Antonin Artaud

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Antonin Artaud (Marsiglia, 4 settembre 1896 - Ivry-sur-Seine, 4 marzo 1948) è stato un drammaturgo, attore, saggista e regista teatrale francese.

Cenni biografici e bibliografici

« Chi sono? / Da dove vengo? / Sono Antonin Artaud / e che io lo dica / come so dirlo / immediatamente / vedrete il mio corpo attuale / esplodere / e rapprendersi / in diecimila forme / manifeste / un corpo nuovo / dove non potrete / mai più / dimenticarmi. »

~ Antonin Artaud (Post-scriptum - Le Théâtre de la Cruauté)
Antonin Artaud nel 1925 sul set di Graziella.

Nato a Marsiglia nel 1896, manifesta presto i sintomi di una grave sofferenza mentale. Scartato nel 1917 dall'esercito per sonnambulismo, si trasferisce a Parigi nel 1920 e qui comincia a recitare nelle produzioni del Théâtre de l'Atelier di Dullin e poi in quelle dei Pitoëff.

Entra nel movimento surrealista di Breton, ma ne esce presto per motivi politici: Breton pensa di unirsi al Partito Comunista Francese e Artaud lascia il gruppo. L'8 gennaio del 1927 Artaud firmerà un intransigente Manifesto per un teatro abortito: «Per me vi sono molti modi d'intendere la Rivoluzione e, fra questi, il modo Comunista mi sembra di gran lunga il peggiore, il più ristretto. Una rivoluzione di poltroni... Una Rivoluzione che ha messo al vertice delle sue preoccupazioni le necessità della produzione e che perciò insiste nel fare affidamento sul progresso meccanico, come mezzo per migliorare la condizione operaia, è per me una rivoluzione di castrati. Ed io non mi nutro di quell'erba».

Il regista cinematografico Abel Gance gli fa interpretare il ruolo di Marat nel Napoléon (1926); anche Freyer gli darà una parte nel film La passione di Giovanna d'Arco (1928). Nel 1926 fonda con altri il Teatro Alfred Jarry, che ha però breve vita. Nel luglio 1931 assiste, durante L'Exposition Coloniale Internationale de Paris, a uno spettacolo di danzatori dell'isola di Bali, che segna una tappa decisiva nella successiva elaborazione della sua poetica teatrale. Nel 1934 pubblica Eliogabalo o l'anarchico incoronato (Héliogabale ou l'anarchiste couronné). Nel 1935 inaugura il nuovo movimento del Teatro della Crudeltà [1] (Théâtre de la Cruauté) nella sala parigina del Théâtre des Folies-Wagram, mettendo in scena un suo testo, I Cenci, che però non ha successo.

Nel 1936, anno di inizio della Rivoluzione spagnola, Artaud si reca in Messico, quasi senza denaro. Nei villaggi indios della Sierra Madre Occidentale (chiamata anche Sierra Tarahumara) matura un totale distacco dal mondo occidentale: lo affascinano il peyote (un fungo allucinogeno), le danze solari e la simbiosi che gli indios manifestano con la terra e il suo doppio notturno (la luna). In in terra messicana Artaud dà vita ad una serie di scritti che verranno pubblicati in buona parte nel 1970 nella raccolta Messaggi Rivoluzionari.

Tornato in Europa, nel 1937 è arrestato in Irlanda e recluso per vagabondaggio. Viene rimpatriato e internato in diverse cliniche, dove nei successivi nove anni sperimenterà angoscia e fame, nonché cinquantuno cadute in coma da elettroshock. Scrive lettere e compila quaderni che documentano il lento sprofondare nella follia.

Nel 1938 fa pubblicare Il teatro e il suo doppio (Le Théâtre et son Double), raccolta di saggi che avrà un'influenza rilevante nella storia del teatro e che sarà fonte di ispirazione anche per il Living Theatre.

