Censura fascista

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Prima pagina di Umanità  Nova (9/12/1956). La violenza squadrista costrinse alla chiusura dle giornale nel dicembre del 1922

La censura in Italia durante il ventennio fascista (1922-1944), consistente nella forte limitazione della libertà  di stampa, radiodiffusione, assemblea e della semplice libertà  di espressione in pubblico, non fu una creazione del mussoliniano, e non terminò con la fine del fascismo, ma ebbe una grande influenza nella vita degli italiani durante la dittatura.

I principali scopi di questa attività  erano, in breve:

  • Controllo sull'immagine pubblica del regime, ottenuto anche con la cancellazione immediata di qualsiasi contenuto che potesse suscitare opposizione, sospetto, o dubbi sul fascismo.
  • Controllo costante dell'opinione pubblica come strumento di misurazione del consenso.
  • Creazione di archivi nazionali e locali (schedatura) nei quali ogni cittadino veniva catalogato e classificato a seconda delle sue idee, le sue abitudini, le sua relazioni d'amicizia e sessuali, e le sue eventuali situazioni e atti percepiti come vergognosi; in questo senso, la censura veniva usata come strumento per la creazione di uno stato di polizia.

La censura fascista combatteva ogni contenuto ideologico alieno al fascismo o disfattista dell'immagine nazionale, ed ogni altro lavoro o contenuto che potesse incoraggiare temi culturali considerati disturbanti.

Censura nelle comunicazioni pubbliche

Questa branca dell'attività  censoria veniva principalmente condotta dal Ministero della Cultura Popolare, comunemente abbreviato come Min.Cul.Pop.. Questa struttura governativa aveva competenza su tutti i contenuti che potessero apparire in giornali, radio, letteratura, teatro, cinema, ed in genere qualsiasi altra forma di comunicazione o arte.

Nell'industria libraria, gli editori avevano i loro propri controllori, che solertemente prestavano opera nella stessa struttura privata, ma spesso poteva capitare che alcuni testi raggiungessero le librerie ed in questo caso un'organizzazione capillare riusciva spesso a sequestrare tutte le copie dell'opera bandita in un tempo molto breve.

Da segnalare la questione dell'italianizzazione di parole provenienti da altre lingue: con l'"Autarchia" (la manovra d'indirizzo generale verso l'auto-sufficienza e l'italianità ) erano state bandite, ed ogni tentativo per utilizzare una parola non-italiana risultava in un'azione censoria formale.

La censura comunque non imponeva grossi limiti sulla letteratura straniera, e molti tra gli autori stranieri potevano essere letti liberamente. Questi autori potevano liberamente visitare l' Italia e scrivere di essa, senza che si possano registrare particolari situazioni problematiche.

Censura dell'ideologia marxista

Nel 1930 venne proibita la distribuzione di libri che contenevano ideologia marxista o simili, ma questi libri potevano essere raccolti nelle biblioteche pubbliche in sezioni speciali non aperte al vasto pubblico. Lo stesso capitava per i libri che venivano sottoposti a sequestro. Tutti questi testi potevano essere letti dietro autorizzazione governativa ricevuta in seguito alla manifestazione di validi e chiari propositi scientifici o culturali, ma si dice che ottenere questi permessi fosse una faccenda alquanto facile.

Roghi di libri nel 1938

Grandi falò di libri si verificarono sin dal 1938: le opere contenenti temi sulla cultura ebraica, la massoneria, l'ideologia comunista, vennero rimosse dagli occulti scaffali delle sezioni riservate delle librerie (ma si dice che in effetti l'ordine non sia stato eseguito con grande zelo, dal momento che questa politica rese molto impopolare il Regime). Per poter evitare le ispezioni e i sequestri fatti dalla OVRA, molti bibliotecari preferirono nascondere le opere incriminate, che in effetti in molti casi vennero ritrovate alla fine della guerra.

