Anarchia: differenze tra le versioni

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Al pari del mondo delle scienze, la struttura ideologica si fonda sulla posizione di ipotesi interpretative della realtà, ipotesi non necessariamente frutto di una osservazione empirica della stessa, ma protese ad offrire alla realtà una rappresentazione funzionale ad operare sulla stessa, tanto da individuare (e fondare sull'ipotesi assunta) delle leggi di evoluzione della realtà, attraverso le quali prevederla e, quindi, dominarla. Ma si tratta a ben vedere di leggi (scientifiche) a cui si attribuisce (o si può attribuire) un valore universale soltanto offuscando (o dimenticando) la loro radice particolare, in quanto fondata fermamente ed esclusivamente nell'ipotesi convenzionalmente assunta. In questo senso, la struttura ideologica si riconnette «con la pretesa razionalistica che postula da un lato la riduzione di ogni forma di sapere umano alla conoscenza scientifica e che dall'altro, dimenticandone la natura convenzionale, vagheggia un padroneggiamento della natura e della storia da parte dell'uomo/scienziato». Così intesa, l'ideologia si presenta quale teoria interpretativa della realtà, teoria che prende le mosse da ipotesi convenzionalmente assunte e che dalle stesse si sviluppa per deduzione. In questo senso, l'ideologia, semplificando e racchiudendo la realtà all’interno delle convenzioni che le sono proprie, se si sviluppa in modo corretto rispetto agli assiomi che la caratterizzano e la distinguono dalle altre ideologie, produce un discorso scientifico sulla realtà, dotato (avuto riguardo alle proprie ipotesi) di senso, direbbero taluni. Se poi tali sviluppi potessero ritrovare verificazione empirica, la teoria (o ideologia, che dir si voglia) dimostrerebbe la sua efficacia operativa attraverso il dominio della realtà e risulterebbe, perciò, una teoria valida anche da punto di vista empirico. L'anarchismo potrebbe venire assimilato ad un'ideologia, nel momento in cui si sviluppasse dall'assioma irrinunciabile e, quindi, non problematizzabile, per il quale, ad esempio, l'essere umano, liberato dal giogo dell'oppressione, risulterebbe intrinsecamente buono; esplicitamente verrebbe, infatti, attribuita la causa di ogni male alla società concreta, al contesto sociale ed alle sue articolazioni istituzionali, che l'anarchismo di volta in volta critica.
Al pari del mondo delle scienze, la struttura ideologica si fonda sulla posizione di ipotesi interpretative della realtà, ipotesi non necessariamente frutto di una osservazione empirica della stessa, ma protese ad offrire alla realtà una rappresentazione funzionale ad operare sulla stessa, tanto da individuare (e fondare sull'ipotesi assunta) delle leggi di evoluzione della realtà, attraverso le quali prevederla e, quindi, dominarla. Ma si tratta a ben vedere di leggi (scientifiche) a cui si attribuisce (o si può attribuire) un valore universale soltanto offuscando (o dimenticando) la loro radice particolare, in quanto fondata fermamente ed esclusivamente nell'ipotesi convenzionalmente assunta. In questo senso, la struttura ideologica si riconnette «con la pretesa razionalistica che postula da un lato la riduzione di ogni forma di sapere umano alla conoscenza scientifica e che dall'altro, dimenticandone la natura convenzionale, vagheggia un padroneggiamento della natura e della storia da parte dell'uomo/scienziato». <ref>Francesco Gentile, Intelligenza politica e ragion di stato, Milano, 1983, p. 195</ref> Così intesa, l'ideologia si presenta quale teoria interpretativa della realtà, teoria che prende le mosse da ipotesi convenzionalmente assunte e che dalle stesse si sviluppa per deduzione. In questo senso, l'ideologia, semplificando e racchiudendo la realtà all’interno delle convenzioni che le sono proprie, se si sviluppa in modo corretto rispetto agli assiomi che la caratterizzano e la distinguono dalle altre ideologie, produce un discorso scientifico sulla realtà, dotato (avuto riguardo alle proprie ipotesi) di senso, direbbero taluni. Se poi tali sviluppi potessero ritrovare verificazione empirica, la teoria (o ideologia, che dir si voglia) dimostrerebbe la sua efficacia operativa attraverso il dominio della realtà e risulterebbe, perciò, una teoria valida anche da punto di vista empirico. L'anarchismo potrebbe venire assimilato ad un'ideologia, nel momento in cui si sviluppasse dall'assioma irrinunciabile e, quindi, non problematizzabile, per il quale, ad esempio, l'essere umano, liberato dal giogo dell'oppressione, risulterebbe intrinsecamente buono; esplicitamente verrebbe, infatti, attribuita la causa di ogni male alla società concreta, al contesto sociale ed alle sue articolazioni istituzionali, che l'anarchismo di volta in volta critica.