Nel 1946, con l'aiuto di amici, lascia l'ospedale psichiatrico di Rodez. Nel 1947 pubblica Van Gogh il suicidato della società. Consumato da un tumore (che lenisce con oppio e cloro), scrive il dramma radiofonico Per finirla con il giudizio di Dio. La trasmissione, prevista per la sera del 2 febbraio 1948, è sospesa per blasfemia e oscenità; va in onda tre settimane più tardi solo per pochi invitati. Pochi giorni dopo, il 4 marzo, Artaud è trovato morto.

L'anarchismo di Artaud

Antonin Artaud ritratto da Man Ray nel 1926.

« Io rinnego il battesimo, la patria, la scienza, il verbo, la letteratura, i rituali, la liturgia, le esperienze, la pedagogia, l'insegnamento, la legge, le leggi, la prova, la salvezza. Non credo al valore della salvezza. Non rinnego la poesia, la musica, la pittura, il teatro, la danza, il canto, la muratura, la falegnameria, l'arte dei fabbro, il lavoro, lo sforzo, il dolore, i fatti, le prove. Non voglio più vedere i corpi degli uomini mutilarsi nelle guerre e nei massacri, non voglio più vedere corpi di esseri umani imprigionati nei feretri. »

~ Antonin Artaud (da Igiunzione)

Artaud ha non solo pensato ma vissuto un anarchismo fatto di tensioni organiche, in quanto tali non riconducibili a nessun ordine politico e a nessuno schieramento. La sua costante polemica anticapitalista e antiborghese non può essere ridotta ad una interpretazione in chiave socialista [2], il suo antinazionalismo, il suo antiscientismo, il suo antiaccademismo, la sua anomia, la sua visione antipatriarcale, il suo antimilitarismo e il suo antiproibizionismo [3] sono emanazione diretta del suo spirito e/o della sua ricerca teatrale, non filtrati da una coscienza ideologica, così come la sua antipsichiatria sorge spontaneamente dalla sua condizione umana. Un'anarchia sui generis quella propugnata da Artaud, simboleggiata dal re Eliogabalo e incarnata dal suicidato della società Van Gogh [4], suo alter ego.

Eliogabalo o l'anarchico incoronato

« Non si tratta [...] di potrtare direttamente sulla scena idee metafisiche, ma di creare intorno a queste idee particolari tentazioni, vortici d'aria. L'umorismo con la sua anarchia, la poesia con il suo simbolismo e le sue immagini, suggeriscono una prima nozione dei mezzi atti a canalizzare la tentazione di tali idee. [...] Né l'Umorismo, né la Poesia, né l'Immaginazione hanno alcun significato se non pervengono, attraverso una distruzione anarchica atta a produrre un prodigioso volo di forme che costituiscono tutto lo spettacolo, a rimettere organicamente in discussione l'uomo, le sue idee sulla realtà, la sua posizione poetica della realtà. »

~ Antonin Artaud (da Il teatro della crudeltà, Primo manifesto - Il teatro e il suo doppio)

Il concetto di anarchia rappresentato da Eliogabalo [5] possiede due volti contraddittori solo in apparenza: l'anarchia è il Caos che sovverte la realtà, ma al tempo stesso l'anarchia è l'equilibrio che regna nell'Ordine, nell'Uno. I passi di seguito riportati sottolineano questa caratteristica:

