Anarcopedia:Archivio Libro Consigliato


Anarchia come organizzazione (di Colin Ward)

Colin Ward (Wanstead, Regno Unito, 14 agosto 1924 - Ipswich, Regno Unito, 11 febbraio 2010) è stato uno scrittore e un pensatore anarchico ed è considerato una delle figure più importanti ed influenti dell'anarchismo britannico e internazionale.

L'anarchismo non è la visione, basata su congetture, di una società futura, ma la descrizione di un modo umano di organizzarsi radicato nell'esperienza della vita quotidiana. Per molti l'anarchia è un improponibile modello sociale basato sulla disorganizzazione caotica. Per altri è invece un'utopia generosa ma impraticabile. Ribaltando entrambe le interpretazioni, Colin Ward la intende come un'efficace forma di organizzazione non gerarchica, una vivente realtà sociale che è sempre esistita e tuttora esiste nelle pieghe della prevalente società del dominio. Utilizzando un'ampia varietà di fonti, l'autore articola in modo convincente la sua tesi volutamente paradossale con argomenti tratti dalla sociologia, dall'antropologia, dalla cibernetica, dalla psicologia industriale, ma anche da esperienze nel campo della pianificazione, del lavoro, del gioco...


Il buon senso della rivoluzione (di Errico Malatesta)

L'antologia è composta di articoli e saggi scritti nell'ultimo periodo della vita di Errico Malatesta, vale a dire gli anni che corrono dal 1919 al 1932. Tale scelta è dettata dalla constatazione che si tratta del periodo della sua «maturità» politica e culturale. E ciò perché il grande anarchico italiano, per una serie di contingenze particolari (per esempio, l'uscita del quotidiano «Umanità Nova»), ha modo solo allora di precisare e approfondire le sue idee intorno ad una serie di questioni, precedentemente trattate in modo sporadico e occasionale. Specialmente con gli articoli e i saggi apparsi tra il 1924 e il 1926, pubblicati nella rivista «Pensiero e Volontà», Malatesta giunge al definitivo approfondimento della sua sessantennale riflessione teorica, frutto di un'esperienza politica, culturale ed esistenziale che nel movimento operaio e socialista non ha precedenti.

La trattazione affronta i seguenti temi:


Giuseppe Ciancabilla (di Ugo Fedeli)
Giuseppe Ciancabilla, (Autoproduzioni Cassa Anti-repressione Bruno Filippi, 2022), un libro di Ugo Fedeli (1965). Acquista una copia per sostenere l'antirepressione.

Il viaggio libertario di Giuseppe Ciancabilla si compie in soli sette anni, sette anni a cavallo tra Ottocento e Novecento, un periodo breve ma intenso, in cui la sua energia intellettuale e la sua verve polemica consegnano all'anarchismo un uomo che ancora oggi si sottrae ad ogni aggettivo associabile alla parola "anarchico" («a noi basta qualificarci anarchici semplicemente»). Ciancabilla sfugge, infatti, a qualsiasi ferrea categorizzazione: non è un individualista, traduce Kropotkin ma non è un vero e proprio evoluzionista, manifesta solidarietà ai regicidi ma non è, per usare un termine a noi coevo, un "informale", soprattutto rifiuta l'appellativo di antiorganizzatore e lo fa con validi argomenti: oggetto della sua critica non è il concetto di organizzazione, bensì l'autoritarismo che può derivare dalla burocratizzazione organizzativa, a cui Ciancabilla preferisce l'aggregazione spontanea.

Nella biografia qui presentata, uno degli ultimi lavori di Ugo Fedeli, l'autore riconosce al giornalista nato a Roma nel 1872 «il merito di essere stato uno fra i primi a tentare d'innestare l'uno sull'altro [...] i due modi di vedere e di comprendere l'anarchismo negli Stati Uniti: [...] la tendenza americana e quella latino-italiana; individualista la prima, socialista libertaria l'altra». Anche lo storico Pier Carlo Masini ha reso a Ciancabilla il merito di essere stato il primo a dare all'individualismo anarchico italiano un'elaborazone teorica tale da non renderlo corpo estraneo rispetto al movimento operaio e all'anarchismo. Tuttavia, la biografia di Fedeli, pubblicata nel 1965 e qui tornata alle stampe, è all'oggi l'unica biografia su Ciancabilla, un anarchico che, a fronte del contributo teorico e pratico portato all'Ideale, avrebbe meritato di non finire nel dimenticatoio, né di essere "riesumato" strumentalmente. È per queste ragioni che è parsa necessaria questa nuova edizione.