==Note==
==Note==

Versione delle 12:48, 24 set 2020

La A cerchiata, il più famoso simbolo dell'anarchia
ANARCHY IS ORDER! (L'ANARCHIA È ORDINE!) - irriverente parodia dello stemma degli USA

Comunemente molti intendono l'anarchia come sinonimo di caos, confusione e disordine, ma non è così. L'anarchia, invece, è forma di società basata sul libero accordo, sulla solidarietà, sul rispetto di ognuno. L'anarchia rifiuta i rapporti autoritari e altri aspetti che saranno analizzati in seguito.

Etimologia, origine storica e definizione

La fiaccola dell'anarchia
La vittoria sorride alle bandiere rosse e nere

Etimologicamente la parola "anarchia" deriva dal greco ἀναρχία (ἀν, assenza + ἀρχή, governo o principio) e significa letteralmente «senza-governo», «senza-principio». Il suffisso "-ismo" designa la relativa dottrina politica e il relativo movimento politico.

I termini anarchia e anarchismo furono utilizzati per la prima volta dal girondino Brissot nel 1793 (in piena rivoluzione francese), che così definiva la corrente politica degli Enragés (Arrabbiati). Erano il gruppo rivoluzionario più radicale del periodo e criticavano ogni forma d'autorità, da qualunque parte essa provenisse. Solo con Proudhon il termine anarchia comincerà ad assumere una connotazione positiva, grazie al suo celebre saggio Che cos'è la proprietà?.

Quindi, Anarchia e Anarchismo, nella loro accezione storica, si devono considerare come sinonimi di opposizione ad ogni forma di autorità, che è il principio attraverso cui un qualsiasi governo si regge, e tutto ciò che ad esso consegue, primo tra tutti il rapporto tra «comandare e obbedire».

Gli anarchici non professano affatto l'assenza di ordine, di regole e/o di strutture organizzate, ma diffondono l'idea di un ordine libero, fondato sulle diversità individuali, laddove ciascun individuo agisce in piena autonomia e autoresponsabilità, rifiutando ogni forma di autoritarismo. L'anarchico crede nelle ragioni dell'individualità, ma non è necessariamente individualista, semplicemente il suo concetto di comunità e socialità è differente da quello comune, che prevede vincoli di appartenenza che l'anarchico rifiuta:

«L'eccezione borghese e tradizionale dell'anarchia come disordine che sconvolge addirittura la pensabilità di una società qualunque, rendendo quindi impossibile la stessa convivenza umana, è un insulto all'etimo greco: assenza di dominio. Di contro, in senso forte, l'anarchia è una delle forme possibili di organizzazione dell'umano che si dà il legame sociale. Essa è caratterizzata dall'apertura del suo orizzonte organizzativo, che rifugge dalla stasi istituzionalizzata per valorizzare un rapporto felice e dinamico tra forme di vita che ciascuno intende eleggere ed assetto collettivo che condiziona la possibilità di azione e di espressione del singolo. Nella tensione vibrante tra queste due polarità esplode lo spazio concreto dell'anarchia come istanza di traduzione reciproca a cui ispirare la soluzione delle forme associate di vita».

