Anarchismo e Marxismo

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Anche se il comunismo libertario e il marxismo sono due filosofie politiche molto differenti, le similitudini rinvenibili nella metodologia e nel pensiero di alcuni anarchici e marxisti non devono indurre a fraintendimenti.

L'Associazione internazionale dei lavoratori, alla sua fondazione, era un'alleanza di numerosi gruppi socialisti, inclusi anarchici e marxisti. Le due parti avevano uno scopo comune: il superamento dello Stato borghese e delle ideologie dei comuni avversari politici (conservatori, protofascisti ed altri politicanti di destra). Ma ciascuno era critico nei confronti dell'altro ed il relativo conflitto ha in seguito preso corpo nelle diverse argomentazioni tra Bakunin, come esponente delle idee anarchiche e Karl Marx. Nel 1872, un conflitto nella Prima Internazionale conduce all'espulsione di Bakunin e dei “bakunisti”, decisa da parte di Marx al Congresso di Hague nel 1872.

Argomenti intorno alle sorti dello Stato.

Gli Stati-nazione si sono originati in Europa in seguito al trattato di Westfalia del 1649. Gli studiosi di politica moderna descrivono lo Stato come «una comunità  di uomini, stabiliti su di un proprio territorio e possedenti una organizzazione dalla quale scaturisca [...] una potenza suprema d'azione, di comando e di coercizione» [1]. Ne deriva che lo Stato si definisce come un territorio, una popolazione chiamata “nazione” ed un'autorità  che si esercita su di essa. Lo Stato è normalmente centralizzato e gerarchico. Esso governa attraverso le sue istituzioni e «apparirebbe come un'istituzione che, su un dato territorio, dispone del monopolio sull'uso legittimo della forza fisica», per utilizzare i termini proposti dal sociologo tedesco Max Weber nel suo saggio del 1918, La Vocazione del politico [2]. Ciò significa che gli individui riconoscono l'autorità  dello Stato accettando di obbedirgli: questa autorità  è fondata sulla tradizione, il carisma del dirigente o, nella società  moderna, sulla razionalità  messa in opera da legalità  e burocrazia. Sul piano giuridico, il criterio principale dello Stato è quello dell'esercizio della sovranità , che è un potere incondizionato, da cui derivano tutti gli altri poteri. Ciò significa che nell'ambito del proprio territorio lo Stato dispone delle sue competenze e dei propri esecutori. La sovranità  si definisce ugualmente, nel diritto, come la detenzione dell'autorità  suprema, vale a dire di un potere assoluto (a cui tutti sono sottomessi) e incondizionato (che non dipende da chicchessia).

Queste definizioni sono accettate da un po' tutte le correnti ad eccezione del marxismo.

In effetti questa concezione di Stato è stato oggetto di critica da parte di Karl Marx, per il quale la Nazione è secondaria rispetto al rapporto delle classi sociali e l'esistenza che ne deriva dei rapporti di produzione. L'approccio dello Stato fatto da Marx è puramente economico. Lo Stato è definito come l'organo della repressione di una classe sociale su tutte le altre.
Lo Stato appare nelle differenze della società  civile ed il suo ruolo, nel sistema capitalista, è di permettere il mantenimento dei rapporti di sfruttamento. Lo Stato è innanzitutto considerato come un apparato di violenza e d'oppressione che conviene far sparire dopo un periodo di transizione (la dittatura del proletariato). In questa definizione, l'idea di dittatura del proletariato può prendere numerosi significati secondo l'interlocutore marxista: dell'utilizzazione legittima della forza fisica da parte del consiglio degli operai/ie armati/e fino al monopolio della forza da una parte composta da intellettuali dichiaratesi come “capi del proletariato”. Nella teoria marxista con l'eliminazione della suddivisione della società  in classi sociali, anche lo Stato si estingue.

