Carlo Carrà: differenze tra le versioni

Da Anarcopedia.
Jump to navigation Jump to search
Nessun oggetto della modifica
Riga 3: Riga 3:


== Biografia <ref>Fonte: [http://www.bfscollezionidigitali.org/entita/13518-%E2%80%8Bcarra-carlo-dalmazzo/ Dizionario biografico degli anarchici italiani]</ref>==
== Biografia <ref>Fonte: [http://www.bfscollezionidigitali.org/entita/13518-%E2%80%8Bcarra-carlo-dalmazzo/ Dizionario biografico degli anarchici italiani]</ref>==
Carrà nasce a Quargnento (Alessandria) l'[[11 febbraio]] [[1881]] da Giuseppe e Giuseppina Pittolo. Nel [[1893]], ancora dodicenne, deve recarsi a lavorare a Valenza Po, dapprima come garzone muratore, successivamente in qualità di apprendista decoratore murale. Nella cittadina piemontese, così come a Milano, dove si trasferisce nel [[1895]], segue corsi serali di disegno. Coinvolto nel clima di fermento politico e sociale che caratterizza gli ultimi anni del secolo, partecipa alle dimostrazioni contro la campagna d'Africa e assiste ad alcuni drammatici episodi durante i moti del [[1898]]. Nel [[1899]] Carrà va a Parigi, dove lavora come decoratore nei padiglioni allestiti per la Grande esposizione del [[1900]]. Nella capitale francese ha la possibilità di conoscere la pittura antica e moderna. Entrato in contatto con il movimento anarchico francese, incontra l'ex-comunardo [[Amilcare Cipriani]] e assiste a un comizio di [[Sébastien Faure]]. Nel [[1900]] Carrà si reca a Londra per approfondire la propria cultura e pratica artistiche e per cercare un nuovo lavoro. Si lega con un gruppo di fuorusciti italiani, fra cui [[Emidio Recchioni]] e [[Alessandro Baccherini]], che si ritrovano abitualmente nella pensione gestita da [[Mario Tedeschi]]. Legge importanti opere del pensiero politico socialista e anarchico ([[Fourier]], [[Owen]], [[Saint-Simon]], [[Bakunin]] ecc.) e assume posizioni individualistico-libertarie. Alla morte di Umberto I, re d'Italia, assassinato il [[29 luglio]] [[1900]] dall'anarchico [[Gaetano Bresci]], Carrà, insieme con [[Mario Tedeschi|Tedeschi]] e altri anarchici, diffonde un manifesto, duramente criticato da [[Errico Malatesta]], in cui si prendono le distanze da quell'atto terroristico. Dipinge, inoltre, un ritratto del re ucciso, che viene esposto nella sede londinese del Circolo monarchico italiano. Rientrato in Italia nello stesso anno, Carrà lavora dapprima a Milano, presso una fabbrica di ventagli; svolge quindi l'attività di decoratore murale nel Canton Ticino e in varie città della Lombardia. A Milano Carrà frequenta la trattoria Lazzari, a Porta Tenaglia, luogo d'incontro di socialisti e di anarchici. Queste relazioni, il contatto quotidiano con il mondo del lavoro, lo studio delle opere di teorici dell'[[anarco-individualismo|anarchismo individualista]] e del [[marxismo]], dei testi di [[Bergson]], di [[Nietzsche]] e di [[Sorel]], rappresentano elementi che, tra il [[1901]] e il [[1904]], inducono Carrà ad «appassionar[si] ai problemi politici», a percepire «l'urgenza di una risoluzione radicale dei problemi sociali». <ref>''La mia vita'', pp. 67-70</ref> Si trova tra la folla durante gli scontri tra anarchici e cavalleria in occasione dei funerali di [[Angelo Galli]], il giovane anarchico ucciso dal custode della Macchi e Passoni nel maggio [[1906]]. Questa circostanza è all'origine della trasposizione di quell'evento nel quadro d'impostazione futurista ''[[I funerali dell'anarchico Galli]]'' ([[1906]]-[[1911]]) e della frase «noi metteremo lo spettatore al centro del quadro», che apparirà nel Manifesto tecnico della pittura futurista ([[1910]]). In quegli stessi anni Carrà esegue disegni per alcune pubblicazioni anarchiche, tra cui la ''[[Libreria Editrice Sociale]]'' fondata da [[Giuseppe Monanni]] e [[Leda Rafanelli]] al loro arrivo a Milano, le loro riviste «Sciarpa nera» e «La Rivolta» (di cui traccia l'emblema), «La Barricata» di Parma e «La Rivolta» di Pistoia, delle quali compone la testata. Dipinge ritratti di [[Friedrich Engels]], di [[Pietro Gori]] e di [[Nietzsche]], e illustra testi di [[Paolo Valera]]. Insegna, inoltre, presso la