Anarcopedia:Archivio Articolo Consigliato

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«Anarchia sociale nell'arte» (di Antonin Artaud)
Antonin Artaud ritratto da Man Ray.

[...] «L'arte ha il dovere sociale di dare sfogo alle angosce della propria epoca. Un'artista che non ha accolto nel fondo del suo cuore il cuore della propria epoca, l'artista che ignora d'essere un capro espiatorio, e che il suo dovere è di calamitare, di attirare, di far ricadere su di sé le collere erranti dell'epoca per scaricarla dei suo malessere psicologico, non è un artista. Lo sprezzo dei valori intellettuali è alla radice dei mondo moderno. In realtà, questo disprezzo dissimula una profonda ignoranza della natura di questi valori. Ma non possiamo perdere le forze nel tentativo di farlo capire ad un'epoca che, tra gli intellettuali e gli artisti, ha prodotto traditori in gran numero, e, nel popolo, ha generato una collettività, una massa che non vuole capire che lo spirito, cioè l’intelligenza, deve guidare il corso dei tempo». [...]

[...] «Lo sprezzo dei valori intellettuali è alla radice dei mondo moderno. In realtà, questo disprezzo dissimula una profonda ignoranza della natura di questi valori. Ma non possiamo perdere le forze nel tentativo di farlo capire ad un'epoca che, tra gli intellettuali e gli artisti, ha prodotto traditori in gran numero, e, nel popolo, ha generato una collettività, una massa che non vuole capire che lo spirito, cioè l'intelligenza, deve guidare il corso dei tempo. Il liberalismo capitalista dei tempi moderni ha relegato all'ultimo posto i valori dell'intelligenza, e l'uomo moderno, di fronte a queste poche verità elementari che ho elencato, si muove come una bestia o come l'uomo spaventato dei tempi primitivi. Per preoccuparsene, aspetta che queste verità diventino atti, e che si manifestino attraverso terremoti, epidemie, carestie, guerre, ossia col tuono dei cannone». [...]

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«Max Stirner» (Seminario di Sociologia, 1929-1930) (di Emil Cioran)

La reazione individualista della seconda metà del secolo scorso, reazione diretta contro il realismo sociale di sorgente hegeliana e contro il sociologismo, che negavano qualsiasi valore all'individuo, contestando le possibilità di un'autonomia morale personale al di là del rigido determinismo del meccanismo sociale – ha finito per porre in ombra il suo precursore più eminente, ovvero Max Stirner. Sarà John Henry Mackay, con un certo ritardo, a occuparsi di Stirner e, nella sua opera, Stirner, sein Leben, sein Werk (Berlino, 1898), a cimentarsi nella ricostruzione dei dati biografici di Stirner, raccogliendo i suoi scritti minori, saggi pubblicati su varie riviste. Il movimento individualista avrebbe riconosciuto proprio in lui il suo precursore più illustre. Stirner può stare accanto ai grandi individualisti come Carlyle, Emerson, Kierkegaard, Nietzsche, Ibsen ecc. Eduard von Hartmann pensa che Stirner sia superiore a Nietzsche, in quanto che, come filosofo, possedeva qualità molto più eminenti di quest'ultimo; oltre a ciò, egli ha tentato anche una fondazione filosofica dell'individualismo, che la verve poetica e lo slancio lirico di Nietzsche non realizzarono.

Affinché Stirner possa essere compreso, sarà anzitutto necessario stabilire il momento storico nel quale egli si colloca, l'atteggiamento nei confronti delle correnti dell'epoca e, successivamente, passare al vaglio le sue idee generali sull'individuo, così come sono esposte nella sua opera principale, L'Unico e la sua proprietà (1845). Questo inquadramento è reso necessario a maggior ragione dato che l'importanza di Stirner nella riflessione moderna è collegata a un preciso momento storico. Questo momento storico è caratterizzato da una rivoluzione totale dei costumi, da un eroico tentativo di rompere i pregiudizi esistenti, attaccando in primo luogo il concetto logoro dell'etica consolidata su basi teologiche, opposte allo spirito moderno incentrato più sui fatti concreti della vita che sulle speculazioni arbitrarie e convenzionali. Di conseguenza, l'epoca nella quale Stirner iniziò a sviluppare la sua attività, si stava incanalando verso una valorizzazione più comprensiva del fatto della vita, della dinamica vitale concreta e, al tempo stesso, verso un nominalismo sociale che assomigliava di più all'individualismo solipsistico dei romantici che all'individualismo atomista del XVIII secolo, poggiato sul pluralismo monadistico. Il nominalismo di Stirner sarà diretto contro Hegel, il rappresentante più brillante del realismo, sia metafisico sia socio-politico.