Il marxismo ha una definizione unica di Stato: esso è l'organo della repressione di una classe sociale su tutte le altre. Per i marxisti tutto lo Stato è intrinsecamente una dittatura di una classe sulle altre. Nella teoria marxista, se le differenze tra le classi sparissero, sparirebbe anche lo Stato. Gli anarchici stimano irrilevante l'identità  dell'élite politica o economica, perché si tratta pur sempre di un organo di dominazione al servizio di una classe. Al contrario, i marxisti ritengono che l'abbattimento di una classe dominante richiede inevitabilmente una repressione superiore. Bakunin scrisse nel suo saggio Stato e Anarchia [3]: «Loro (i marxisti) sostengono che solo la dittatura – la loro evidentemente – può creare la volontà  del popolo, allorché la nostra risposta a tale questione è: tutte le dittature non possono avere altro obiettivo che la propria perpetuazione e ciò non può che generare la schiavitù del popolo tollerante; la libertà  può essere creata solo a partire dalla libertà , cioè da una ribellione universale di una parte del popolo e la libera organizzazione di masse laboriose dal basso in alto».

In seguito agli scritti di Marx, proclamanti che lo Stato sarebbe il mezzo più sicuro per arrivare alla creazione di una società  senza Stato, poiché lo Stato stesso sarebbe destinato ad estinguersi, egli aggiunge: «L'anarchismo o la libertà , che significa libera organizzazione dei lavoratori\lavoratrici, è l'obiettivo finale dello sviluppo della società  [...] loro (i marxisti, N.d.R.) affermano che la dittatura è la fase di transizione necessaria verso la liberazione del popolo: l'anarchismo sarebbe il fine e la dittatura del proletariato il mezzo, di conseguenza per liberare il popolo bisognerebbe iniziare con l'asservirlo!» [4].

Il processo di transizione

Exquisite-kfind.png Vedi Dittatura del proletariato.

Per gli anarchici, l'ideologia rivendicata dai differenti tipi di Stato – che siano capitalisti, fascisti o comunisti – non è pertinente poiché tutti gli Stati sono fondamentalmente violenti e reprimono la maggioranza lavoratrice in nome del profitto della minoranza dirigente. Inoltre, gli anarchici sostengono che lo “Stato operaio” difeso dai marxisti è una contraddizione (impossibilità ) logica, poiché non appena una qualunque “avanguardia” autoproclamata prende il potere statale essa cessa di fare parte del proletariato (semmai ne abbia fatto mai parte) e diviene membro della “classe coordinante”. Gli anarchici deducono che tutti gli Stati sono illegittimi poiché fanno tutti ricorso alla violenza sistematica e alla repressione della maggioranza dei lavoratori\lavoratrici a favore della minoranza dirigente.

La "teoria sullo Stato", precedentemente evocata, porta ad interrogarsi sulla necessità  del processo di transizione che conduca alla fine alla creazione di una società  "senza Stato", sulla quale tanto i marxisti che gli anarchici sono d'accordo (fermo restando il concetto marxista di Stato sopra riportato). I marxisti pensano che la transizione, per poter essere efficace (per arrivare a quello che Marx chiama “vero comunismo”), richieda la repressione della reazione capitalista, poiché altrimenti ristabilirebbe il proprio potere, e la creazione di uno Stato diretto dagli operai.

Inoltre, gli anarchici sostengono che lo "Stato operaio", difeso dai marxisti, è una contraddizione in termini, poiché qualunque «avanguardia», auto-proclamatasi tale, che prende il potere statale, cessa di far parte del proletariato (se mai ne ha fatto parte) e diviene membro della «classe dominante». L'idea della dittatura del proletariato è ugualmente criticata dalla maggior parte degli anarchici, sia sul piano teorico che su quello storico. È abbastanza evidente che non è una classe intera a prendere il potere, ma una sua minoranza, un partito, secondo l'ottica leninista, che dunque non fa altro che imporre una "dittatura sul proletariato" e non una "dittatura del proletariato".

Gli anarchici illustrano le loro proposte mettendo in evidenza le misure repressive messe in atto da Lenin, Trotsky e Stalin, sin dal principio della rivoluzione russa. Essi avanzano ugualmente l'argomento che l'ex-URSS non era affatto democratica, così come anche tutti gli altri Stati auto-proclamatisi “marxisti”. Al contrario i marxisti mettono in evidenza il presunto “fallimento” (essi propongono l'esempio della Rivoluzione spagnola), delle rivoluzioni in cui hanno preso parte gli anarchici.