L'uomo in rivolta (di Albert Camus)
L'uomo in rivolta (L'Homme révolté), un libro di Albert Camus (1951).

L'uomo in rivolta è un saggio di Albert Camus che riflette sulla differenza fra rivolta e rivoluzione. Camus approda a un concetto di rivolta che dall'individuo va verso la collettività. La rivolta dà una nuova interpretazione all'essere umano: «mi rivolto, dunque siamo». Ma se si ammette una realtà e un pensiero senza mediazioni, si tradisce la realtà in nome della dismisura assolutistica e totalitaristica (declinata come rivoluzione e nichilismo). La realtà, invece, è multiforme e dotata di mille sfumature, che non si possono semplificare e banalizzare in visioni assolute. Al contrario, il "pensiero meridiano" (la pensée de midi) a cui giunge l'intellettuale francese si fonda sul concetto di misura greco (l'armonia, la proporzione e il limite erano infatti alla base dell'estetica e dell'etica greche e la giustizia, nel pensiero arcaico, era legata all'idea di equilibrio e μέτρον [mètron]): in questo pensiero si coniugano, equilibrandosi, la ragione e il sapere visionario dell'immaginazione creativa. È proprio la coscienza di vivere all'interno del limite ciò che, secondo Camus, abbiamo smarrito e che dovremmo ritrovare («la rivolta è essa stessa misura»): ideali come la giustizia e la libertà sono realizzabili a condizione di perdere il loro carattere assoluto, trovando un limite nel confronto dell'una con l'altra. Libero da pregiudizi e ideologie, Camus intende la libertà politica come legata alla rivolta contro ogni forma di conformismo e alla necessità di spirito critico nei confronti di ogni sistema politico. Qualsiasi attività umana, anche una politica che abbia di mira l'eguaglianza sociale, non può risolversi totalmente in prassi, ma deve essere sempre accompagnata dalla riflessione e dalla contemplazione. Solo recuperando il momento della riflessione l'uomo può perdere l'aspirazione al potere assoluto, riconciliandosi con il mondo circostante e riconquistando la dignità nella sua interezza.


La rivoluzione anarchica in Ucraina (di Pëtr Aršinov)
La rivoluzione anarchica in Ucraina, un libro di Pëtr Aršinov.
La rivoluzione anarchica in Ucraina raccontata da uno dei suoi protagonisti.

In questo libro s'incontrano i volti più famosi di questo capitolo di storia spesso trascurato, quello del carismatico Nestor Machno, cui l'autore fu molto vicino.

Osteggiato tanto dai reazionari "bianchi" quanto dai bolscevichi della rivoluzione russa, Nestor Machno fu esponente di primo piano del comunismo-anarchico internazionale.

La storia e il romanzo s'intrecciano in una cronaca che racconta i tanti volti della grande Russia.

Gli ideali anarchici trionfano per una breve stagione e s'infrangono sul muro della ragion di stato o naufragano nelle piccole lotte intestine tra ex compagni di strada.


Il ministro anarchico (di Fulvio Abbate)
Il ministro anarchico (Baldini Castoldi Dalai Editore, 2004), un libro di Fulvio Abbate.