Anarchia e anarchismo

In linea di massima gran parte degli anarchici concordano nel ritenere l'anarchia il fine a cui tende ogni anarchico, e l'anarchismo il percorso che ogni individualità o associazione intraprende per giungervi. In sostanza l'anarchismo è il mezzo e l'anarchia il fine.

Pur consapevoli quindi che il fine ultimo sia per entrambi il raggiungimento di una società anarchica, si potrebbe tuttavia definire anarchista [1] colui che vive e agisce nell'ambito della società repressiva mettendo in pratica, volta per volta, tutte quelle strategie e tecniche ritenute utili al raggiungimento dell'anarchia e anarchico colui che ritiene già di vivere e operare secondo i principi dell'anarchia, sebbene in un ambito ristretto di comunità anarchica. [2]

Le correnti anarchiche

La forza del pensiero anarchico, ma anche il suo limite, sta principalmente nelle sue innumerevoli correnti, tendenze e sottotendenze (comunismo, anarco-individualismo, sindacalismo, ecc.). Per una maggior comprensione di questo complesso intreccio, si veda l'abero genealogico dell'anarchismo.

Vignetta che raffigura l'ostilità degli anarchici nei confronti di ogni autorità

Anarchici, libertari, liberali, liberisti

I termini «anarchico», «libertario», «liberale» e «liberista», benché siano talvolta utilizzati come sinonimi, specie dai sostenitori di un improbabile "anarchismo liberale" (l'anarchismo, dagli anarco-individualisti agli anarco-comunisti, è, infatti, sempre socialista, benché mai sostenitore del socialismo di Stato), hanno un significato molto diverso ed indicano, in particolare, uomini dalle idee diverse e talvolta divergenti.

  • «Anarchico» è colui che professa i pricipi dell'anarchia. [3]
  • «Libertario» è colui che afferma (e, più ancora, istintivamente sente) la libertà quale valore umano fondamentale e preminente, concependola come un'energia esistenziale (intellettuale, morale e vitale), come una forza dirompente capace di riscattare l'uomo, di emanciparlo dai vincoli o dalle servitù che tradizionalmente lo limitano e lo opprimono - mediante strutture e istituzioni repressive - in tutti i campi della vita (in primo luogo, in quello politico-istituzionale e in quello economico-sociale, ma anche in quello culturale, dei costumi, ecc.); e di conseguenza, rivendica appassionatamente la libertà così concepita e ne propugna urgentemente l'attuazione, assumendo atteggiamenti rivoluzionari, o comunque radicali e contestatori nei confronti delle istituzioni, delle forze, delle concezioni sociali che, a suo avviso, la negano, la reprimono o in qualsiasi forma la limitano (e non di rado è sinonimo di «anarchico»). [3] Sebbene tutti gli anarchci siano libertari, non tutti i libertari sono anarchici. «Libertario» è un genus nel quale sono ricomprese più species: «anarchico», «radicale», «socialista utopista», «rivoluzionario», «democratico» e così via. Logicamente con l'espressione libertarismo può intendersi, genericamente, un atteggiamento libertario [3] oppure, con riferimento all'anarchismo, l'amore della libertà spinto fino all'anarchia. [3]
  • «Liberale» è il seguace, fautore del liberalismo o colui che ha un atteggiamento politico ispirato e improntato al liberalismo [3] (complesso di concezioni e teorie etico-politiche che nulla hanno a che fare con le dottrine anarchiche).
  • «Liberista» è il seguace, fautore del liberismo [3] (dottrina di politica economica che nulla ha a che fare con le dottrine anarchiche).

L'anarchia nella storia

I recenti studi di personalità del calibro di Marija Gimbutas e Riane Eisler hanno portato a dare una nuova interpretazione della storia e della preistoria dell'umanità, sulla base della quale non è per nulla azzardato sostenere che la vita sociale umana nasce e si sviluppa inizialmente in un contesto sostanzialmente libertario, pacifico ed egualitario (società gilaniche), poi sostituito dai principi patriarcali che in Europa saranno imposti violentemente dai Kurgan tra il 4-3000 a.c.