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«Michel Onfray. Il post-anarchismo spiegato a mia nonna» (di Marco Liberatore)

Che tempi sono questi? Sono i tempi delle proteste in Turchia, in Bulgaria e in Brasile, i tempi di Anonymous, del movimento No Tav e dalle lotte in difesa dei beni comuni. Forse gli anarchici non sono più meno dell'uno per cento, come cantava Léo Ferré, ma certamente coloro che si interrogano criticamente sui presupposti teorici e sui fondamenti delle pratiche anarchiche non sono molto numerosi. Stranamente, verrebbe da dire, perché questa modalità di mettersi in discussione fu inaugurata da un gigante dell'anarchismo classico, Errico Malatesta (e da Camillo Berneri subito dopo) che già nel 1920, sulle pagine di Umanità Nova scriveva «L'anarchia non si fa per forza: volerlo, sarebbe la più balorda delle contraddizioni». E un paio di anni dopo «L'anarchia è l'ideale che potrebbe anche non realizzarsi mai, come non si raggiunge mai la linea dell'orizzonte [...], l'anarchismo è metodo di vita e di lotta e deve essere, dagli anarchici, praticato oggi e sempre, nei limiti delle possibilità variabili secondo i tempi e le circostanze». C'è da dire che si era già pronunciato nella stessa direzione Gustav Landauer, di cui è nota l'affermazione «Lo Stato non è qualcosa che si possa distruggere con una rivoluzione, ma è una condizione, un certo rapporto tra esseri umani, una modalità del comportamento umano: lo distruggiamo stabilendo nuove relazioni, comportandoci in modo diverso».

Per tutto il '900 il pensiero anarchico non ha mai smesso l'abitudine di ripensarsi criticamente, soprattutto a opera di intellettuali e militanti come Paul Goodman - «Una società libera non può essere l'imposizione di un “ordine nuovo” al posto di quello vecchio: è l'ampliamento degli ambiti di azione autonoma fino a che questi occupino gran parte della vita sociale» - oppure attraverso le parole di Colin Ward «Come si reagirebbe alla scoperta chela società in cui si vorrebbe realmente vivere c'è già... se non si tiene conto, ovviamente, di qualche piccolo guaio come sfruttamento, guerra, dittatura e gente che muore di fame? [...] Una società anarchica, una società che si organizza senza autorità, esiste da sempre, come un seme sotto la neve, sepolta sotto il peso dello Stato e della burocrazia, del capitalismo e dei suoi sprechi, del privilegio e delle sue ingiustizie». Nelle loro pagine troviamo un'idea di anarchia che sembra allontanarsi da quella dei classici Bakunin, Kropotkin e Proudhon. La capacità di riflessione e di autocritica espressa in tempi non sospetti testimonia una grande vitalità e sembra anticipare molte delle questioni sollevate più di recente.

Il post-anarchismo spiegato a mia nonna di Michel Onfray si inserisce, quindi, in un ampio dibattito che si può riassumere in una domanda: le idee e i concetti della post-modernità possono essere impiegati per riattivare e riattualizzare il pensiero anarchico? Posta in questi termini la questione però non è molto chiara. Quale pensiero anarchico? E perché avrebbe bisogno di una “cura rinvigorente”?

La risposta va cercata negli anni a cavallo tra gli '80 e i '90, in quel periodo Hakim Bey pubblica una serie di scritti nei quali muove una critica al movimento anarchico, ossia di essere fuori dalla storia, incapace di interpretare la realtà e di comunicare in maniera comprensibile un programma di emancipazione che possa essere fatto proprio dagli emarginati della società contemporanea. Come Bey risolverà la cosa è noto, inventandosi le TAZ (le zone temporaneamente autonome che hanno ispirato raver e resistenti post-autonomia, con le loro esistenze interstiziali nelle pieghe della società del controllo e i loro divenire minoritari in chiave anti-egemonica). Più o meno negli stessi anni, un professore di filosofia della Carolina del Sud, Todd May, pubblica un libro destinato ad attirare l'attenzione di moltissimi anarchici The Political Philosophy of Poststructuralist Anarchism, nel quale rilegge i principi della dottrina politica anarchica confrontandoli con i risultati delle analisi post-strutturaliste, in particolare con quelle di Foucault e di Deleuze-Guattari. L'esito di quella lettura parallela produrrà la ridefinizione di tutta una serie di valori e categorie, ereditati dalla matrice illuministica e ottocentesca, quali essenzialismo, etica, identità, natura umana, potere, rivoluzione, soggettività. Successivamente un altro professore, Saul Newman tornerà sulla medesima questione, ossia la necessità (ma anche l'opportunità) per il pensiero anarchico di liberarsi dalle ingenuità filosofiche moderne per fare proprio il lascito nietzscheano reinterpretato dai post-strutturalisti francesi. Di qui in poi sarà tutto un susseguirsi di analisi e contro-analisi interne al movimento anarchico, tra accademici e non, che preferisco sorvolare, richiamando solo gli autori di alcuni dei contributi più interessanti, come Salvo Vaccaro, Richard Day, Vivien Garcia e Tomás Ibañez.

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