Autocensura della stampa

Viene sostenuto che la stampa italiana si sia auto-censurata da sola prima che la commissione censoria potesse farlo. In effetti le azioni contro la stampa formalmente furono molto poche, ma è stato fatto notare che a causa dell'organizzazione altamente gerarchizzata dei giornali (in mano a persone spesso amiche del regime o indifferenti ma timorose di esso), il regime poteva sentirsi abbastanza sicuro, controllando molto spesso la nomina dei direttori e dei responsabili per la censura nelle singole testate.

La maggior parte degli intellettuali che prima e durante le prime fasi dell'instaurarsi del fascismo, avevano chiaramente e liberamente espresso il loro antifascismo (ad esempio Indro Montanelli), conservarono comunque il ruolo di giornalista (con poche eccezioni come Antonio Gramsci), e molto confortevolmente trovarono il modo di lavorare in un sistema dove le notizie arrivavano direttamente dal governo (in bollettini di notizie noti come "veline", per il tipo di carta-velina che si impiegava per fare molteplici copie nella macchina da scrivere meccanica) ed era necessario soltanto adattarle alle forme, stile e cultura media del proprio pubblico prevalente di lettori o ascoltatori.

I nuovi revisionisti parlano di un servilismo dei giornalisti, e in questo sono sorprendentemente seguiti da molti altri autori, tra cui anche alcuni di sinistra, dato che questo sospetto è sempre stato attribuito alla stampa italiana, prima, durante e dopo il "Ventennio", e anche in tempi recenti la categoria non ha ancora dimostrato completamente la sua indipendenza dai "poteri forti". Un noto scrittore e giornalista italiano, Ennio Flaiano, notoriamente antifascista, era solito dire che i giornalisti non devono preoccuparsi di "quella irrilevante maggioranza di italiani".

Anche Pensiero e Volontà  cadde nelle grinfie della censura

Stampa clandestina

La stampa indipendente (illegale) usava atrezzature e distribuzione clandestine, ed era collegata principalmente alle attività  di gruppi politici.

Il controllo sulle pubblicazioni lecite era condotto in pratica, alle rotative, da fedeli funzionari civili, e ciò diede vita alla comune battuta secondo cui qualsiasi testo che poteva raggiungere un lettore era stato "scritto dal Duce e approvato dal caporeparto".

Come in qualsiasi sistema forte, la censura fascista suggeriva di comporre i giornali con una più ampia attenzione alla cronaca nei momenti politicamente più delicati, in modo da distrarre l'opinione pubblica dai passaggi pericolosi per il governo. La stampa creava allora dei "mostri" o si concentrava su figure terrorizzanti (assassini, serial killer, terroristi, pedofili, ecc.). Quando necessario, veniva evidenziata l'immagine di uno stato sicuro e ordinato, dove la polizia era in grado di catturare tutti i criminali e, come vuole il luogo comune, i treni erano sempre in orario. Tutte queste manovre erano solitamente gestite direttamente dal MinCulPop.

Per completezza si deve ricordare che dopo il fascismo, la repubblica democratica non cambiò la sostanza della legge fascista sulla stampa, che oggi è organizzata come in precedenza. Ad esempio la legge sull'accesso alla professione di giornalista è rimasta inalterata.

La satira: il Marc'Aurelio

Riguardo alla satira e alla stampa ad essa associata, il fascismo non fu più severo, e infatti una famosa rivista, il Marc'Aurelio, ebbe modo di essere stampata e distribuita con pochi problemi. Nel 1924-1925, durante il periodo più violento del fascismo (quando le squadre usarono la brutalità  contro gli oppositori), riferendosi alla morte di Giacomo Matteotti, ucciso dai fascisti, il Marc'Aurelio pubblicò una serie di pesanti barzellette e vignette, descrivendo un Mussolini che distribuiva la pace, eterna in questo caso. Il Marc'Aurelio comunque assunse un tono più integrato negli anni successivi e nel 1938 (l'anno delle leggi razziali) pubblicava spesso articoli e disegni di volgare contenuto antisemita.