Siamo spesso indotti a pensare, visto per esempio che il pensiero anarchico si struttura compiutamente solo nel XIX secolo, che solo l'uomo moderno abbia sentito l'esigenza di ribellarsi alle ingiustizie sociali, in realtà il libertarismo, inteso come espressione ideologico-politica fondata anche su analisi storiche concernenti la storia umana, è antico quanto l'uomo sfruttato e gerarchizzato ridotto a meno di merce qualsiasi. .

I principi libertari quindi nascono con l'umanità stessa e sono costantemente emersi nel corso della storia umana, trasversalmente al genere sessuale [4], alla nazionalità [5] e alla classe sociale [6] d'appartenenza.

Tematiche

  • Antirazzismo: gli anarchici sono assolutamente antirazzisti e rifiutano qualsiasi forma di discriminazione. Il razzismo, poi, è una forma molto discriminazione molto grave e intollerabile. Basti pensare all'olocausto o all'apartheid, per rendersene conto.
  • Antimilitarismo: gli anarchici sono contrari a qualsiasi forma di violenza istituzionalizzata, pertanto non tollerano l'esercito, strumento di guerra e di repressione, lo sfruttamento e affini.
  • Antisessimo: gli anarchici non tollerano la discriminazione di genere. Gli uomini e le donne sono uguali, e come tale devono essere trattati con rispetto reciproco.
  • Antispecismo: al giorno d'oggi si considera la specie umana superiore a tutte le altre specie animali, ma una parte del movimento anarchico non condivide questa tesi. Pur se molti anarchici non riconoscono l'antispecismo come un principio anarchico, sempre più militanti sono attivi contro lo specismo (allevamenti, caccia, pellicce, vivisezione, ecc.).
  • Internazionalismo: gli anarchici non riconoscono gli stati. Oltre a essere pari, gli esseri umani sono anche fraterni indipendentemente dal loro sesso, razza, lingua e cultura.

Anomia, caos e acrazia

Anarchia non è anomia

Università di Atene (2009) occupata dagli anarchici greci

Il termine anomia deriva dal greco ἀνομία e significa letteralmente «assenza o mancanza di norme».
Pertanto, una società anomica è una società in cui non esistono norme giuridiche; una teoria sociale anomistica è una teoria che ipotizza l'esistenza di una società senza il diritto. Tuttavia, l'assenza del diritto, non implica necessariamente l'assenza di principi etici che, in qualche modo, regolino i rapporti sociali. D'altro canto, una società anomica non è necessariamente una società priva di gerarchie o non soggetta ad un potere dominante (anzi, laddove vi sia totale mancanza di regole, può diffondersi più facilmente la sopraffazione del più forte sul più debole).

Il termine anarchia viene normalmente considerato come sinonimo di anomia: questa è una grave mistificazione. Innazitutto, la maggior parte delle teorie anarchiche non sono anomistiche, ma accettano il diritto come elemento regolatore della società futura (teorie noministiche). Inoltre, nessuna teoria anarchica (noministica o anomistica) è compatibile con la gerarchia e con il dominio, giacché in ognuna di esse vi è un principio regolatore (giuridico od etico) che li esclude categoricamente.

Anarchia non è caos

Il termine anarchia viene normalmente considerato come sinonimo di caos (dal greco Χάος, stato primordiale di vuoto buio anteriore alla creazione del cosmo): questa è una mistificazione ancor più grave della precedente. Infatti, il caos presuppone la totale assenza di ogni elemento ordinatore (giuridico od etico): nessuna teoria anarchica ha mai teorizzato l'assenza di regole e di interazioni sociali, in quanto l'anarchismo non lascia nulla al caso-caos, ma propone un nuovo modo di concepire la società, costruito intorno a norme e/o principi etici egualitari, condivisi e non imposti dall'alto.

