imperterriti il mondo delle campagne. D'altronde, né la trasformazione dei feudi in proprietà né l'acquisizione delle terre del demanio pubblico e della Chiesa intaccò le sperequazioni del latifondismo. Molti ex-feudatari in rovina vendettero le proprie terre ad altri ex-feudatari più fortunati o a gabelloti arricchiti [1], ovvero quelle persone, generalmente affiliate alle organizzazioni mafiose, che pagavano una gabella (una sorta di affitto) ai proprietari per acquisire l'uso del terreno. Essi generalmente affitavano ai coloni a prezzi esorbitanti ed angariavano i contadini avvalendosi dei "soprastanti" (collaboratori dei gabellotti) e dei "campieri" (vero e proprio braccio armato dei gabelloti, una sorta di polizia privata al servizio della mafia). In questo modo i gabelloti accumulavano denaro e acquistavano nuove terre, andando di fatto a ricostituire nuovi latifondi.

Luigi Molinari fu arrestato nel gennaio del 1894 per aver istigato un'insurrezione condotta da bande armate di anarchici che supportavano le vittime siciliane dello "stato d'assedio".

Nelle principali città siciliane (Palermo, Catania e Messina) la condizione operaia era molto complicata. L'industria siciliana era nata nei primi anni dell'ottocento, ma già alla fine del secolo era in fase di declino in quanto dopo l'Unità d'Italia non era in più grado di competere con la più florida industria del nord. Gli operai soffrivano questa situazione e vivevano perennemente in condizioni di disagio economico e sociale. Gli zolfatari, invece, vivevano una situazione abbastanza simile a quella dei contadini del latifondo, anch'essi dovevano subire le angherie dei gabelloti mafiosi delle miniere. Questi, esattamente come quelli agrari, pagavano la gabella ai proprietari delle miniere e lucravano alti profitti sfruttando il più possibile i "picconieri" e i "carusi" [2].

Il debole sistema industriale siciliano portò comunque allo sviluppo di un abbozzo di movimento operaio, entro cui cominciò a prender forma la coscienza di classe. Nel luglio del 1860, a Corleone, sorse la prima società di mutuo soccorso; la seconda fu fondata a Palermo e poi via via, soprattutto a partire dal 1875, se ne formarono altre in tutta la Sicilia. Le società di mutuo soccorso erano organizzazioni proletarie che, dietro pagamento di quote mensili, promuovevano la resistenza, attraverso scioperi e agitazioni, contro lo sfruttamento e l'oppressione padronale, istituzionale e mafiosa (la società dei tipografi del 1875 prevedeva nel proprio statuto il ricorso allo sciopero, come mezzo per difendere salario e diritti, ricorrendo anche alla costituzione di una cassa mutua da utilizzare durante gli scioperi in sostegno ai lavoratori).

In tutta questa situazione, a partire dal 1874, l'Europa fu attraversata da una grande crisi economica (per colpa soprattutto dell'invasione di prodotti americani, in particolare di grano ed altri cereali), che raggiunse la Sicilia alla metà degli anni '80. I primi prodotti ad essere colpiti dalla crisi furono il grano e lo zolfo. Nel 1887 il Governo italiano introdusse nuove tariffe doganali sui cereali d'importazione, pensando che il protezionismo potesse salvaguardare la piccola e media imprenditoria agricola. In realtà ad esser agevolata fu la borghesia settentrionale a discapito del meridione, inoltre ciò scatenò la guerra commerciale con la Francia che bloccò l'importazione di vino. Alla crisi del grano si aggiunse quindi quella del vino e poi quella degli agrumi. In questa situazione di crescente difficoltà e disagio, la protesta, se non proprio la rivolta vera e propria, contro le ingiustizie sociali ed economiche fu un fatto del tutto naturale e logico.

Nascita, sviluppo e repressione dei fasci siciliani

I primi fasci urbani e rurali

Inizialmente il movimento dei fasci ebbe un carattere prettamente urbano ed operaio: il 18 marzo 1889 fu costituito a Messina il primo Fascio siciliano, strutturato sull'esempio dei fasci settentrionali sorti sin dal 1871. Esso riuniva le società operaie della città, tuttavia risultò lungamente non operante (luglio 1889-marzo 1892) a causa dell'arresto e della condanna a due anni del suo fondatore Nicola Petrina.

