Alexandre Marius Jacob: differenze tra le versioni

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==Bibliografia==
==Bibliografia==
*Diego Farina, ''Alexandre Marius Jacob. La vera storia di Arsenio Lupin'', Bevivino editore.
*Diego Farina, ''Alexandre Marius Jacob. La vera storia di Arsenio Lupin'', Bevivino editore, 2005.
*Bernard Thomas, ''Jacob Alexandre Marius'', [http://www.edizionianarchismo.net Edizioni Anarchismo], Trieste 2008.
*Bernard Thomas, ''Jacob Alexandre Marius'', [http://www.edizionianarchismo.net Edizioni Anarchismo], Trieste, 2008.
* Alexandre Jacob, ''Abbasso le prigioni, tutte le prigioni'', a cura di Andrea Ferreri, Edizioni Bepress, Lecce, 2009.
*Alexandre Jacob, ''Abbasso le prigioni, tutte le prigioni'', a cura di Andrea Ferreri, Edizioni Bepress, Lecce, 2009.
*Alexandre Jacob, ''I lavoratori della notte'', a cura di Andrea Ferreri, Edizioni Bepress, Lecce, 2009.
*Alexandre Jacob, ''I lavoratori della notte'', a cura di Andrea Ferreri, Edizioni Bepress, Lecce, 2009.


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*[[Horst Fantazzini]]
*[[Horst Fantazzini]]
*[[Sante Pollastri]]
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*[[Antoine Gauzy]]
*[[René Valet]]


==Collegamenti esterni ==
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[[Categoria:Anarchici|Jacob, Alexandre Marius]]
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Versione delle 11:18, 27 giu 2020

Alexandre Marius Jacob

Alexandre Marius Jacob (Marsiglia, 29 settembre 1879 - Bois Saint-Denis, Indre, Francia, 28 agosto 1954) è stato un "ladro" anarchico francese, una sorta di Robin Hood che rubava ai ricchi per sostenere gli anarchici e le persone in difficoltà. Dotato di un forte senso dell'umorismo, ispirò Maurice Leblanc nella creazione del personaggio, presentato nel giugno del 1905, di Arsenio Lupin. Diversamente da Arsenio Lupin, Jacob mise le sue capacità, la sua intelligenza, la sua vivacità, il suo coraggio, la sua audacia e la sua energia al servizio dell'anarchismo.

La vita del vero Arsenio Lupin

Alexandre Marius Jacob nasce il 29 settembre 1879 a Marsiglia. Il padre, Joseph, marinaio di professione gli trasmette la passione per i viaggi e le avventure. A 11 anni si imbarca come mozzo nel “Thibet”, a 13 cambia nave e arriva a Sidney, dove impara a rubare per sopravvivere. Dopo un breve periodo si reimbarca in quella che credeva una baleniera ma che in realtà è un vascello pirata ricercato dalle autorità militari. Appena ne ha la possibilità scappa da quel vascello e ritorna a Marsiglia dove viene arrestato per diserzione, ma ben presto viene rimesso in libertà per via della sua giovane età.

L'anarchismo espropriatore

Inizia in questa fase ad interessarsi al pensiero anarchico, legge Proudhon, Bakunin, Kropotkin e il giornale anarchico marsigliese “L'Agitateur”. Diventato un attento e partecipativo frequentatore dei circoli anarchici e operai francesi, Jacob viene arrestato con l'accusa di detenzione di materiale esplosivo (secondo molti si trattò di una vera e propria montatura) che gli costano 6 mesi di prigione.

A 20 anni dichiara la sua personale guerra alla società dell'opulenza funzionale agli interessi delle classi privilegiate. Le armi della sua personale guerra sono il furto, la scaltrezza e la beffa. Per esser più efficace, con alcuni compagni anarchici fonda il gruppo anarchico illegalistaLes travailleurs de la nuit” (“I lavoratori della notte”).

Jacob e gli altri componenti della banda saranno accusati di oltre 150 furti compiuti tra il 1900 e il 1903. I “Travailleurs de la nuit” colpiranno in particolar modo baroni, contesse, industriali, sfruttatori delle classi meno abbienti ecc. I proventi delle rapine vennero utilizzati per finanziare i circoli anarchici e operai, i disoccupati, gli emarginati ecc.

Arresto e condanna

In seguito alle sue attività Jacob viene arrestato una prima volta (condanna a 5 anni) ma riesce ad evadere. In clandestinità sopravvive con i soliti beffardi furti, ma riuscirà a beffare le autorità facendosi scritturare come attore teatrale grazie ad una falsa identità.