Anarchia non è acrazia

L'anarchia è sempre acratica, ma l'acrazia non sempre è anarchica, per cui tra anarchia ed acrazia non vi è coincidenza. Il termine acrazia viene talvolta utilizzato come sinonimo di anarchia: altro errore. Acrazia (ἀ, prefisso negativo e κράτος, tema estratto dal verbo kratéo, «governare») significa letteralmente «senza governo». L'acrazia, dunque, presuppone, come l'anarchia, l'assenza di un Potere (intendendo con questo termine il Potere discendente da un governo o un'autorità centrale) dominante, ma non necessariamente presuppone l'assenza di forme gerarchiche nella società.

anarchia noministica anarchia anomistica anomia acrazia caos
governo centrale incompatibilità incompatibilità compatibilità incompatibilità incompatibilità
rapporti gerarchici incompatibilità incompatibilità compatibilità compatibilità incompatibilità
diritto compatibilità incompatibilità incompatibilità compatibilità incompatibilità
principi etici compatibilità compatibilità compatibilità compatibilità incompatibilità

L'anarchia non è un'utopia [7]

L'anarchia non è utopia

« Le utopie autoritarie del XIX secolo, sono principalmente responsabili dell'atteggiamento antiutopistico prevalente tra gli intellettuali di oggi. Ma le utopie non hanno sempre descritto società irreggimentate, stati centralizzati e nazioni di robot. Tahiti di Diderot o Notizie di Morris ci hanno presentato utopie in cui gli uomini erano liberi da costrizione sia fisica che morale, in cui essi lavoravano non per necessità o per un senso di dovere ma perché trovavano il lavoro un'attività piacevole, in cui l'amore non conosceva leggi ed in cui ogni uomo era un artista. Le utopie sono state spesso progetti di società che funzionavano meccanicamente, strutture morte da economisti, politicanti e moralisti; ma esse sono anche stati i sogni viventi di poeti. »

~ Maria Luisa Berneri, Viaggio attraverso Utopia

L'utopia è «un ordine nuovo che si contrappone al presente disordine, come alternativa globale. Quanto più si accentua la valenza operativa dell'utopia, tanto più precisa si delinea la sua pretesa di costituire un'alternativa globale del presente, immediatamente identificato col negativo, con ciò che deve essere totalmente rifiutato e soppresso». [8] Una prospettiva utopica non accetta pertanto alcun accomodamento parziale, non mira a riformare la realtà in quanto non accetta compromessi con l'esistente, il suo compito è quello di rivoluzionarlo; la prospettiva utopica non si pone il problema del miglioramento dell'esistente, esige il bene assoluto. In questo senso, «l'utopista rifiuta la possibilità di una riforma, perché non riconosce alternative parziali». [9] A differenza della prospettiva ideologica, l'utopia nel suo irriducibile moto di negazione non sottopone, a ben vedere, a critica la realtà esistente; si limita, per l'appunto, a negarla nella sua interezza, perorando la causa di una realtà totalmente altra e nuova rispetto all'esistente; un'utopia in cui l'ordine preconizzato regnerà nella sua assoluta perfezione. La struttura utopica preconizza lo speculare rovesciamento dell'esistente nell'auspicio che in tale radicale cambiamento il disordine si tramuti in ordine.

Se fosse privo di una riflessione intorno ad una intelaiatura giuridica non autoritaria (ma così non è: vedi anarchismo e diritto), l'anarchismo si potrebbe strutturare soltanto come una sorta di ideologia dagli esiti utopistici, che presupporrebbe ed attenderebbe, quale protagonista delle proprie vicende, un uomo nuovo sorto dalle ceneri della società oppressiva, che veleggia verso lidi contrassegnati, una volta approdato nel "paese della cuccagna" [10], dalla assoluta libertà e dalla altrettanta assoluta uguaglianza.

Tale rappresentazione in chiave miracolistica dell'anarchismo [11] va pertanto, per un verso, demistificata, per altro, nettamente rigettata, al fine non soltanto di favorire l'emergere di una immagine dell'anarchismo depurata da tali fantasie, ma anche, e soprattutto, di riconoscere nell'anarchismo un genuino (in quanto dialettico) approccio critico alla realtà sociale.