Questo è il racconto dell'irripetibile avventura umana e politica di Juan García Oliver (1902-1980), ministro anarchico della giustizia nella Spagna della guerra civile. In realtà, l'uomo nella vita conobbe anche altri ruoli. Nell'ordine, seppe essere cameriere, cospiratore, detenuto, organizzatore delle milizie armate libertarie in Catalogna e, infine, giunto in esilio in Messico, rappresentante di coloranti per tessuti. Ma soprattutto, in un particolare momento della storia del Novecento, Juan García Oliver, l'amico del leggendario ribelle Buenaventura Durruti, divenne "l'idolo di Barcellona proletaria"; così infatti lo definì Carlo Rosselli. Il ministro anarchico custodisce descrizioni di personaggi, immagini, frammenti di documenti e discorsi, come furono scritti o pronunciati a voce da molti suoi protagonisti, sopralluoghi necessari alla narrazione: Barcellona, Madrid, Tolosa... Non una biografia, non un saggio storico, piuttosto un "documentario" dedicato alla memoria della rivoluzione spagnola. L'affresco di Fulvio Abbate non punta alla completezza, alla ricostruzione esaustiva degli eventi, gli è sufficiente tratteggiare una linea luminosa, l'unica in grado di indicare il perimetro ideale dell'utopia libertaria, nel modo in cui prese forma nel 1936 a Barcellona, quando gli autobus, i tram e i taxi furono verniciati di rosso e nero, i colori della bandiera anarco-sindacalista, la bandiera di Juan García Oliver.


Vivere l'anarchia (di Émile Armand)
Copertina di Vivere l'anarchia di Émile Armand, Autoproduzioni Cassa Anti-repressione Bruno Filippi, 2019.

Émile Armand è generalmente presentato come uno degli esponenti principali dell'individualismo anarchico europeo. Ma le sue concezioni non vanno confuse con quelle dei sostenitori della pratica del «gesto esemplare», né con quelle dei cosiddetti antiorganizzatori, che praticavano l'individualismo in seno al movimento anarchico come metodo di condotta contro ogni possibile degenerazione burocratica ed autoritaria. I principi fondamentali, per costoro, restano sempre quelli socialisti e comunisti professati dal resto del movimento. L'individualismo di Armand, invece, può essere considerato come una completa «filosofia di vita»: l'anarchico é quell'individuo che esprime un'insofferenza esistenziale contro ogni forma di autorità, che lotta contro il potere prima di tutto perché esso lo opprime direttamente. Il singolo soggetto è l'alfa e l'omega di ogni riferimento giustificativo della prassi, la vera e unica certezza che dà valore agli scopi della lotta. La rivoluzione di Armand è una globale «rivoluzione di coscienza», un salto di qualità esistenziale, un modo radicalmente autentico di rapportarsi al mondo fisico e sociale. Coinvolgendo integralmente l'individuo, essa non ammette «scissioni» tra privato e pubblico, ma non nel senso marxiano di identificazione del singolo con la «società». Al contrario, è sempre e soltanto l'individuo a decidere e volere la propria coerenza tra privato e pubblico, senza mai renderne conto a nessuno. Il che non equivale a postulare un individualismo miope ed egoista, con ciascun uomo racchiuso nella corazza del «suo particolare». Significa piuttosto adombrare una concezione «pluralistica» dell'esistenza, vista come possibilità di realizzare un vissuto non monocorde ma ampiamente differenziato. L'idea di «libertà», per Armand, è strettamente intrecciata con quella di «felicità», col diritto di ogni persona ad attuarsi completamente.

Vivere l'anarchia, di Émile Armand, pubblicato nel 1983 dalle edizioni Antistato, è stato ristampato nel 2019 dalla Cassa Anti-repressione Bruno Filippi.