Il 21 aprile 1903 viene arrestato e poi condannato (sentenza del 22-03-1905) ai lavori forzati nella Guyana francese insieme a Félix Bour. Prima della lettura della sentenza chiede di parlare, esponendo a tutti il suo pensiero :


Signori,
adesso sapete chi sono: un ribelle che vive del ricavato dei suoi furti. Di più. Ho incendiato diversi alberghi e difeso la mia libertà contro l'aggressione degli agenti del potere. Ho messo a nudo tutta la mia esistenza di lotta e la sottometto come un problema alle vostre intelligenze. Non riconoscendo a nessuno il diritto di giudicarmi, non imploro né perdono né indulgenza. Non sollecito ciò che odio e che disprezzo. Siete i più forti, disponete di me come meglio credete. Ma prima di separarci, lasciatemi dire l'ultima parola...

Avete chiamato un uomo: ladro e bandito, applicate contro di lui i rigori della legge e vi domandate se poteva essere differentemente. Avete mai visto un ricco farsi rapinatore? Non ne ho mai conosciuti. Io, che non sono né ricco né proprietario, non avevo che queste braccia e un cervello per assicurare la mia conservazione, per cui ho dovuto comportarmi diversamente. La società non mi accordava che tre mezzi di esistenza: il lavoro, mendicità e il furto. Il lavoro, al contrario di ripugnarmi, mi piace. L'uomo non può fare a meno di lavorare: i suoi muscoli, il suo cervello, possiede un insieme di energie che deve smaltire. Ciò che mi ripugnava era di sudare sangue e acqua per un salario, cioè di creare ricchezze dalle quali sarei stato sfruttato. In una parola mi ripugnava di consegnarmi alla prostituzione del lavoro. La mendicità è l'avvilimento, la negazione di ogni dignità. Ogni uomo ha il diritto di godere della vita. "Il diritto a vivere non si mendica, si prende".

Il furto è la restituzione, la ripresa di possesso. Piuttosto di essere chiuso in un'officina come in una prigione, piuttosto di mendicare ciò a cui avevo diritto, ho preferito insorgere e combattere faccia a faccia i miei nemici, facendo la guerra ai ricchi e attaccando i loro beni. Comprendo che avreste preferito che fossi sottomesso alle vostre leggi, che operaio docile avessi creato ricchezze in cambio di un salario miserabile. E che, il corpo sfruttato e il cervello abbrutito, mi fossi lasciato crepare all'angolo di una strada. In quel caso non mi avreste chiamato "bandito cinico" ma "onesto operaio". Adulandomi mi avreste dato la medaglia al lavoro. I preti promettono un paradiso ai loro fedeli, voi siete meno astratti, promettete loro un pezzo di carta.

Vi ringrazio molto di tanta bontà, di tanta gratitudine. Signori! Preferisco essere un cinico cosciente dei suoi diritti che un automa, una cariatide.

Dal momento in cui ebbi possesso della mia coscienza mi sono dato al furto senza alcuno scrupolo. Non accetto la vostra pretesa morale che impone il rispetto della proprietà come una virtù, quando i peggiori ladri sono i proprietari stessi.

Ritenetevi fortunati che questo pregiudizio ha preso forza nel popolo, in quanto è proprio esso il vostro miglior gendarme. Conoscendo l'impotenza della legge, o per meglio dire, della forza, ne avete fatto il più solido dei vostri protettori. Ma state accorti, ogni cosa finisce. Tutto ciò che è costruito dalla forza e dall'astuzia, l'astuzia e la forza possono demolirlo.

Il popolo si evolve continuamente. Istruiti in queste verità, coscienti dei loro diritti, tutti i morti di fame, in una parola tutte le vostre vittime, si armeranno di un "piede di porco" assalendo le vostre case per riprendere le ricchezze che hanno creato e che voi avete rubato. Riflettendo bene, preferiranno correre ogni rischio invece di ingrassarvi gemendo nella miseria. La prigione, i lavori forzati, il patibolo... non sono prospettive troppo paurose di fronte ad un'intera vita di abbruttimento, piena di ogni tipo di sofferenze. Il ragazzo che lotta per un pezzo di pane nelle viscere della terra senza mai vedere brillare il sole, può morire da un momento all'altro vittima di un'esplosione di grisou. Il lavoratore che lavora sui tetti, può cadere e ridursi in briciole. Il marinaio conosce il giorno della sua partenza, ignora quando farà ritorno. Numerosi altri operai contraggono malattie fatali nell'esercizio del loro mestiere, si sfibrano, s'avvelenano, s'uccidono nel creare tutto per voi. Fino ai gendarmi, ai poliziotti, alle guardie del corpo, trovano spesso la morte nella lotta ai vostri nemici.

Chiusi nel vostro egoismo, restate scettici davanti a questa visione, non è vero? Il popolo ha paura, voi dite. Noi lo governiamo con il terrore della repressione; se grida, lo gettiamo in prigione; se brontola, lo deportiamo, se si agita lo ghigliottiniamo. Cattivo calcolo, Signori credetemi. Le pene che infliggete non sono un rimedio contro gli atti della rivolta. La repressione invece di essere un rimedio, un palliativo, non fa altro che aggravare il male.