Il 1° maggio 1891 Giuseppe De Felice Giuffrida fondò il Fascio di Catania, dando così veramente avvio al movimento dei fasci siciliani. Il fascio catanese era aperto a tutti perché nell'intenzione di de Felice vi era l'idea formare coscienze e fare propaganda contro lo sfruttamento e l'ingiustizia sociale. De Felice inoltre aveva stabili rapporti con l'anarchico Amilcare Cipriani che guardava con interesse a quanto stava accadendo nell'isola. [3]

Il 29 giugno 1892, grazie a Rosario Garibaldi Bosco, si costituì quello di Palermo. Fin quasi tutto il 1892 i Fasci conservarono un carattere prevalentemente cittadino, ma la forza del movimento fu l'incontro e l'unione delle organizzazioni operaie con le masse contadine. Dopo il 29 giugno molte società operaie e di mutuo soccorso si sciolsero ed entrarono a far parte del fascio, che nel giro di due mesi raggiunse la quota di 7.500 iscritti. Il 4 agosto 1892, Garibaldi Bosco, insieme ad altri rappresentanti dei Fasci Siciliani, fu delegato al Congresso di Genova, quello in cui si costituì il Partito dei Lavoratori Italiani (futuro Partito Socialista Italiano). Inizia in questo modo il legame tra il Partito Socialista e i fasci dei lavoratori.

I fasci urbani funsero da esempio per la classe contadina, entro cui non mancava la volontà di lottare contro le angherie dei proprietari e dei mafiosi, tuttavia l'istruzione e la capacità d'organizzazione erano stati sino ad allora quasi del tutto assenti. Uno dei primi fasci rurali fu fondato a Corleone l'8 settembre 1892 da Bernardino Verro, anche se le attività vere e proprie iniziarono soltanto il 9 aprile 1893; nell'autunno del 1893 il fascio rurale di Corleone contava già seimila iscritti. L'unità tra i poveri: era questo il messaggio semplice e rivoluzionario dei fasci. Così Verro spiegava ai contadini, spesso analfabeti, l'importanza del movimento:

«Se voi prendete una verga sola la spezzate facilmente, se ne prendete due le spezzate con maggiore difficoltà. Ma se fate un fascio di verghe è impossibile spezzarle. Così, se il lavoratore è solo può essere piegato dal padrone, se invece si unisce in un fascio, in un'organizzazione, diventa invincibile.» [4]

Un altro importante fascio rurale fu quello organizzato dal medico Nicola Barbato a Piana dei Greci, fondato il 21 marzo 1893. Una caratteristica di questo fascio fu l'alta presenza femminile, che comunque non fu un'esclusiva di Piana.

Sviluppo del movimento

Il 20 gennaio 1893, a Caltavuturo (PA), 500 contadini, dopo aver occupato alcune terre del demanio che il sindaco non intendeva concedere loro, vennero violentemente attaccati da soldati e carabinieri armati di fucile: tredici persone persero la vita. A seguito di tale massacro furono organizzate numerose manifestazioni di solidarietà, sia a livello locale che nazionale. Questa strage portò alla reazione delle campagne, che vide sorgere un pò ovunque nuovi fasci rurali.

Giovanni Giolitti, gestì la rivolta dei fasci siciliani dal 15 maggio 1892 al 15 dicembre 1893.

Intanto, l'importante "Fascio dei Lavoratori di Palermo", andò a strutturarsi come una sorta di federazione simile al modello della "Bourse du Travail" di Parigi. Il 21 e 22 maggio 1893 a Palermo si tenne un congresso a cui parteciparono 500 delegati di quasi 90 Fasci e circoli socialisti. Fu costituito un Comitato Centrale, composto da nove membri: Giacomo Montalto per la provincia di Trapani, Nicola Petrina per la provincia di Messina, Giuseppe De Felice Giuffrida per la provincia di Catania, Luigi Leone per la provincia di Siracusa, Antonio Licata per la provincia di Girgenti, Agostino Lo Piano Pomar per la provincia di Caltanissetta, Rosario Garibaldi Bosco, Nicola Barbato e Bernardino Verro per la provincia di Palermo. Il convegno introdusse la pregiudiziale socialista, ovvero si stabilì che i fasci dei lavoratori dovessero anche divenire sezioni del Partito dei Lavoratori; ciò comportò l'allontanamento o la marginalizzazione delle anime più radicali (tra cui gli anarchici) non allineate al socialismo. Il congresso in definitiva sancì il legame tra fasci rurali e fasci urbani, ovvero tra movimento operaio ed il movimento contadino, ufficializzando l'unione delle forze popolari in lotta contro l'ingiustizia sociale. Altro elemento del congresso fu il ruolo attribuito alle donne siciliane, che parteciparono in massa all'organizzazione del movimento assumendo anche ruoli molto importanti (Caterina Costanza, venne arrestata nella zona di Piana dei Greci con l'accusa di aver promosso lo sciopero del 30 ottobre; a Villafrati vennero arrestate sei donne, in quanto si erano recate armate di bastone nei terreni di un proprietario del luogo per obbligare i braccianti ad aderire allo scioperare. ).