Società Cooperativa Umanitaria, fondata a Milano dopo le barricate del [[1898]]. Nel [[1904]] ottiene la direzione artistica della Cooperativa Pittori e Imbiancatori di Milano. Nel [[1905]] vince il premio della Scuola Superiore d'Arte Applicata del Castello Sforzesco, che gli consente di essere ammesso l'anno seguente all'Accademia di Brera, dove segue i corsi di Cesare Tallone. Entrato in contatto con [[Giuseppe Pellizza da Volpedo]], [[Gaetano Previati]], anch'essi orientati politicamente in senso socialista, Carrà passa dall'originario realismo ai modi del divisionismo. L'ingresso all'Accademia e il trasferimento di domicilio in via Brera hanno l'effetto di diradare in misura sempre maggiore i rapporti di Carrà con il gruppo anarchico dell'osteria Lazzari. Nella riconsiderazione retrospettiva della sua esistenza, Carrà svilisce il grado di rilevanza avuto dall'[[anarchismo]] nella sua maturazione intellettuale e artistica. Sottolinea il «divario» esistente tra l'andamento «occasionale» delle sue scelte ideologiche e il procedere «istintivo» e sicuro di quelle artistiche. <ref>''La mia vita'', p. 82</ref> Tuttavia, in alcuni manifesti del futurismo, di cui Carrà è coautore e autore, si avvertono consonanze con alcuni principi dell’estetica anarchica e del sindacalismo di Sorel in particolare. Con gli anarchici e con i futuristi Carrà condivide non solo una profonda avversione nei confronti dell'egemonia culturale esercitata dalla borghesia, ma anche la convinzione che all'arte e agli artisti spetti una funzione di primo piano nella costruzione di una società su basi completamente rinnovate, in sintonia con i progressi della scienza e della tecnica. Nella progettualità politica di [[Sorel]] Carrà intravede, inoltre, una maggiore aderenza alla problematica storica e sociale dell'epoca rispetto a quella dei socialisti riformisti, quali, ad esempio, [[Eduard Bernstein]], [[Karl Kautsky]], [[Filippo Turati]], [[Leonida Bissolati]]. Queste convinzioni politiche sono, tra l'altro, alla base dell'amicizia che, a partire dal [[1909]], lega Carrà a [[Renzo Provinciali]] e a [[Filippo Corridoni]]. Nel [[1912]] Carrà espone a Parigi, presso la galleria Bernheim Jeune, opere, quali ''La Stazione di Milano'' ([[1909]]), ''L'uscita dal teatro'' [[1909]], ''I funerali dell’anarchico Galli'' ([[1910]]-[[1911]]), che traducono efficacemente i principi di un'estetica volta a esaltare «le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa». <ref>Tommaso Marinetti, Manifesto del Futurismo, [[1909]]</ref> Durante i soggiorni nella capitale francese, Carrà stringe rapporti di amicizia con artisti d'avanguardia, come Georges Braque, Pablo Picasso – che lo avvicinano ai principi della pittura cubista – [[Guillaume Apollinaire]], [[Gustave Kahn]], [[Amedeo Modigliani]], [[Medardo Rosso]], anch'essi nella maggior parte simpatizzanti dell'[[anarchismo]]. Nel [[1911]] Carrà inizia una stretta collaborazione con gli scrittori de «La Voce» (tra cui Ardengo Soffici, Giuseppe Prezzolini, Scipio Slataper). Collabora assiduamente al quindicinale «Lacerba», fondato nel [[1913]], diretto da [[Giovanni Papini]] e [[Ardengo Soffici]] e diventato l'organo del movimento futurista. Partecipa alle «serate futuriste», dove si realizza quella percezione estetica «attiva» già propugnata da [[Proudhon]]. <ref>''Du principe de l'art et e sa destination sociale'' ([[1865]]), Parigi, 1939, pp. 70-71</ref> Allo scoppio della guerra, con l’amico Corridoni, la maggior parte dei futuristi e i gruppi legati alle riviste «La Voce» e «Lacerba», Carrà condivide l'adesione alla corrente interventista. Nel settembre [[1914]], insieme a Umberto Boccioni e a Luigi Russolo, Carrà firma la Sintesi futurista della guerra. Con Boccioni, Russolo e Marinetti viene arrestato per avere organizzato manifestazioni interventiste. Nel [[1915]], dipinge il collage Manifestazione interventista. Nello stesso anno pubblica il libro ''Guerrapittura'', dove esalta il «nazionalismo futurista» e la guerra che aumenta le «possibilità creative». <ref>''La mia vita'', pp. 45-46</ref> Contemporaneamente, dopo