È stato sottolineato che lo stesso «Malatesta sintetizza la forma mentis dell'argomentare utopico che, anteponendo sempre il dover essere all'essere, si sottrae al confronto immediato col presente, in quanto critica questo non in rapporto alle sue possibilità reali, ma rispetto ad un ipotetico futuro, cioè con il criterio di un stato di cose totalmente diverso. In altri termini, non privilegia la trasformazione delle possibilità insite nella realtà data, ma le virtualità di un modello teorico così come comanda il dover essere». [12] Pare, invece, che proprio Malatesta riesca a cogliere – sia pur parzialmente – l'aporia di un pensare utopico sul quale poggiare la prassi sociale. Infatti, pur animato da una forte tensione morale (il dover essere), egli rifugge dall'idea dello speculare rovesciamento dell'esistente, ma cerca invece di intervenire su questo ritenendo che sia assurdo ed impossibile abbandonare tutto ciò che ha caratterizzato la vita in una società sostanzialmente autoritaria per approdare a "mondi" nella società anarchica. In questo senso, su una parte non irrilevante dell'essere va effettuato un intervento sì critico, ma non per questo distruttivo. [13] Per certi versi, si possono, quindi, intravedere fra le righe malatestiane intenti dialettici rispetto all'esistente e non, cosa in vero rigettata dal nostro, una (vana) speranza di automatico accomodamento delle cose quotidiane nella società liberata.

Pertanto, nonostante il pensiero comune, l'anarchia non è un'utopia (nell'accezione di progetto irrealizzabile). Per gran parte della sua storia l'umanità è vissuta senza alcuna archia (“potere”, “dominio”), poi, anche in epoche successive, vi sono state numerose esperienze anarchiche (vedi, per esempio, Ucraina libertaria e Rivoluzione spagnola); infine, l'anarchico può vivere immediatamente, seppur con i limiti e le contraddizioni che naturalmente si ingenerano in un sistema capitalistico, il suo essere anarchico.

L'anarchia non è un'ideologia [7]

Al pari del mondo delle scienze, la struttura ideologica si fonda sulla posizione di ipotesi interpretative della realtà, ipotesi non necessariamente frutto di una osservazione empirica della stessa, ma protese ad offrire alla realtà una rappresentazione funzionale ad operare sulla stessa, tanto da individuare (e fondare sull'ipotesi assunta) delle leggi di evoluzione della realtà, attraverso le quali prevederla e, quindi, dominarla. Ma si tratta a ben vedere di leggi (scientifiche) a cui si attribuisce (o si può attribuire) un valore universale soltanto offuscando (o dimenticando) la loro radice particolare, in quanto fondata fermamente ed esclusivamente nell'ipotesi convenzionalmente assunta. In questo senso, la struttura ideologica si riconnette «con la pretesa razionalistica che postula da un lato la riduzione di ogni forma di sapere umano alla conoscenza scientifica e che dall'altro, dimenticandone la natura convenzionale, vagheggia un padroneggiamento della natura e della storia da parte dell'uomo/scienziato». [14] Così intesa, l'ideologia si presenta quale teoria interpretativa della realtà, teoria che prende le mosse da ipotesi convenzionalmente assunte e che dalle stesse si sviluppa per deduzione. In questo senso, l'ideologia, semplificando e racchiudendo la realtà all’interno delle convenzioni che le sono proprie, se si sviluppa in modo corretto rispetto agli assiomi che la caratterizzano e la distinguono dalle altre ideologie, produce un discorso scientifico sulla realtà, dotato (avuto riguardo alle proprie ipotesi) di senso, direbbero taluni. Se poi tali sviluppi potessero ritrovare verificazione empirica, la teoria (o ideologia, che dir si voglia) dimostrerebbe la sua efficacia operativa attraverso il dominio della realtà e risulterebbe, perciò, una teoria valida anche da punto di vista empirico. L'anarchismo potrebbe venire assimilato ad un'ideologia, nel momento in cui si sviluppasse dall'assioma irrinunciabile e, quindi, non problematizzabile, per il quale, ad esempio, l'essere umano, liberato dal giogo dell'oppressione, risulterebbe intrinsecamente buono; esplicitamente verrebbe, infatti, attribuita la causa di ogni male alla società concreta, al contesto sociale ed alle sue articolazioni istituzionali, che l'anarchismo di volta in volta critica.