Marxisti e anarchici non perseguono il medesimo scopo: gli anarchici vogliono l'abolizione di ogni forma di Stato (una «sciocchezza», secondo lo stesso Engels), i marxisti ritengono, invece, che lo Stato si autoestinguerà , o meglio «non ci sarà  uno Stato nel significato politico attuale»[5] (Stato classista). I marxisti, contrariamente agli anarchici, mirano a cambiare (non ad abolire) lo Stato: in un primo tempo, lo Stato muta la sua classe dirigente, diventando uno “Stato operaio”, in cui la classe dominante è il proletariato; essi considerano quindi la repressione della borghesia come un fatto necessario e preliminare all'estinzione dello Stato borghese. In seguito, lo "Stato operaio", venuti a cessare gli antagonismi tra le classi, si estinguerà , trasformandosi in uno Stato senza dominio di classe (ossia in una forma di democrazia diretta): «lo Stato politico e con lui l'autorità  politica scompariranno in conseguenza della prossima rivoluzione sociale [...] cioè [...] le funzioni pubbliche perderanno il loro carattere politico e si cangeranno in semplici funzioni amministrative, veglianti ai veri interessi sociali»[6] (dunque, non si tratta della scomparsa dello Stato tout court, ma dello Stato marxianamente inteso, ossia dello Stato retto da una classe dominante).

Gli anarchici ritengono che la creazione di qualsiasi nuovo Stato metterà  comunque il potere nelle mani di una minoranza, e che lo Stato, con le sue capacità  repressive e i suoi apparati burocratici massivi, avrà  la tendenza a perpetrarsi, piuttosto che ad «estinguersi». In pratica, la creazione di un nuovo Stato, anche se qualificato come “operaio”, sarebbe controrivoluzionario, per cui, per eliminarlo, sarebbe necessaria una seconda rivoluzione. Gli anarchici preferiscono quindi sostituire allo "Stato borghese" i consigli operai (vedi Consigli ed occupazioni di fabbrica in Italia (1919-20)), i sindacati o comunque qualsiasi struttura organizzativa decentralizzata e non-gerarchica.

Per illustrare i limiti dell'approccio marxista, gli anarchici ricordano che dopo la caduta dell'URSS i movimenti popolari che chiesero l'abolizione della dittatura statale furono duramente repressi. Ciò dimostra che una seconda rivoluzione è praticamente impossibile.

Differenze esistono anche all'interno degli stessi "schieramenti": gli anarchici non sono d'accordo tra loro riguardo al fatto se i consigli operai costituiscano o no uno Stato; i marxisti non sono d'accordo tra loro riguardo alla forma che dovrebbe assumere la dittatura del proletariato. Tuttavia, soprattutto gli argomenti marxisti si prestano alle critiche, poiché essi nella pratica hanno limitato l'autonomia dei consigli operai, oltre a ripristinare, contraddittoriamente, la polizia segreta, il terrorismo di Stato come strategia rivoluzionaria[7] e l'uso di una giustizia ambigua e poco trasparente.

Rosa Luxemburg, marxista con venature libertarie

I partiti politici

I marxisti e gli anarchici si distinguono riguardo al ruolo attribuito ai partiti politici rivoluzionari.

La maggior parte dei marxisti vedono nei partiti l'"avanguardia" del proletariato, ovvero uno strumento utile per fronteggiare lo "Stato borghese" e impadronirsi del potere, per fronteggiare l'eventuale reazione della borghesia capitalista e per giungere all'"estinzione" dello Stato. I marxisti però si dividono riguardo alla partecipazione dei partiti rivoluzionari alle elezioni e sulla loro organizzazione dopo la presa del potere. Tra questi, i luxemburghisti pensano che il partito debba avere una funzione guida delle masse ma non debba gerarchizzarsi e burocratizzarsi.

Gli anarchici rifiutano l'idea del partito intesa come organizzazione centralizzata, gerarchica e parlamentarista, perché un'organizzazione del genere contiene il "germe" dell'autoritarismo. Tuttavia per i comunisti anarchici il Partito (termine usato da Malatesta) altro non è che l'organizzazione politica (organizzazione specifica) dei comunisti anarchici, il cui scopo è quello di sviluppare la coscienza di classe, a partire dal soddisfacimento dei bisogni primari e immediati dell'individuo, alimentare lo scontro con la borghesia e guidare - come un corpo interno al proletariato e non come un'avanguardia che si eleva al di sopra delle masse - gli sfruttati nel loro percorso rivoluzionario.