un «travaglio di coscienza», che lo induce a considerare che la lotta rivendicativa «non comporta se non una generica e superficiale dialettica di assai scarso valore storico» <ref>''La mia vita'', p. 123</ref>, Carrà abbandona definitivamente i principi del socialismo anarchico. Le convinzioni interventiste e nazionaliste lo spingono ad assumere toni di intolleranza ideologica. «Quando ci si convincerà che la gentetta socialista – che ogni giorno, ogni minuto sputa sentenze sulle libertà dei popoli – come pure quella pseudoanarchica, sono alla libertà dei popoli molto più nocive della cosiddetta "borghesia sanguinaria, cinica, guerrafondaia"?». <ref>''Guerrapittura'', pp. 5-6</ref> Verso la fine del [[1915]] Carrà pone fine alla sua collaborazione con i futuristi. Negli articoli ''Parlata su Giotto'' ([[31 marzo]] [[1916]]) e ''Paolo Uccello costruttore'' ([[30 settembre]] [[1916]]), pubblicati sulla nuova edizione de «La Voce», uscita nel dicembre [[1914]] e diretta da Giuseppe De Robertiis, Carrà contrappone alla dottrina estetica e politica del futurismo, a suo avviso ormai superata, una poetica volta a stabilire una stretta connessione tra opera pittorica e tradizione artistica italiana. Iniziatore, nel [[1916]], della pittura «metafisica», insieme con Giorgio de Chirico – che ritrova nel [[1917]] nell'ospedale di Ferrara, insieme con Alberto Savinio, Corrado Govoni e Filippo De Pisis – Carrà orienta la propria ricerca pittorica verso un «realismo magico», un misticismo fantastico, propugnato anche da «Valori Plastici», rivista diretta da Mario Broglio, alla quale Carrà collabora dal [[1919]] al [[1921]]. A giustificazione delle sue scelte artistiche e politiche Carrà adduce l'esigenza impellente di non accompagnarsi più ad alcuno, di essere solo se stesso, di rimanere fuori dalle correnti di qualsiasi tipo, nella convinzione che «i "movimenti"» contino poco, «siano essi fatti in nome della tradizione o della rivoluzione, poiché quello che conta è l'individuo». <ref>''Il rinnovamento della pittura in Italia'', parte IV, «Valori Plastici», maggio-giugno 1920, p. 55</ref> Carrà ha ormai maturato un individualismo non più volto ad assimilare rivoluzione artistica e rivoluzione sociale, ma improntato ai valori dell'idealismo e alla ricerca di un «nuovo misticismo». <ref>''Misticità e ironia nella pittura contemporanea'', parte IV, «Valori Plastici», luglio-agosto 1920, p. 69</ref> Avverte il bisogno di riproporre nella sua pittura «le cose ordinarie» <ref>''Il quadrante dello spirito'', «Valori Plastici», 15 novembre 1918, p. 1</ref> sottratte dalle contingenze; di riavvicinarsi alla natura (al mare della Liguria e della Versilia, in particolare), nella ricerca di un «ordine nuovo», di una «trascendenza plastica», di una rappresentazione del reale che ne colga il mistero. Nel [[1919]] Carrà sposa a Milano Ines Minoja dalla quale ha, nel [[1922]], un figlio. Nel novembre [[1922]] partecipa alla costituzione della Corporazione nazionale delle Arti Plastiche, nella convinzione della necessità di una valorizzazione sociale delle arti, che ritiene perseguibile attraverso strutture associative e sindacali. Nel dicembre successivo assume la carica di critico d'arte sul giornale «L'Ambrosiano», che mantiene per venti anni. Collabora anche alle riviste «Esprit nouveau», «Convegno», «La Fiera letteraria», «La Ronda», «Tempo» ecc. Nel [[1942]] Carrà dipinge due affreschi nel Palazzo di Giustizia di Milano (''Giustiniano che libera uno schiavo e Giudizio Universale''), opere che definisce di carattere sociale e che, a causa delle polemiche suscitate per l'assenza di riferimenti a simboli del regime, vengono fatte ricoprire dalle autorità fasciste. Dal [[1941]] fino al [[1952]] occupa la cattedra di pittura all'Accademia di Belle Arti di Brera. Nel dopoguerra, collabora come critico d'arte a «Milano Sera», «Omnibus» ecc. Da sempre fecondo disegnatore, Carrà illustra, fra l'altro, ''L'Odissea'', tradotta da Quasimodo, ''Un coup de dés'' di Mallarmé e ''L'après-midi d'un faune'', tradotto da Ungaretti. Muore a Milano il [[13 aprile]] [[1966]].