La crisi economica che aveva colpito la Sicilia non aveva intaccato la forza dei latifondisti, al contrario li aveva agevolati perché s'erano visti aumentare la rendita fondiaria dopo l'introduzione dei dazi doganali; i gabelloti, invece, scaricarono il peso della crisi sui coloni (gabelle più alte). Fu proprio contro questi che che nel 1893 i contadini riversarono la propria rabbia e disperazione. Le agitazioni di maggio portarono alla reazione delle autorità di Pubblica Sicurezza e, di conseguenza, alle prime denunce ed ai primi arresti. Verro e Barbato vennero denunciati come agitatori, Nicolò Barbato fu tradotto in carcere il 12 maggio ma rilasciato il 20 giugno, per via del grande scalpore suscitato dal suo arresto. In questo modo però gli scioperi terminarono.

Nel luglio 1893, un convegno contadino organizzato a Corleone portò all'elaborazione dei cosiddetti "Patti di Corleone", che proponevano nuovi contratti agrari tra i lavoratori delle campagne, i mezzadri e i proprietari. I "patti" prevedevano aumenti salariali per i braccianti, divisione dei beni demaniali, affitto diretto dal proprietario del terreno ed eliminazione della figura intermediaria del gabelloto, che oltre a angariare i contadini con affitti altissimi erano spesso legati alla mafia.

Quando i negoziati furono negati, i fasci proclamarono scioperi in tutta l'isola: da Corleone e da Piana dei Greci la protesta nell'entroterra palermitano (Bisacquino, Villafrati, Chiusa Sclafani, Contessa Entellina, Roccamena, Belmonte Mezzagno) e agrigentino (Casteltermini, Acquaviva Platani, Santo Stefano di Quisquina ed altri centri minori). Bisogna sottolineare che la via scelta nel congresso di maggio, non era quella rivoluzionaria ma quella legalitaria e riformista. Così furono costituite molte liste socialiste, composte sia da "fascianti" poco noti che da candidati già molto conosciuti: De Felice a Catania, Petrina e Noé a Messina, Barbato a Piana dei Greci.

Giovanni Giolitti, che aveva sostituito Crispi dal 15 maggio 1892, ricevette enormi pressioni per sciogliere le organizzazioni e dichiarare lo stato d'assedio. Egli però non intendeva usare la violenza, sperava infatti che il movimento si estinguesse da sé. Le spinte all'uso della forza giunsero principalmente dai ricchi, dai gabelloti e anche dalle istituzioni ecclesiastiche. I fasci, infatti, venivano descritti come nemici dell'ordine pubblico, bollati come pericolosi socialisti, comunisti ed anarchici, anche se questo non era sempre o quasi mai vero. La posizione reazionaria della Chiesa, allontanò di fatto i contadini, sia uomini che donne, dall'istituzione ecclesiastica e dalle loro autorità, anche se gran parte di loro rimasero comunque fedeli religione cattolica, ai loro simboli e dogmi.

Repressione: gli eccidi del governo Crispi

Oltre alla questione agraria e operaia, in Sicilia le dimostrazioni cominciarono ad avere anche un carattere anti-tasse. Queste, dirette ed indirette, erano molto onerose ed erano un grosso problema per i ceti meno abbienti, ecco perché lo sciopero contro il caro tasse coinvolse diversi ceti sociali, a parte ovviamente quelli più abbienti che proporzionalmente al reddito pagavano di meno. Oltre a questo, le nuove proteste furono incentrate anche contro la gestione privatistica dei municipi e l'autoritarismo dei sindaci, che spessissimo svolgevano veri e propri compiti di polizia, avvalendosi delle guardie campestri (gli ex-campieri, cioè la polizia mafiosa, assunsero questo nome dopo essere di fatto istituzionalizzati) che non si facevano scrupolo ad usare la forza per intimorire le popolazioni locali ed imporre la volontà delle amministrazioni comunali (spesso colluse con la mafia e i ceti sociali più ricchi).