Le misure coercitive non possono che seminare l'odio e la vendetta. È un ciclo fatale. Del resto, fin da quando avete cominciato a tagliare teste, a popolare le prigioni e i penitenziari, avete forse impedito all'odio di manifestarsi? Rispondete! I fatti dimostrano la vostra impotenza. Per quanto mi riguarda sapevo esattamente che la mia condotta non poteva avere altra conclusione che il penitenziario o la ghigliottina, eppure, come vedete, non è questo che mi ha impedito di agire. Se mi sono dato al furto non è per guadagno o per amore del denaro, ma per una questione di principio, di diritto. Preferisco conservare la mia libertà, la mia indipendenza, la mia dignità di uomo, invece di farmi l'artefice della fortuna del mio padrone. In termini più crudi, senza eufemismi, preferisco essere ladro che essere derubato.

Certo anch'io condanno il fatto che un uomo s'impadronisca violentemente e con l'astuzia del frutto dell'altrui lavoro. Ma è proprio per questo che ho fatto la guerra ai ricchi, ladri dei beni dei poveri. Anch'io sarei felice di vivere in una società dove ogni furto fosse impossibile. Non approvo il furto, e l'ho impiegato soltanto come mezzo di rivolta per combattere il più iniquo di tutti i furti: la proprietà individuale.

Per eliminare un effetto, bisogna, preventivamente, distruggere la causa. Se esiste il furto è perché "tutto" appartiene solamente a "qualcuno". La lotta scomparirà solo quando gli uomini metteranno in comune gioie e pene, lavori e ricchezze, quando tutto apparterrà a tutti.

Anarchico rivoluzionario, ho fatto la mia rivoluzione. L'anarchia verrà!

La libertà

Durante questi anni mantiene contatti epistolari con la madre Marie e la compagna Rose, la quale però morirà durante la detenzione. Dopo 23 anni di Guyana francese e 17 tentativi d'evasione viene graziato e ritorna definitivamente in libertà nel dicembre del 1928.

Una volta libero si dedica a diverse attività stabilendosi definitivamente a Reuilly («il paese dove non accade niente»), insieme alla madre e alla nuova compagna Paulete.

Anarchico fino alla fine

Nel 1929 si presenta nei locali del giornale «Le Libertarie», dove conosce il direttore Louis Lecoin e con il quale stabilisce un immediato rapporto di amicizia. I due cominciano un'attività di sostegno in favore degli obiettori di coscienza e degli anarchici Sacco e Vanzetti. Nel tardo 1936, Jacob arriva sino a Barcellona nella speranza di aiutare gli anarcosindacalisti della CNT, ma ha già compreso che ormai le sorti della rivoluzione sono già decise, ragion per cui fa ritorno in Francia.

Nel 1939 si sposa con Paulete, ma non smette di essere un punto di riferimento per molti compagni anarchici. La sua casa diventa luogo d'incontro per molti libertari. Dopo la morte della madre (1941) e della moglie (1947), Jacob si lega ancor di più ai suoi amici e ai suoi compagni, mantenendo intatte le proprie idee, il proprio humor e la propria concezione antiautoritaria della vita.

Dedica parte del suo tempo alla scrittura delle proprie memorie che vengono pubblicate, nel 1950 (anno in cui muore anche Paulete), con il titolo di Un anarchico nella Bella Epoque. La sera del 28 agosto 1954 a Bois-Saint Denis, Jacob prende una siringa con una dose letale di morfina e se la inietta (prima fece la stessa cosa al suo vecchio e amato cane Negro). Muore serenamente.

Prima di compiere l'ultimo eclatante gesto della sua vita spiega con una lettera le ragioni della sua decisione:

«Ho vissuto un'esperienza piena di avventure e sventure, mi considero soddisfatto del mio destino. Dunque, voglio andarmene senza disperazione, il sorriso sulle labbra e la pace nel cuore. Voi siete troppo giovani per apprezzare il piacere di andarsene in buona salute, facendo un ultimo sberleffo a tutti gli acciacchi e le malattie che arrivano con la vecchiaia. Ho vissuto. Adesso posso morire.
P.S. Vi lascio qui due litri di vino rosato. Brindate alla vostra salute.»

Bibliografia

  • Diego Farina, Alexandre Marius Jacob. La vera storia di Arsenio Lupin, Bevivino editore, 2005.
  • Bernard Thomas, Jacob Alexandre Marius, Edizioni Anarchismo, Trieste, 2008.
  • Alexandre Jacob, Abbasso le prigioni, tutte le prigioni, a cura di Andrea Ferreri, Edizioni Bepress, Lecce, 2009.
  • Alexandre Jacob, I lavoratori della notte, a cura di Andrea Ferreri, Edizioni Bepress, Lecce, 2009.

Voci correlate

Collegamenti esterni