Carrà nasce a Quargnento (Alessandria) l'[[11 febbraio]] [[1881]] da Giuseppe e Giuseppina Pittolo. Nel [[1893]], ancora dodicenne, deve recarsi a lavorare a Valenza Po, dapprima come garzone muratore, successivamente in qualità di apprendista decoratore murale. Nella cittadina piemontese, così come a Milano, dove si trasferisce nel [[1895]], segue corsi serali di disegno. Coinvolto nel clima di fermento politico e sociale che caratterizza gli ultimi anni del secolo, partecipa alle dimostrazioni contro la campagna d'Africa e assiste ad alcuni drammatici episodi durante i moti del [[1898]]. Nel [[1899]] Carrà va a Parigi, dove lavora come decoratore nei padiglioni allestiti per la Grande esposizione del [[1900]]. Nella capitale francese ha la possibilità di conoscere la pittura antica e moderna. Entrato in contatto con il movimento anarchico francese, incontra l'ex-comunardo [[Amilcare Cipriani]] e assiste a un comizio di [[Sébastien Faure]]. Nel [[1900]] Carrà si reca a Londra per approfondire la propria cultura e pratica artistiche e per cercare un nuovo lavoro. Si lega con un gruppo di fuorusciti italiani, fra cui [[Emidio Recchioni]] e [[Alessandro Baccherini]], che si ritrovano abitualmente nella pensione gestita da [[Mario Tedeschi]]. Legge importanti opere del pensiero politico socialista e anarchico ([[Fourier]], [[Owen]], [[Saint-Simon]], [[Bakunin]] ecc.) e assume posizioni individualistico-libertarie. Alla morte di Umberto I, re d'Italia, assassinato il [[29 luglio]] [[1900]] dall'anarchico [[Gaetano Bresci]], Carrà, insieme con [[Mario Tedeschi|Tedeschi]] e altri anarchici, diffonde un manifesto, duramente criticato da [[Errico Malatesta]], in cui si prendono le distanze da quell'atto terroristico. Dipinge, inoltre, un ritratto del re ucciso, che viene esposto nella sede londinese del Circolo monarchico italiano. Rientrato in Italia nello stesso anno, Carrà lavora dapprima a Milano, presso una fabbrica di ventagli; svolge quindi l'attività di decoratore murale nel Canton Ticino e in varie città della Lombardia. A Milano Carrà frequenta la trattoria Lazzari, a Porta Tenaglia, luogo d'incontro di socialisti e di anarchici. Queste relazioni, il contatto quotidiano con il mondo del lavoro, lo studio delle opere di teorici dell'[[anarco-individualismo|anarchismo individualista]] e del [[marxismo]], dei testi di [[Bergson]], di [[Nietzsche]] e di [[Sorel]], rappresentano elementi che, tra il [[1901]] e il [[1904]], inducono Carrà ad «appassionar[si] ai problemi politici», a percepire «l'urgenza di una risoluzione radicale dei problemi sociali». <ref>''La mia vita'', pp. 67-70</ref> Si trova tra la folla durante gli scontri tra anarchici e cavalleria in occasione dei funerali di [[Angelo Galli]], il giovane anarchico ucciso dal custode della Macchi e Passoni nel maggio [[1906]]. Questa circostanza è all'origine della trasposizione di quell'evento nel quadro d'impostazione futurista ''[[I funerali dell'anarchico Galli]]'' ([[1906]]-[[1911]]) e della frase «noi metteremo lo spettatore al centro del quadro», che apparirà nel Manifesto tecnico della pittura futurista ([[1910]]). In quegli stessi anni Carrà esegue disegni per alcune pubblicazioni anarchiche, tra cui la ''[[Libreria Editrice Sociale]]'' fondata da [[Giuseppe Monanni]] e [[Leda Rafanelli]] al loro arrivo a Milano, le loro riviste «Sciarpa nera» e «La Rivolta» (di cui traccia l'emblema), «La Barricata» di Parma e «La Rivolta» di Pistoia, delle quali compone la testata. Dipinge ritratti di [[Friedrich Engels]], di [[Pietro Gori]] e di [[Nietzsche]], e illustra testi di [[Paolo Valera]]. Insegna, inoltre, presso la Società Cooperativa Umanitaria, fondata a Milano dopo le barricate del [[1898]]. Nel [[1904]] ottiene la direzione artistica della Cooperativa Pittori e Imbiancatori di Milano. Nel [[1905]] vince il premio della Scuola Superiore d'Arte Applicata del Castello Sforzesco, che gli consente di essere ammesso l'anno seguente all'Accademia di Brera, dove segue i corsi di Cesare Tallone. Entrato in contatto con [[Giuseppe Pellizza da Volpedo]], [[Gaetano Previati]], anch'essi orientati politicamente in senso socialista, Carrà passa dall'originario realismo ai modi del divisionismo. L'ingresso all'Accademia e il trasferimento di domicilio in via Brera hanno l'effetto di diradare in misura sempre maggiore i rapporti di Carrà con il gruppo anarchico dell'osteria Lazzari. Nella riconsiderazione retrospettiva della sua esistenza, Carrà svilisce il grado di rilevanza avuto dall'[[anarchismo]] nella sua maturazione intellettuale e artistica. Sottolinea il «divario» esistente tra l'andamento «occasionale» delle sue scelte ideologiche e il procedere «istintivo» e sicuro di quelle