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Durruti e la Rivoluzione spagnola (di Abel Paz)
Durruti e la Rivoluzione spagnola di Abel Paz, BFS - Zero in Condotta - La Fiaccola, 2010.
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L'opera più importante di Abel Paz è senza dubbio il Durruti en la Revolución española, frutto di un decennio di ricerche e di testimonianze orali di decine di militanti: un punto di riferimento imprescindibile per conoscere la storia e il punto di vista dell'anarchismo iberico. Di Buenaventura Durruti gli aspetti che più colpirono i suoi contemporanei furono l'onestà, la generosità, la disponibilità a sacrificare tutto in nome dell'ideale. Il suo ideale anarchico era abbastanza semplice e il suo carattere iperattivo lo portò più d'una volta a lanciarsi in insurrezioni che furono quasi sul punto di far scomparire la CNT. Non c'è da stupirsi che, al fatidico congresso di Saragozza, il sindacato libertario fosse giunto decimato nelle sue file e profondamente diviso: le varie fazioni del movimento libertario, fino ad allora in guerra aperta fra di loro, si sarebbero però riconciliate proprio in quel congresso. Diego Camacho spiega la figura di Durruti dal un punto di vista dei suoi ideali e della sua concezione rivoluzionaria e strategica. La Guerra civile fu scatenata dai militari con la volontà di fermare una rivoluzione in atto, e tale intervento favorì in realtà la più profonda rivoluzione sociale che l'Europa abbia mai conosciuto. Nel Durruti di Abel Paz si narra la lotta di emancipazione del popolo spagnolo, si possono seguire gli argomenti e la strategia del settore più rivoluzionario ed appassionato dell'anarchismo iberico. Nella Guerra civile l'anarcosindacalismo lottò per qualcosa di sconosciuto in Europa: «l'aspirazione a un mondo umano, senza sfruttati né sfruttatori, fondato sull'apoliticismo e sulla fraternità mutualista».


L'Umanisfera (di Joseph Déjacque)
L'Umanisfera (Edizioni Immanenza, 2014), un libro di Joseph Déjacque.

«È qualcosa come un falansterio, ma senza alcuna gerarchia, senza alcuna autorità, al contrario, testimonianza della libertà, dell'uguaglianza, dell'anarchia più completa. La forma è, più o meno, quella di una stella, ma le sue facce rettangolari non hanno niente di simmetrico, ciascuna di esse è di un tipo particolare. L'architettura sembra avere modellato nelle pieghe della loro forma strutturale tutte le ondulazioni della grazia, tutte le curve della bellezza. Le decorazioni interne sono di una sinuosità elegante, un felice miscuglio di lusso e di semplicità, un'armoniosa scelta di contrasti». Joseph Déjacque (1822-1864) fu uno scrittore ed un militante anarchico. Ha lavorato come imbianchino ed applicatore di carta da parati. Prese parte agli avvenimenti del 1848 in Francia. Trascorse molti anni in esilio negli USA. Ha coniato il termine libertario. Entrò in aperta critica con Proudhon riguardo la questione dell'emancipazione dei sessi. L'Umanisfera è la sua opera più conosciuta ed importante.


La Fine dell'Anarchismo (di Luigi Galleani)
La Fine dell'Anarchismo?, un libro di Luigi Galleani particolarmente apprezzato da Errico Malatesta. Il saggio, del 1925, è frutto di una raccolta di articoli che Galleani redasse in seguito all'intervista, intitolata La Fine dell'Anarchismo, che Merlino rilasciò a La Stampa di Torino nel 1907.

La Fine dell'Anarchismo? è un saggio di Luigi Galleani di rilevante interesse teorico in quanto contiene, sia pure per accenni, il complesso delle tesi sostenute dall'anarchismo. Infatti, dopo l'esposizione della concezione anarchica dedotta dagli scritti più noti di Merlino (allontanatosi dal movimento anarchico intorno al 1899 e fonte, nel 1907, in occasione del «Primo Congresso Anarchico Italiano» - tenutosi a Roma dal 16 al 20 giugno 1907 - di un'intervista, intitolata La Fine dell'Anarchismo, in cui l'anarchismo veniva descritto come un movimento giunto ad un punto morto), il saggio mette in rilievo la caratteristica dell'anarchismo, si sofferma lungamente sulle sostanziali differenze tra collettivismo socialista e comunismo anarchico e tra individualismo e comunismo anarchico, deducendo la solidità dell'idea anarchica nei confronti delle altre scuole socialiste. La critica di Merlino aveva anche toccato uno dei punti più delicati - e pertanto più polemico e scottante anche in seno al movimento anarchico - come quello dell'«organizzazione», così esprimendosi: «[...] il partito anarchico è smembrato dalle lotte tra i partigiani delle due diverse tendenze, cioè fra individualisti ed organizzatori. Gli organizzatori non riescono a trovauna forma d'organizzazione compatibile con i loro principi anarchici. Gli individualisti, i quali si mantengono contrari ad ogni forma di organizzazione, non trovano modo d'agire».