Violenza e rivoluzione

La violenza, come mezzo rivoluzionario, è giustificabile? E sino a che punto è lecito spingersi? Anarchici e marxisti, su questi aspetti, si dividono ancora.

Gli anarchici (esclusa la fazione pacifista) ritengono legittimo rispondere alla violenza dello Stato con la violenza popolare: alcuni (soprattutto gli individualisti) ritengono utile e necessaria la violenza su piccola scala (es. l'assassinio di elementi dell'élite al potere); altri (per es. i comunisti anarchici) vedono nella violenza rivoluzionaria l'unico mezzo per rovesciare le classi dominanti. Tuttavia, tutte le correnti dell'anarchismo ritengono inaccettabile la violenza massiva e pianificata, come quella praticata da Lenin e Trotskij a Kronstadt, dai bolscevichi durante rivoluzione russa e dai rivoluzionari comunisti durante la rivoluzione cinese e cubana.

La maggior parte dei marxisti ritiene lecita la violenza su larga scala quando le circostanze impongono l'autodifesa collettiva (es. contro la reazione borghese o contro un'invasione di stampo imperialista). Molti marxisti ritengono legittima anche la violenza più feroce, se questa servisse a giungere al fine preposto: la dittatura del proletariato e il comunismo.

Secondo molti marxisti, gli anarchici, per via della loro reticenza ad organizzarsi concretamente, per il loro rifiuto della violenza proletaria e del “terrorismo di Stato”, possono essere tacciati di attività  controrivoluzionaria. In questo modo essi giustificano la repressione subita dai libertari in Spagna, Ucraina, Russia, Cuba ecc. (molti marxisti confondono l'organizzazione con l'autoritarismo: l'esperienza spagnola e ucraina, tanto per fare degli esempi, dimostrano invece la possibilità  di organizzarsi in maniera non gerarchica).

Le classi

Exquisite-kfind.png Vedi Classismo e Lotta di classe.
La "A" cerchiata, uno dei simboli del movimento anarchico

Per la maggioranza dei marxisti le classi sono due: da un lato, coloro (la borghesia) che detengono i beni di produzione (capitali, strutture, mezzi di produzione, ecc.) e che in base a questa proprietà  ne ricavano dei privilegi; dall'altro, coloro (il proletariato) che detengono solo la loro capacità  di lavoro ("forza-lavoro") e la vendono al primo gruppo (gli imprenditori) per ottenerne in cambio un salario che consenta a loro e alla loro famiglia di sopravvivere e riprodursi (generare quella prole che dà  loro il nome).

Altre classi come il "ceto medio" sono destinate ad essere assorbite dal proletariato, mentre i disoccupati ("sottoproletariato") non hanno nemmeno un'identità  di classe e servono solo a mantenere bassi i salari degli occupati per via della concorrenza che fanno agli occupati.

Per gran parte degli anarchici la società  è più complessa: da un lato, il proletariato produce i beni di consumo con il proprio lavoro e ne viene espropriato in virtù dell'assetto proprietario della società  capitalistica, dall'altro, il fronte padronale che opera l'espropriazione grazie alla proprietà  dei beni di produzione.
Attorno a queste due classi principali orbitano altre classi sociali con un ruolo ugualmente importante: i contadini, che detengono i propri mezzi di produzione, ma vengono espropriati di gran parte della ricchezza che producono dal meccanismo della distribuzione i cui canali sfuggono loro; i ceti medi, che svolgono funzioni essenziali alla riproduzione capitalistica e che ne vengono ripagati con privilegi effimeri e irrisori, ma che vengono percepiti in modo tali da confondere loro quali siano i loro veri interessi; i disoccupati, la cui sete disperata di un salario, li contrappone fittiziamente ai loro naturali alleati.

Per alcuni anarchici (anarchici aclassisti), soprattutto alcuni individualisti, le classi sono un'invenzione marxista, per cui non ha senso nemmeno questa divisione della società .
Per molti anarchici (soprattutto i comunisti, ma non solo) non solo le classi esistono ma occorre anche ricomporre gli interessi di tutti coloro che subiscono lo sfruttamento dell'assetto sociale capitalistico.