La censura nelle comunicazioni private

Abbastanza ovviamente, qualsiasi telefonata era a rischio di essere intercettata e, talvolta, interrotta dai censori.

Non tutta la corrispondenza veniva ispezionata, ma non tutta quella che veniva letta dai censori riportava il regolare bollo che registrava l'avvenuto controllo. Gran parte della censura, molto probabilmente, non veniva dichiarata, in modo da poter segretamente consentire ulteriori investigazioni di polizia.

Chiacchierare sulla pubblica via era in effetti molto rischioso, in quanto una speciale sezione di investigatori si occupava di quello che la gente diceva per strada; un eventuale accusa da parte di un poliziotto in incognito era eventualmente molto difficile da confutare e molte persone riportarono di essere state falsamente accusate di sentimenti anti-nazionali, solo per l'interesse personale della spia. Di conseguenza, dopo i primi casi, la gente solitamente evitava di chiacchierare in pubblico.

Censura militare

La maggior parte dei documenti sulla censura fascista proviene dalle commissioni militari per la censura.

Ciò è dovuto ad alcuni fatti: in primo luogo la guerra aveva portato molti italiani lontani dalle loro case, creando un bisogno di scrivere alla propria famiglia che prima non esisteva. Secondariamente, in una situazione critica come può essere quella di una guerra, le autorità  militari erano ovviamente costrette ad una maggiore attività , allo scopo di controllare eventuali oppositori interni, spie o (soprattutto) disfattisti. Infine, l'esito della guerra non permise ai fascisti di nascondere o eliminare questi documenti (cosa che si suppone sia avvenuta per altri documenti prima della guerra), che rimasero negli uffici pubblici dove vennero trovati dalle truppe di occupazione. Quindi è oggi possibile leggere migliaia di queste lettere che i soldati inviavano alle loro famiglie, e questi documenti si sono rivelati una risorsa unica per la sociologia (e per la conoscenza generale di quei tempi).

Questo lavoro era organizzato quotidianamente, riassunto e composto in una nota che veniva ricevuta giornalmente da Mussolini o dal suo apparato, e dalla altre principali autorità . Queste note riportavano ad esempio, cosa pensavano i soldati di alcuni eventi importanti, qual'era l'opinione in Italia e argomenti simili.

Gli italiani e la censura

Il fatto che gli italiani fossero consci che qualsiasi comunicazione potesse essere intercettata, registrata, analizzata e eventualmente usata contro di loro, fece si che con il tempo la censura divenisse una cosa da tenere normalmente in considerazione, e ben presto la gente iniziò a usare termini gergali o altri sistemi convenzionali per aggirare la regola. L'opposizione veniva espressa in maniera satirica o con ingegnosi trucchetti legali, uno dei quali era quello di cantare in pubblico l'inno della Sardegna, che avrebbe dovuto essere vietato in quanto non in lingua italiana, ma che non poteva esserlo essendo uno dei simboli di Casa Savoia.

Va detto che nella gran parte dei piccoli paesi la vita continuò come prima, dato che le autorità  locali usavano uno stile molto familiare nell'eseguire tali ordini. Anche in molte realtà  urbane i funzionari civili usavano poco zelo e molta umanità , ma l'effetto generale fu comunque rilevante.

Nel teatro la censura provocò un revival del "canovaccio" e della commedia dell'arte, dato che tutte le storie dovevano ottenere un permesso prima di essere messe in scena, le storie venivano riassunte e ufficialmente erano improvvisazioni su un dato tema.

Bibliografia

  • Emilio Gentile, Fascismo. Storia e interpretazione, Editori Laterza, 2002
  • Maurizio Cesari, La censura nel periodo fascista, ed. Liguori, 1978
  • L. Zurlo, Memorie inutili. La censura teatrale nel ventennio, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1952

Voci correlate

Collegamenti esterni