Una delle prime dimostrazioni contro le tasse s'era svolta il 15 agosto a Belmonte Mezzagno (prov. Palermo). In quell'occasione il sindaco diede l'ordine di scioglierla con la forza: tutte le donne presenti furono arrestate e stessa sorte subirono molti uomini. Una'altra manifestazione a Siracusa del 10 ottobre sfociò in un assalto al municipio, che venne saccheggiato. A Floresta, in provincia di Messina, il 22 ottobre fu assaltata la caserma dei carabinieri.

In una situazione che si scaldava sempre più, Giovanni Giolitti fu travolto dallo scandalo bancario e si dimise dall'incarico il 28 novembre 1893 [5]. Fu sostituito da Francesco Crispi, che divenne Presidente del Consiglio a partire dal 15 dicembre 1893, un uomo forte che aveva promesso di risolvere la crisi siciliana in qualsiasi modo:

« Amo il popolo; sono lavoratore anch' io, perché non ho vissuto e non vivo che del mio lavoro; ma mentre sono favorevole a tutte le legittime associazioni, che hanno per scopo il miglioramento delle classi operaie non posso ammettere alcune di queste associazioni che abbiano di mira lo sfascio dello stato attuale». [6]

Oltre alla repressione governativa, i fasci siciliani dovettero fronteggiare anche il voltafaccia del Partito Socialista, che decise sostanzialmente di non occuparsi più della questione agraria. Meglio, i socialisti decisero di non interessarsi più alle problematiche dei piccoli e medi imprenditori agricoli (che secondo loro erano da ritenersi comunque un'espressione del capitalismo) ma solo di quelle del bracciantato.

Con questa scelta i socialisti ruppero l'unità del movimento, che come logica conseguenza perse compattezza e unità d'intenti. I dirigenti dei fasci persero il controllo del movimento e da dicembre i tumulti si susseguirono sempre più frequentemente:

Secondo Napoleone Colajanni i dimostranti uccisi furono almeno 92, mentre tra i militari vi sarebbe stato un solo morto. Solo una parte di questi morti è attribuibile ai militari, l'altra invece fu dovuta agli spari delle guardie campestri. Nessuna di queste sarà arrestata o processata per questi eccidi.

Lo stato d'assedio e la liquidazione del movimento

Il 3 gennaio 1894, quando ormai i fasci erano stati sostanzialmente sconfitti dalla violenza di Stato e Mafia, venne convocato il Comitato Centrale che per la prima volta chiese la definitiva liquidazione del latifondo (fino ad allora le rivendicazioni erano tese alla riforma dei patti agrari e agli aumenti salariali).

Il 4 gennaio fu proclamato lo stato d'assedio nell'Isola e fu concessa libertà d'azione al generale Morra di Lavriano, nominato dal Crispi commissario straordinario con pieni poteri militari e civili. Per prima cosa furono fatti arrestati tutti i membri del Comitato Centrale e i dirigenti più importanti dei Fasci della Sicilia: De Felice, Petrina, De Luca, Montalto, Ciralli e Maniscalco vennero arrestati il 4; Bosco, Barbato e Verro il 16. Moltissimi furono anche i contadini, gli studenti e tutti gli attivisti o simpatizzanti del movimento. In tutto gli arresti furono 1.962 (curiosamente 361 erano della provincia di Catania e 135 della provincia di Messina, cioè di due province dove non c'erano stati tumulti), in seguito anche all'editto del generale Morra che ordinava l'arresto e l'invio a domicilio coatto «degli ammoniti e della gente malfamata».

L'8 gennaio erano stati istituiti tre tribunali militari (Palermo, Messina e Caltanissetta), in cui furono processate centinaia e centinaia di persone, spessissimo accusate semplicemente sulla base di dichiarazioni dei sindaci, delle guardie campestri, dei carabinieri, dei proprietari ecc. Come detto, né i militari né le guardie campestri furono condannate, ma solo i militanti dei fasci subirono pesanti condanne a lunghi anni di carcere o all'ergastolo.

Il movimento fu quindi liquidato definitivamente e venne momentaneamente sospesa «la libertà della stampa, il diritto di riunione e di associazione» (tranne che per i nobili che poterono continuare ad incontrarsi nei loro circoli). Nelle settimane seguenti furono organizzate manifestazioni spontanee di solidarietà con gli arrestati, soprattutto grazie all'impegno degli studenti universitari di Palermo che non volevano far cadere nel dimenticatoio le legittime proteste dei fasci siciliani. Tutto ciò non fu vano ed infatti il 14 marzo 1896 il nuovo governo Di Rudinì concesse l'amnistia ai condannati dai tribunali di guerra per i moti del '93-94.