Note

  1. Nei dizionari il termine «anarchista», che troviamo già presente negli scritti di Carlo Pisacane, è utilizzato come sinonimo di anarchico.
  2. Nota dell'utente Altipiani azionanti, che attribuisce al termine anarchista il significato di cui sopra.
  3. 3,0 3,1 3,2 3,3 3,4 3,5 Definizione tratta dal Grande Dizionario della Lingua Italiana UTET.
  4. Si osservi la lista delle personalità anarchiche maschili e di quelle femminili.
  5. Si noti la presenza di organizzazioni anarchiche e di siti web in tutto il mondo.
  6. Molti anarchici e anarchiche provenivano dalle classe sociali più agiate (es. il principe Kropotkin o lo scrittore Lev Tolstoj), altri invece, non avendo avuto questa fortuna, sono stati umili lavoratori per tutta la vita (es. i muratori Tomaso Serra e Pio Turroni), senza però che questo potesse imperli di formarsi autonomamente un'ottima cultura individuale.
  7. 7,0 7,1 Fonte principale: Errico Malatesta. Note per un diritto anarchico, di Marco Cossutta, Collana in/Tigor, Edizioni Università di Trieste, 2015
  8. Francesco Gentile, Intelligenza politica e ragion di stato, Milano, 1983, p. 111
  9. Francesco Gentile, Intelligenza politica e ragion di stato, Milano, 1983, p. 112
  10. «Se nasce l'anarchia / un bel pranzo s'ha da fa' / tutto vitello e manzo / se duvimo da magna'»: canto anarchico dei Castelli romani, così riportato in L. Settimelli – L. Falavolti, Canti anarchici, p. 83
  11. In questo quadro, l'utopica società anarchica appare l'auto-proclamato luogo del bene assoluto (ευ τοπος), che è tratteggiabile solo attraverso lo speculare rovesciamento di ogni male sociale esistente; ma, in quanto puro rovesciamento, è, nel contempo, anche un non luogo (ου τοπος), in quanto la sua realizzazione non solo presuppone bensì necessita l'assunzione (e l'avverarsi) dell'ipotesi indimostrabile per la quale l'essere umano liberato dal dominio sviluppa immediatamente intrinseche capacità autoregolamentative in assenza di ogni istituzione coercitiva. In tal modo, la struttura utopica si lega a quella ideologica, non potendo l'una sorreggersi in assenza dell'altra; infatti, al di fuori di questa ipotesi antropologica (ed in assenza della totale negazione dell'esistente) la società anarchica non potrebbe né precognizzarsi, né, tanto meno, realizzarsi e, quindi, sia pure in altre forme, si perpetuerebbe il dominio dell'uomo sull'uomo.
  12. Giampietro Berti, Il pensiero anarchico dal Settecento al Novecento, Manduria-Bari-Roma, 1998, p. 437
  13. Malatesta, il 1° giugno 1926, sulle pagine di Pensiero e Volontà, rileva: «appare l'idea, purtroppo assai sparsa in mezzo ai nostri compagni, che compito degli anarchici sia semplicemente quello di demolire, lasciando ai posteri l'opera di ricostruzione. Ed è idea nefasta. La vita sociale, come la vita individuale, non ammette interruzioni». Sulla stessa rivista, il 16 giugno dello stesso anno, dichiara: «distruggiamo i monopoli, d'accordo, ma i monopoli, quando non sieno quelli dei bottoncini da camicia o del rossetto per le labbra di certe signorine, i grossi monopoli (acqua, elettricità, carbone, trasporti di terra e di mare, ecc.) rispondono sempre ad un servizio pubblico necessario; e non si distruggono quei monopoli, o se ne produce il sollecito ritorno, se nell'atto stesso che si mandan via i monopolisti non si continua il servizio e, possibilmente, in modo migliore di quello che avveniva sotto di loro».
  14. Francesco Gentile, Intelligenza politica e ragion di stato, Milano, 1983, p. 195

Bibliografia

Voci correlate

Collegamenti esterni