artistiche. <ref>''La mia vita'', p. 82</ref> Tuttavia, in alcuni manifesti del futurismo, di cui Carrà è coautore e autore, si avvertono consonanze con alcuni principi dell’estetica anarchica e del sindacalismo di Sorel in particolare. Con gli anarchici e con i futuristi Carrà condivide non solo una profonda avversione nei confronti dell'egemonia culturale esercitata dalla borghesia, ma anche la convinzione che all'arte e agli artisti spetti una funzione di primo piano nella costruzione di una società su basi completamente rinnovate, in sintonia con i progressi della scienza e della tecnica. Nella progettualità politica di [[Sorel]] Carrà intravede, inoltre, una maggiore aderenza alla problematica storica e sociale dell'epoca rispetto a quella dei socialisti riformisti, quali, ad esempio, [[Eduard Bernstein]], [[Karl Kautsky]], [[Filippo Turati]], [[Leonida Bissolati]]. Queste convinzioni politiche sono, tra l'altro, alla base dell'amicizia che, a partire dal [[1909]], lega Carrà a [[Renzo Provinciali]] e a [[Filippo Corridoni]]. Nel [[1912]] Carrà espone a Parigi, presso la galleria Bernheim Jeune, opere, quali ''La Stazione di Milano'' ([[1909]]), ''L'uscita dal teatro'' [[1909]], ''I funerali dell’anarchico Galli'' ([[1910]]-[[1911]]), che traducono efficacemente i principi di un'estetica volta a esaltare «le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa». <ref>Tommaso Marinetti, Manifesto del Futurismo, [[1909]]</ref> Durante i soggiorni nella capitale francese, Carrà stringe rapporti di amicizia con artisti d'avanguardia, come [[Georges Braque]], [[Pablo Picasso]] – che lo avvicinano ai principi della pittura cubista – [[Guillaume Apollinaire]], [[Gustave Kahn]], [[Amedeo Modigliani]], [[Medardo Rosso]], anch'essi nella maggior parte simpatizzanti dell'[[anarchismo]]. Nel [[1911]] Carrà inizia una stretta collaborazione con gli scrittori de «La Voce» (tra cui Ardengo Soffici, Giuseppe Prezzolini, Scipio Slataper). Collabora assiduamente al quindicinale «Lacerba», fondato nel [[1913]], diretto da [[Giovanni Papini]] e [[Ardengo Soffici]] e diventato l'organo del movimento futurista. Partecipa alle «serate futuriste», dove si realizza quella percezione estetica «attiva» già propugnata da [[Proudhon]]. <ref>''Du principe de l'art et e sa destination sociale'' ([[1865]]), Parigi, 1939, pp. 70-71</ref> Allo scoppio della guerra, con l’amico Corridoni, la maggior parte dei futuristi e i gruppi legati alle riviste «La Voce» e «Lacerba», Carrà condivide l'adesione alla corrente interventista. Nel settembre [[1914]], insieme a Umberto Boccioni e a Luigi Russolo, Carrà firma la Sintesi futurista della guerra. Con Boccioni, Russolo e Marinetti viene arrestato per avere organizzato manifestazioni interventiste. Nel [[1915]], dipinge il collage Manifestazione interventista. Nello stesso anno pubblica il libro ''Guerrapittura'', dove esalta il «nazionalismo futurista» e la guerra che aumenta le «possibilità creative». <ref>''La mia vita'', pp. 45-46</ref> Contemporaneamente, dopo un «travaglio di coscienza», che lo induce a considerare che la lotta rivendicativa «non comporta se non una generica e superficiale dialettica di assai scarso valore storico» <ref>''La mia vita'', p. 123</ref>, Carrà abbandona definitivamente i principi del socialismo anarchico. Le convinzioni interventiste e nazionaliste lo spingono ad assumere toni di intolleranza ideologica. «Quando ci si convincerà che la gentetta socialista – che ogni giorno, ogni minuto sputa sentenze sulle libertà dei popoli – come pure quella pseudoanarchica, sono alla libertà dei popoli molto più nocive della cosiddetta "borghesia sanguinaria, cinica, guerrafondaia"?». <ref>''Guerrapittura'', pp. 5-6</ref> Verso la fine del [[1915]] Carrà pone fine alla sua collaborazione con i futuristi. Negli articoli ''Parlata su Giotto'' ([[31 marzo]] [[1916]]) e ''Paolo Uccello costruttore'' ([[30 settembre]] [[1916]]), pubblicati sulla nuova edizione de «La Voce», uscita nel dicembre [[1914]] e diretta da [[Giuseppe De Robertiis]], Carrà contrappone alla dottrina estetica e politica del futurismo, a suo avviso ormai superata, una poetica volta a stabilire una stretta connessione tra opera pittorica e tradizione artistica italiana. Iniziatore, nel [[1916]], della pittura «metafisica», insieme con [[Giorgio de Chirico]] – che ritrova nel [[1917]] nell'ospedale di Ferrara, insieme con [[Alberto Savinio]], [[Corrado Govoni]] e [[Filippo De Pisis]] – Carrà orienta la propria ricerca pittorica verso un «realismo magico», un misticismo fantastico, propugnato anche da «Valori Plastici», rivista diretta da [[Mario Broglio]], alla quale Carrà collabora dal [[1919]] al [[1921]]. A giustificazione delle