«Eliogabalo è un anarchico-nato che sopporta male la corona, e tutti i suoi atti di re sono gli atti di un anarchico nato, nemico pubblico dell'ordine, che è un nemico dell'ordine pubblico; ma la sua anarchia, egli la pratica prima di tutto in se stesso e contro se stesso, e l'anarchia che introduce nel governo di Roma, si può ben dire che la predica con l'esempio e che l'ha pagata a caro prezzo dovuto».
«Tutta la vita di Eliogabalo è anarchia in atto, poiché Elagabalus, il dio unitario, che riunisce l'uomo e la donna, i poli ostili, l'UNO e il DUE, è la fine delle contraddizioni, l'eliminazione della guerra e dell'anarchia [6], ma per mezzo della guerra, ed è anche, su questa terra di contraddizioni e di disordine, la messa in opera dell'anarchia. E l'anarchia, al punto in cui Eliogabalo la spinge, è poesia realizzata. [7] [...] Ricordurre la poesia e l'ordine in un mondo ove l'esistenza stessa è una sfida all'ordine, è ricordurre la guerra e la permanenza della guerra; è portare uno stato di crudeltà preciso, è suscitare un'anarchia senza nome, l'anarchia delle cose e degli aspetti che si risvegliano prima di sprofondare di nuovo e di fondersi nell'unità. Ma colui che risveglia questa anarchia pericolosa ne è sempre la prima vittima. E Eliogabalo è un anarchico preciso che incomincia col divorare se stesso, e finisce per divorare i propri escrementi. In una vita in cui è impossibile stabilire la cronologia, ma in cui gli storici, che narrano minuziosamente le sue crudeltà senza data, vedono un mostro, io vedo, invece, una natura di prodigiosa plasticità, che risente l'anarchia dei fatti e insorge contro i fatti. Io vedo in Eliogabalo un'intelligenza fremente che trae un'idea da ogni oggetto e da ogni incontro d'oggetti». [7]
«Nulla è gratuito nella magnificenza d'Eliogabalo, né in questa meravigliosa aspirazione al disordine che non è se non l'appplicazione di un'idea metafisica e superiore dell'ordine, cioè dell'unità».
«L'anarchico dice: Né Dio, né padrone, me soltanto. Eiogabalo, una volta sul trono, non accetta alcuna legge; ed è il padrone. La sua legge personale sarà dunque la legge di tutti. Impone la prorpia tirannia. Ogni tiranno non è in fondo che un anarchico che la perso la corona e che mette il mondo al proprio passo. Ma vi è tuttavia un'altra idea nell'anarchia di Eliogabalo. Credendosi dio, identificandosi con il proprio dio, non commette mai l'errore di inventare una legge umana, un'assurda e insensata legge umana [8], per mezzo della quale lui, dio, dovrebbe parlare. [...] Eliogabalo, giunto a Roma, caccia dal Senato gli uomini e pone le donne al loro posto. Per i Romani questa è anarchia, ma per la religione dei mestrui, che ha fondata la propria tria, e per Eliogabalo che l'applica, non vi è in questo che un ristabilire l'equilibrio, un ritorno ragionato alla legge, poiché è alla donna, la nata prima, la prima giunta nell'ordine cosmico che tocca fare le leggi».

Messaggi Rivoluzionari

Artaud arriva «in Messico per scappare dalla civiltà europea, nata da sette o otto secoli di cultura borghese, e per odio di questa civiltà e di questa cultura». [9] In una delle conferenze messicane Artaud dichiara di fronte all'uditorio di essere giunto in Messico in cerca di uomini politici: nel teatro egli vede una possibilità di rinascita culturale che ha una dimensione eminentemente politica e terapeutica. Attraverso una «metafisica sperimentale» si tratta di trovare una cura per la malata civiltà europea. Nel teatro Artaud vede il luogo della formazione dell'umano e il luogo fondativo di ogni cultura. [10]