Questa concezione differente sulla società  divisa in classi comporta che i marxisti releghino la lotta di classe allo scontro tra capitalisti e proletariato, mentre gli anarchici allargano tale conflitto a tutti gli sfruttati. Altro punto di disaccordo come conseguenza di queste differente visioni è la relazione tra la condizione di classe e la coscienza di classe: per una parte dei marxisti i due termini (di classe e di coscienza di classe) finiranno in una maniera deterministica prima o poi a coincidere; per altri marxisti la coscienza di classe non è necessaria a tutta la “classe”, ma a solo una parte “illuminata”, l'avanguardia, ovverosia il partito (nella versione leninista, addirittura, esterno al movimento operaio, perché quest'ultimo appesantito dai suoi bisogni quotidiani non può comprendere i suoi bisogni storici e futuri).

Per gli anarchici, soprattutto per i comunisti anarchici, invece, il rapporto tra classe e coscienza di classe è certamente mediato dall'avanguardia, che però agisce come corpo interno del proletariato e del variegato mondo degli sfruttati, fungendo da punto di riferimento e non da guida che si eleva al di sopra delle masse sfruttate. Per gli anarchici solo un proletariato unito e cosciente della propria condizione può fare una rivoluzione veramente libertaria e senza delegare alcuno a questo compito.

Materialismo storico e materialismo dialettico

Template:Vedi anche Il materialismo storico è «la concezione materialista della storia», cioè non una teoria astratta, ma una metodologia di analisi della storia che individua nelle condizioni materiali (cioè economiche) la causa principale degli avvenimenti storici. Il materialismo storico trovò concordi tanto Marx quanto Bakunin (attualmente sono soprattutto i comunisti anarchici a trovarsi in accordo con tale metodologia di analisi).

Invece il materialismo dialettico, che Karl Marx "abbraccia" in una fase successiva all'elaborazione del materialismo storico, reinterpreta la dialettica hegeliana, considerando l'evoluzione della materia e non dell'idea (come faceva Hegel). Il materialismo dialettico non solo reinterpreta la realtà , ma ha la pretesa di offrire una visione scientifica e deterministica degli avvenimenti storici, prevedendo la crisi del capitalismo e il conseguente arrivo del comunismo[8]. In questo modo il marxismo, soprattutto nell'interpretazione di Lenin ed Engels, sviluppa un materialismo definibile metafisico, che gran parte dell'anarchismo, a parte il comunismo kropotkiniano, rifiuta e ha sempre rifiutato, poiché in questo modo l'individuo verrebbe a perdere il suo ruolo centrale di trasformatore della realtà , divenendo un elemento di una serie di forze a lui estranee.

La maggior parte degli anarchici rifiuta la visione deterministica, (pseudo)scientifica ed esclusivamente economicista della storia, considerando invece il materialismo storico come un mezzo utile per la valutazione degli avvenimenti, senza però ritenerlo l'unico ed esclusivo metodo d'indagine, ma attribuendo grande importanza anche alle contraddizioni ambientali, quelli di genere ecc. Per gran parte degli anarchici il materialismo dialettico non fa altro che disumanizzare l'analisi sociale e politica della realtà , portando come conseguenza i risultati drammaticamente osservati per esempio durante la rivoluzione russa.

Altri punti di disaccordo: movimenti di liberazione, famiglia, educazione, amore e religione

Per i marxisti i movimenti di liberazione delle donne, degli omosessuali, delle minoranze etniche ecc., hanno sicuramente una loro intrinseca valenza ma soprattutto vanno inseriti nell'ambito del processo che porterà  alla lotta di classe e alla dittatura del proletariato. Per gli anarchici la lotta contro ogni forma di oppressione è centrale, al di là  delle dinamiche deterministiche dei marxisti, purché queste si inseriscano in un quadro rivoluzionario e non meramente riformistico.

Riguardo alla famiglia per gli anarchici i rapporti di parentela e di discendenza genetica devono essere sostituiti dai rapporti d'amore e di solidarietà  tra le singole individualità . In questo modo diverse figure, e non necessariamente i genitori, possono partecipare all'educazione dei bambini. Così si intende eliminare la contrapposizione fra gli esseri umani e le disuguaglianze. Quindi, alla famiglia naturale, l'anarchismo contrappone un nucleo sociale "aperto" costituito da libere individualità  tra loro associate. Un tale modo di intendere l'organizzazione sociale non può che sostituire l'amore libero e l'unione libera e non vincolante al matrimonio, rompendo così le stantie e ipocrite convenzioni sociali.