sue scelte artistiche e politiche Carrà adduce l'esigenza impellente di non accompagnarsi più ad alcuno, di essere solo se stesso, di rimanere fuori dalle correnti di qualsiasi tipo, nella convinzione che «i "movimenti"» contino poco, «siano essi fatti in nome della tradizione o della rivoluzione, poiché quello che conta è l'individuo». <ref>''Il rinnovamento della pittura in Italia'', parte IV, «Valori Plastici», maggio-giugno 1920, p. 55</ref> Carrà ha ormai maturato un individualismo non più volto ad assimilare rivoluzione artistica e rivoluzione sociale, ma improntato ai valori dell'idealismo e alla ricerca di un «nuovo misticismo». <ref>''Misticità e ironia nella pittura contemporanea'', parte IV, «Valori Plastici», luglio-agosto 1920, p. 69</ref> Avverte il bisogno di riproporre nella sua pittura «le cose ordinarie» <ref>''Il quadrante dello spirito'', «Valori Plastici», 15 novembre 1918, p. 1</ref> sottratte dalle contingenze; di riavvicinarsi alla natura (al mare della Liguria e della Versilia, in particolare), nella ricerca di un «ordine nuovo», di una «trascendenza plastica», di una rappresentazione del reale che ne colga il mistero. Nel [[1919]] Carrà sposa a Milano [[Ines Minoja]] dalla quale ha, nel [[1922]], un figlio. Nel novembre [[1922]] partecipa alla costituzione della Corporazione nazionale delle Arti Plastiche, nella convinzione della necessità di una valorizzazione sociale delle arti, che ritiene perseguibile attraverso strutture associative e sindacali. Nel dicembre successivo assume la carica di critico d'arte sul giornale «L'Ambrosiano», che mantiene per venti anni. Collabora anche alle riviste «Esprit nouveau», «Convegno», «La Fiera letteraria», «La Ronda», «Tempo» ecc. Nel [[1942]] Carrà dipinge due affreschi nel Palazzo di Giustizia di Milano (''Giustiniano che libera uno schiavo e Giudizio Universale''), opere che definisce di carattere sociale e che, a causa delle polemiche suscitate per l'assenza di riferimenti a simboli del regime, vengono fatte ricoprire dalle autorità fasciste. Dal [[1941]] fino al [[1952]] occupa la cattedra di pittura all'Accademia di Belle Arti di Brera. Nel dopoguerra, collabora come critico d'arte a «Milano Sera», «Omnibus» ecc. Da sempre fecondo disegnatore, Carrà illustra, fra l'altro, ''L'Odissea'', tradotta da Quasimodo, ''Un coup de dés'' di Mallarmé e ''L'après-midi d'un faune'', tradotto da Ungaretti. Muore a Milano il [[13 aprile]] [[1966]].


== Note ==
== Note ==

Versione delle 13:41, 15 set 2020

Carlo Carrà

Carlo Dalmazio Carrà (Quargnento, 11 febbraio 1881 – Milano, 13 aprile 1966) è stato un pittore e docente italiano che per una parte della sua vita condivise i principi del socialismo anarchico.

Biografia [1]

Carrà nasce a Quargnento (Alessandria) l'11 febbraio 1881 da Giuseppe e Giuseppina Pittolo. Nel 1893, ancora dodicenne, deve recarsi a lavorare a Valenza Po, dapprima come garzone muratore, successivamente in qualità di apprendista decoratore murale. Nella cittadina piemontese, così come a Milano, dove si trasferisce nel 1895, segue corsi serali di disegno. Coinvolto nel clima di fermento politico e sociale che caratterizza gli ultimi anni del secolo, partecipa alle dimostrazioni contro la campagna d'Africa e assiste ad alcuni drammatici episodi durante i moti del 1898. Nel 1899 Carrà va a Parigi, dove lavora come decoratore nei padiglioni allestiti per la Grande esposizione del 1900. Nella capitale francese ha la possibilità di conoscere la pittura antica e moderna. Entrato in contatto con il movimento anarchico francese, incontra l'ex-comunardo Amilcare Cipriani e assiste a un comizio di Sébastien Faure. Nel 1900 Carrà si reca a Londra per approfondire la propria cultura e pratica artistiche e per cercare un nuovo lavoro. Si lega con un gruppo di fuorusciti italiani, fra cui Emidio Recchioni e Alessandro Baccherini, che si ritrovano abitualmente nella pensione gestita da Mario Tedeschi. Legge importanti opere del pensiero politico socialista e anarchico (Fourier, Owen, Saint-Simon, Bakunin ecc.) e assume posizioni individualistico-libertarie. Alla morte di Umberto I, re d'Italia, assassinato il 29 luglio 1900 dall'anarchico Gaetano Bresci, Carrà, insieme con Tedeschi e altri anarchici, diffonde un manifesto, duramente criticato da Errico Malatesta, in cui si prendono le distanze da quell'atto terroristico. Dipinge, inoltre, un ritratto del re ucciso, che viene esposto nella sede londinese del Circolo monarchico italiano. Rientrato in Italia nello stesso anno, Carrà lavora dapprima a Milano, presso una fabbrica di ventagli; svolge quindi l'attività di decoratore murale nel Canton Ticino e in varie città della Lombardia. A Milano Carrà frequenta la