Secondo Artaud questa rivoluzione culturale può abbattere le fondamenta del capitalismo e del «macchinismo» [11], ai quali il marxismo non è in grado di opporre sufficiente resistenza. Artaud vede, infatti, nel marxismo «un'ideologia menzognera, che caricatura il pensiero di Marx» [12], il quale «è partito da un fatto ma si è vietato ogni metafisica» [12]: «La rivoluzione di Marx ha posto in modo tecnico il problema della rivoluzione sociale. Noialtri pensiamo che la rivoluzione sociale non è che un aspetto separato della rivoluzione totale e che considerare la rivoluzione esclusivamente sotto l'espetto sociale equivale ad impedire che sia condotta a buon fine». [9] Nel socialismo scientifico, nel materialismo storico ciò che è fondamentale per Artaud (la cultura: «non c'è rivoluzione senza rivoluzione della cultura» [9]) si pone come mero elemento sovrastrutturale. Per Artaud, invece, «spossessare i possidenti va bene, ma [è preferibile] togliere ad ogni uomo il gusto della proprietà». [9] Artaud non crede «che l'analisi economica del mondo, che la riduzione di tutti i problemi del mondo al semplice fattore economico sia un buon mezzo» [9]: «Il marxismo ha mal posto il problema della biologia umana. Nega il mondo della coscienza e io voglio che si entri armi alla mano nel mondo della coscienza perché la rivoluzione si faccia, anzitutto, in quel modo. [...] non c'è rivoluzione senza rivoluzione nella cultura, cioè senza una rivoluzione della cocienza moderna di fronte all'uomo, alla natura e alla vita. [...] Il mondo borghese non ha mai conosciuto la vita, ma ha sempre conosciuto la materia. [...] la cultura è legata al principio della vita che si muove. L'Europa capitalista crede alla cultura dei libri perché nella sua anima conservatrice ha della vita un'idea immobile». [9]

Si riportano due estratti dall'articolo intitolato Anarchia sociale nell'arte:

«L'arte ha il dovere sociale di dare sfogo alle angosce della propria epoca. Un'artista che non ha accolto nel fondo del suo cuore il cuore della propria epoca, l'artista che ignora d'essere un capro espiatorio, e che il suo dovere è di calamitare, di attirare, di far ricadere su di sé le collere erranti dell'epoca per scaricarla dei suo malessere psicologico, non è un artista».
«Lo sprezzo dei valori intellettuali è alla radice dei mondo moderno. In realtà, questo disprezzo dissimula una profonda ignoranza della natura di questi valori. Ma non possiamo perdere le forze nel tentativo di farlo capire ad un'epoca che, tra gli intellettuali e gli artisti, ha prodotto traditori in gran numero, e, nel popolo, ha generato una collettività, una massa che non vuole capire che lo spirito, cioè l'intelligenza, deve guidare il corso dei tempo. Il liberalismo capitalista dei tempi moderni ha relegato all'ultimo posto i valori dell'intelligenza, e l'uomo moderno, di fronte a queste poche verità elementari che ho elencato, si muove come una bestia o come l'uomo spaventato dei tempi primitivi. Per preoccuparsene, aspetta che queste verità diventino atti, e che si manifestino attraverso terremoti, epidemie, carestie, guerre, ossia col tuono dei cannone».