I marxisti, pur mantenendo nella forma una certa apertura mentale verso nuclei famigliari alternativi ai modelli dominanti, nella pratica hanno talvolta considerato queste rivendicazioni come frutto dell'ideologia borghese. Durante la rivoluzione russa e in altre esperienze, i marxisti si sono spesso sforzati di ricondurre "alla legalità " della famiglia di diritto, la strutturazione dei rapporti interpersonali, pur mantenendo alcuni "istituti borghesi" di salvaguardia delle libertà  individuali, quali per esempio il divorzio.

Anche sulla religione anarchici e marxisti hanno punti di vista differenti. L'anarchismo propugna l'idea di estirpare qualsiasi causa che determini lo sviluppo del pensiero religioso. Per i marxisti l'"ateismo di Stato" e la repressione sono i mezzi necessari atti ad impedire la diffusione della religione, considerato che quest'ultima è ritenuta un ostacolo al “naturale” decorso degli avvenimenti storici che dovrebbero condurre al comunismo[9]. Gli anarchici, pur agendo in maniera tale da eliminare ogni elemento strutturale e sovrastrutturale (fattori educativi, culturali ecc.) che permettono il consolidamento della religione, ritengono che la libertà  religiosa individuale e associativa debba essere tutelata (come tutte le libertà  individuali), purché questa non comporti privilegi per alcuni o limiti la libertà  di altri.

Interpretazione libertaria del marxismo

Template:Vedi anche Il Marxismo libertario critica le posizioni riformiste, sia socialdemocratiche che autoritarie in generale (giacobinismo, blanquismo, lassallismo, leninismo), accomunate tutte dall'accusa di antidemocraticità  e di sostitutismo, negando una reale partecipazione delle masse ai processi di decisione, atteggiamenti che sfociano unicamente verso qualche forma di collaborazionismo con il sistema dominante.

Note

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Bibliografia

  • G.V Plechanov, Anarchismo e socialismo, La nuova sinistra, Roma, 1971.
  • Marx, Engels, Critica dell'anarchismo, Einaudi, Torino, 1973.
  • Luigi Fabbri, Nikolaj Bucharin, Anarchia e comunismo scientifico. Un teorico marxista ed un anarchico a confronto, Edizioni Zero in Condotta, 2009

Voci correlate

  1. Secondo Carré de Malberg in Contributi alla teoria dello Stato (1921)
  2. La citazione esatta è: «Per contro bisogna concepire lo Stato contemporaneo come una comunità  umana che, nei limiti di un territorio determinato - la nozione di territorio è stata una delle sue caratteristiche - rivendica con successo, per il proprio tornaconto, il monopolio legittimo della violenza fisica», La Scienza e la politica (Wissenschaft als Beruf et Politik als Beruf), sezione La Vocazione della politica (Politik als Beruf), p.29 dell'archivio PDF disponible su Les Classiques des sciences sociales
  3. Testo disponibile in inglese
  4. Ibidem
  5. Parole di Marx.
  6. Parole di Engels.
  7. Su questo punto è interessante leggere, in lingua francese, Terrorisme et communisme di Lev Trotsky.
  8. Per i marxisti l'evoluzione dei fatti storici è preordinata e predeterminata per stadi che si impongono dialetticamente. Il compito delle forze rivoluzionarie, organizzate in un'avanguardia (partito), è quello di "accompagnare", cioè guidare, lo svolgersi naturale degli avvenimenti. Per i marxisti la storia è una sequenza di cause e di effetti tra loro conseguenti, immodificabili e necessari (visione determinista della storia). Questo modo di ragionare comporta che se si è certi di seguire il "vero e unico" corso della storia, chiunque vi si opporrà , dovrà  essere trattato come nemico e quindi represso (vedi l'esperienza stalinista in Russia).
  9. Nei paesi dell'ex blocco sovietico, nonostante l'ateismo di Stato fosse alla base delle costituzioni di quei paesi, talvolta le associazioni religiose sono rimaste titolari di beni o di funzioni sociali caritative e assistenziali. In Polonia l'influenza dei cattolici nella vita politica fu invece sempre molto alta. Nel centro e sud America si è assistito ad un tentativo di conciliare marxismo e religione, attraverso lo sviluppo dell'ideologia denominata "teologia della liberazione", per altro molto contrastata dalle gerarchie ecclesiastiche.