trattoria Lazzari, a Porta Tenaglia, luogo d'incontro di socialisti e di anarchici. Queste relazioni, il contatto quotidiano con il mondo del lavoro, lo studio delle opere di teorici dell'anarchismo individualista e del marxismo, dei testi di Bergson, di Nietzsche e di Sorel, rappresentano elementi che, tra il 1901 e il 1904, inducono Carrà ad «appassionar[si] ai problemi politici», a percepire «l'urgenza di una risoluzione radicale dei problemi sociali». [2] Si trova tra la folla durante gli scontri tra anarchici e cavalleria in occasione dei funerali di Angelo Galli, il giovane anarchico ucciso dal custode della Macchi e Passoni nel maggio 1906. Questa circostanza è all'origine della trasposizione di quell'evento nel quadro d'impostazione futurista I funerali dell'anarchico Galli (1906-1911) e della frase «noi metteremo lo spettatore al centro del quadro», che apparirà nel Manifesto tecnico della pittura futurista (1910). In quegli stessi anni Carrà esegue disegni per alcune pubblicazioni anarchiche, tra cui la Libreria Editrice Sociale fondata da Giuseppe Monanni e Leda Rafanelli al loro arrivo a Milano, le loro riviste «Sciarpa nera» e «La Rivolta» (di cui traccia l'emblema), «La Barricata» di Parma e «La Rivolta» di Pistoia, delle quali compone la testata. Dipinge ritratti di Friedrich Engels, di Pietro Gori e di Nietzsche, e illustra testi di Paolo Valera. Insegna, inoltre, presso la Società Cooperativa Umanitaria, fondata a Milano dopo le barricate del 1898. Nel 1904 ottiene la direzione artistica della Cooperativa Pittori e Imbiancatori di Milano. Nel 1905 vince il premio della Scuola Superiore d'Arte Applicata del Castello Sforzesco, che gli consente di essere ammesso l'anno seguente all'Accademia di Brera, dove segue i corsi di Cesare Tallone. Entrato in contatto con Giuseppe Pellizza da Volpedo, Gaetano Previati, anch'essi orientati politicamente in senso socialista, Carrà passa dall'originario realismo ai modi del divisionismo. L'ingresso all'Accademia e il trasferimento di domicilio in via Brera hanno l'effetto di diradare in misura sempre maggiore i rapporti di Carrà con il gruppo anarchico dell'osteria Lazzari. Nella riconsiderazione retrospettiva della sua esistenza, Carrà svilisce il grado di rilevanza avuto dall'anarchismo nella sua maturazione intellettuale e artistica. Sottolinea il «divario» esistente tra l'andamento «occasionale» delle sue scelte ideologiche e il procedere «istintivo» e sicuro di quelle artistiche. [3] Tuttavia, in alcuni manifesti del futurismo, di cui Carrà è coautore e autore, si avvertono consonanze con alcuni principi dell’estetica anarchica e del sindacalismo di Sorel in particolare. Con gli anarchici e con i futuristi Carrà condivide non solo una profonda avversione nei confronti dell'egemonia culturale esercitata dalla borghesia, ma anche la convinzione che all'arte e agli artisti spetti una funzione di primo piano nella costruzione di una società su basi completamente rinnovate, in sintonia con i progressi della scienza e della tecnica. Nella progettualità politica di Sorel Carrà intravede, inoltre, una maggiore aderenza alla problematica storica e sociale dell'epoca rispetto a quella dei socialisti riformisti, quali, ad esempio, Eduard Bernstein, Karl Kautsky, Filippo Turati, Leonida Bissolati. Queste convinzioni politiche sono, tra l'altro, alla base dell'amicizia che, a partire dal 1909, lega Carrà a Renzo Provinciali e a Filippo Corridoni. Nel 1912 Carrà espone a Parigi, presso la galleria Bernheim Jeune, opere, quali La Stazione di Milano (1909), L'uscita dal teatro 1909, I funerali dell’anarchico Galli (1910-1911), che traducono efficacemente i principi di un'estetica volta a esaltare «le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa». [4] Durante i soggiorni nella capitale francese, Carrà stringe rapporti di amicizia con artisti d'avanguardia, come Georges Braque, Pablo Picasso – che lo avvicinano ai principi della pittura cubista – Guillaume Apollinaire, Gustave Kahn, Amedeo Modigliani, Medardo Rosso, anch'essi nella maggior parte simpatizzanti dell'anarchismo. Nel 1911 Carrà inizia una stretta collaborazione con gli scrittori de «La Voce» (tra cui Ardengo Soffici, Giuseppe Prezzolini, Scipio Slataper). Collabora assiduamente al quindicinale «Lacerba», fondato nel 1913, diretto da Giovanni Papini e Ardengo Soffici e diventato l'organo del movimento futurista. Partecipa alle «serate futuriste», dove si realizza quella percezione estetica «attiva» già propugnata da Proudhon. [5] Allo scoppio della guerra, con l’amico Corridoni, la maggior parte dei futuristi e i gruppi legati alle riviste «La Voce» e «Lacerba», Carrà condivide l'adesione alla corrente interventista. Nel settembre 