Il ruolo degli anarchici

Seppur le istituzioni avessero accusato i "fasci" di essere anarchici, in realtà la loro partecipazione diretta al movimento fu marginale soprattutto perché i socialisti non gradivano che i contadini e i proletari siciliani potessero avvicinarsi dall'anarchismo e di conseguenza si adoperarono per impedire l'"inflitrazione" anarchica. Infatti, dopo il congresso di Palermo (maggio 1893) e l'adesione al Partito dei Lavoratori (futuro Partito Socialista), le sezioni dei fasci divennero anche sezioni socialiste: alcuni "fascianti" furono espulsi dal movimento o marginalizzati con l'accusa di essere militanti dell'anarchia.

Il movimento anarchico tentò ugualmente di dare il proprio contributo: secondo quanto riportano alcuni siti web, il «3 gennaio 1894, a Palermo, in una riunione segreta, gli anarchici stesero un manifesto, comunicato in via telegrafica a Crispi, chiedendo tra le altre cose, l'abolizione dei dazi sulle farine, inchieste sulle pubbliche amministrazioni, esproprio dei latifondi incolti con un equo indennizzo ai proprietari.». In tutta risposta, come risaputo, lo stesso giorno Crispi proclamò lo stato d'assedio su tutta la Sicilia e vi inviò 40 mila soldati a ripristinare l'ordine.

Resta il fatto che gli anarchici siciliani e quelli "continentali" seguirono con viva attenzione quanto accadeva nell'isola. Nei centri della penisola in cui l'anarchismo era più vivo si tennero manifestazioni di solidarietà e sostegno ai Fasci Siciliani. L'anarchico Luigi Molinari, per esempio, fu arrestato nel gennaio del 1894 per aver istigato un'insurrezione condotta da bande armate di anarchici che supportavano le vittime siciliane dello "stato d'assedio". La notizia delle repressioni siciliane aveva spinto gli anarchici toscani all'insurrezione: il 13 gennaio quelli della Lunigiana (in Toscana) si armarono, tagliarono le linee telegrafiche, ostruirono la strada che collega Massa a Carrara e si scontrarono con i crumiri e la forza pubblica. Il 16 gennaio Crispi fu costretto a porre lo stato d'assedio anche sulla Lunigiana.

«Il 13 gennaio 1894 veniva indetto a Carrara lo sciopero di protesta contro lo stato d'assedio in Sicilia e di solidarietà con gli uomini dei Fasci siciliani arrestati. La manifestazione, che doveva esprimere anche il risentimento per la chiamata alle armi della classe del 1869, doveva essere anzitutto una adunata di scioperanti nella città di Carrara. Ma dai primi assembramenti si passò alla formazione di barricate alla Foce, fra Massa e Carrara, e alla interruzione delle linee telegrafiche. Gruppi di dimostranti attaccavano poi i posti del dazio e le armerie delle guardie, che venivano saccheggiate. Ad Avenza si verificava il primo scontro armato: uccisi un carabiniere e un dimostrante. Fra il 13 e il 14 si formarono concentramenti di ribelli a Becizzano, Codena e Miseglia e mossero verso la città al grido di "Viva la Sicilia! Viva la rivoluzione!"» (I moti del 1894)

Note

Bibliografia

  • G. De Felice Giuffrida, Mafia e delinquenza in Sicilia, Milano, 1900.
  • G. De Felice Giuffrida, La questione sociale in Sicilia, Roma, 1901.
  • Romano, S.F., Storia dei Fasci Siciliani, Bari, Editore Laterza, 1959.
  • Francesco Renda, I fasci siciliani (1892-1894), Torino, Einaudi, 1977.
  • Umberto Santino, Storia del movimento antimafia, Roma, Editori Riuniti, 2000.
  • Giovanni La Terra, Le sommosse nel ragusano – AA.VV., I fasci siciliani nel Ragusano (in un processo del 1894), Sicilia Punto L.
  • Giuseppe Miccichè, I fasci dei lavoratori nella Sicilia sud orientale, Sicilia Punto L.
  • Gino Cerrito, I fasci dei lavoratori nella provincia di Messina, pp. Sicilia Punto L.

Voci correlate

Collegamenti esterni