Note

  1. Per crudeltà Artaud non intendeva il sadismo o il dolore, ma la volontà di liberarsi di ogni inutile elemento della rappresentazione per andare oltre essa: «Il teatro è prima di tutto rituale e magico, non è una rappresentazione». Artaud riteneva che il testo avesse finito con l'esercitare una tirannia sullo spettacolo e in sua vece spingeva per un teatro integrale, che comprendesse e mettesse sullo stesso piano tutte le forme di linguaggio, fondendo gesto, movimento, luce e parola e suscitando nel pubblico una catarsi.
  2. «Non credo si possa arrivare a ridar vita al mondo in cui viviamo, e non credo neppure che valga la pena aggrapparsi ad esso; ma propongo qualcosa per uscire dal marasma, invece di continuare a gemere sul marasma, e sulla noia, l'inerzia e la stupidità di ogni cosa» (da Basta con i capolavori - Il teatro e il suo doppio).
  3. In una lettera da Rodez del 1945, Artaud afferma che l'esigenza di proibire l'uso delle droghe nasce dal desiderio di impedire un recupero della totalità organica dell'individuo, per costringerlo a vivere in un perenne stato di insoddisfazione e di incompletezza.
  4. «Van Gogh era una di quelle nature dotate di una lucidità superiore che permette loro, in ogni circostanza, di vedere più lontano, infinitamente e pericolosamente più lontano del reale immediato e apparente dei fatti» (da Van Gogh, il suicidato della società).
  5. Marco Aurelio Antonino Augusto (Marcus Aurelius Antoninus Augustus), nato come Sesto Vario Avito Bassiano (Sextus Varius Avitus Bassianus) ma meglio noto come Eliogabalo o Elagabalo (Heliogabalus o Elagabalus), è stato un imperatore romano (di origine siriana) appartenente alla dinastia dei Severi, il quale regnò dal 218 al 222, anno della sua tragica morte (fu assassinato).
  6. Un'anarchia che si limiti al caos, alla distruzione, è un'anarchia fine a se stessa e incompiuta: «Se tendiamo alla guerra, alla peste, alla carestia, al massacro, non occorre nemmeno parlarne, è sufficiente continuare senza cambiar strada. Continuare a comportarci da snob, ad accorrere in massa a sentire questo o quel cantante, a vedere questo o quel mirabile spettacolo che non trascende mai i limiti dell'arte [...], questa o quella mostra di pittura in cui esplodono qua e là forme impressionanti, ma a caso, e senza un'autentica coscienza delle forze che potrebbero mettere in movimento. Questo empirismo, questa casualità, questo individualismo e questa anarchia devono cessare. Basta coi poemi individuali che giovano a chi li crea assai più che a chi li legge. Basta una volta per tutte con queste manifestazioni di un'arte chiusa, egoista e personale. La nostra anarchia, il nostro disordine spirituale dipendono dall'anarchia del resto; o meglio è il resto a dipendere da questa anarchia» (da Basta con i capolavori - Il teatro e il suo doppio).
  7. 7,0 7,1 «La poesia è anarchica, nella misura in cui rimette in discussione tutti i rapporti fra oggetto e oggetto, e fra forme e loro significati. È anche anarchica nella misura in cui la sua apparizione deriva da un disordine che ci riavvicina al caos» (da La messa in scena e la metafisica - Il teatro e il suo doppio).
  8. «L'anarchia, senza ordine né legge, le leggi e i comandamenti non esistono senza il disordine della realtà, il tempo è la sola legge. Continuerò a disarticolare ogni cosa, nella vita degli universi, perché il tempo sono io» (da Per gli analfabeti).
  9. 9,0 9,1 9,2 9,3 9,4 9,5 Da Sono venuto in Messico per fuggire dalla civiltà europea...
  10. Artaud distingue tra istruzione e cultura: «La parola cultura [...] significa che la terra, l'humus profondo dell'uomo, è stata dissodata» (da Basi universali della cultura). «Ogni trasformazione culturale importante ha, come punto di partenza, un'idea rinnovata dell'uomo, coincide con una nuova ondata d'umanesimo. Ci si mette improvvisamente a coltivare l'uomo, proprio come si coltiverebbe un giardino fertile» (da Che sono venuto a fare in Messico).
  11. «È contro questa frenesia di invenzioni che è attualmente importante reagire, contro questa frenesia che ha d'altronde prodotto l'industria chimica dei raccolti, la medicina dei laboratori, il macchinismo sotto tutte le sue forme ecc. Il macchinismo rende sterile ogni sforzo e conduce, insomma, a sminuire lo sforzo dell'uomo, a scoraggiare l'emulazione tra gli uomini e a rendere inutile e importuna ogni ricerca che miri alla qualità» (da La cultura eterna del Messico).
  12. 12,0 12,1 Da L'uomo contro il destino

Voci correlate

Collegamenti esterni

Per gli analfabeti, raccolta di scritti di Antonin Artaud a cura di Marco Dotti.