1914, insieme a Umberto Boccioni e a Luigi Russolo, Carrà firma la Sintesi futurista della guerra. Con Boccioni, Russolo e Marinetti viene arrestato per avere organizzato manifestazioni interventiste. Nel 1915, dipinge il collage Manifestazione interventista. Nello stesso anno pubblica il libro Guerrapittura, dove esalta il «nazionalismo futurista» e la guerra che aumenta le «possibilità creative». [6] Contemporaneamente, dopo un «travaglio di coscienza», che lo induce a considerare che la lotta rivendicativa «non comporta se non una generica e superficiale dialettica di assai scarso valore storico» [7], Carrà abbandona definitivamente i principi del socialismo anarchico. Le convinzioni interventiste e nazionaliste lo spingono ad assumere toni di intolleranza ideologica. «Quando ci si convincerà che la gentetta socialista – che ogni giorno, ogni minuto sputa sentenze sulle libertà dei popoli – come pure quella pseudoanarchica, sono alla libertà dei popoli molto più nocive della cosiddetta "borghesia sanguinaria, cinica, guerrafondaia"?». [8] Verso la fine del 1915 Carrà pone fine alla sua collaborazione con i futuristi. Negli articoli Parlata su Giotto (31 marzo 1916) e Paolo Uccello costruttore (30 settembre 1916), pubblicati sulla nuova edizione de «La Voce», uscita nel dicembre 1914 e diretta da Giuseppe De Robertiis, Carrà contrappone alla dottrina estetica e politica del futurismo, a suo avviso ormai superata, una poetica volta a stabilire una stretta connessione tra opera pittorica e tradizione artistica italiana. Iniziatore, nel 1916, della pittura «metafisica», insieme con Giorgio de Chirico – che ritrova nel 1917 nell'ospedale di Ferrara, insieme con Alberto Savinio, Corrado Govoni e Filippo De Pisis – Carrà orienta la propria ricerca pittorica verso un «realismo magico», un misticismo fantastico, propugnato anche da «Valori Plastici», rivista diretta da Mario Broglio, alla quale Carrà collabora dal 1919 al 1921. A giustificazione delle sue scelte artistiche e politiche Carrà adduce l'esigenza impellente di non accompagnarsi più ad alcuno, di essere solo se stesso, di rimanere fuori dalle correnti di qualsiasi tipo, nella convinzione che «i "movimenti"» contino poco, «siano essi fatti in nome della tradizione o della rivoluzione, poiché quello che conta è l'individuo». [9] Carrà ha ormai maturato un individualismo non più volto ad assimilare rivoluzione artistica e rivoluzione sociale, ma improntato ai valori dell'idealismo e alla ricerca di un «nuovo misticismo». [10] Avverte il bisogno di riproporre nella sua pittura «le cose ordinarie» [11] sottratte dalle contingenze; di riavvicinarsi alla natura (al mare della Liguria e della Versilia, in particolare), nella ricerca di un «ordine nuovo», di una «trascendenza plastica», di una rappresentazione del reale che ne colga il mistero. Nel 1919 Carrà sposa a Milano Ines Minoja dalla quale ha, nel 1922, un figlio. Nel novembre 1922 partecipa alla costituzione della Corporazione nazionale delle Arti Plastiche, nella convinzione della necessità di una valorizzazione sociale delle arti, che ritiene perseguibile attraverso strutture associative e sindacali. Nel dicembre successivo assume la carica di critico d'arte sul giornale «L'Ambrosiano», che mantiene per venti anni. Collabora anche alle riviste «Esprit nouveau», «Convegno», «La Fiera letteraria», «La Ronda», «Tempo» ecc. Nel 1942 Carrà dipinge due affreschi nel Palazzo di Giustizia di Milano (Giustiniano che libera uno schiavo e Giudizio Universale), opere che definisce di carattere sociale e che, a causa delle polemiche suscitate per l'assenza di riferimenti a simboli del regime, vengono fatte ricoprire dalle autorità fasciste. Dal 1941 fino al 1952 occupa la cattedra di pittura all'Accademia di Belle Arti di Brera. Nel dopoguerra, collabora come critico d'arte a «Milano Sera», «Omnibus» ecc. Da sempre fecondo disegnatore, Carrà illustra, fra l'altro, L'Odissea, tradotta da Quasimodo, Un coup de dés di Mallarmé e L'après-midi d'un faune, tradotto da Ungaretti. Muore a Milano il 13 aprile 1966.

Note

  1. Fonte: Dizionario biografico degli anarchici italiani
  2. La mia vita, pp. 67-70
  3. La mia vita, p. 82
  4. Tommaso Marinetti, Manifesto del Futurismo, 1909
  5. Du principe de l'art et e sa destination sociale (1865), Parigi, 1939, pp. 70-71
  6. La mia vita, pp. 45-46
  7. La mia vita, p. 123
  8. Guerrapittura, pp. 5-6
  9. Il rinnovamento della pittura in Italia, parte IV, «Valori Plastici», maggio-giugno 1920, p. 55
  10. Misticità e ironia nella pittura contemporanea, parte IV, «Valori Plastici», luglio-agosto 1920, p. 69
  11. Il quadrante dello spirito, «Valori Plastici», 15 novembre 1918, p. 1

Voci correlate